RECENSITO! AVENGED SEVENFOLD

Avenged Sevenfold è l'ultimo lavoro della band omonima, uscito negli ultimi mesi del 2007 e presentato come un pezzo pregiato dell'editoria musicale nazionale. In realtà è un buon cd, ma niente di così straordinario come ho letto: ha poco di metallico (come del resto sottolinea il singer della band) e parecchio di commerciale. Avevo deciso di ascoltarlo dopo aver letto che questa band riproponeva con gran stile e modernità le (a me tanto care) sonorità metal anni '80, ma in realtà dopo qualche canzone mi sono accorto che proprio non è così. La musica è buona, abbastanza tosta, ma a volte specie nelle parti cantate la band eccede in parti melodiche, commerciali in vago stile emo. Insomma, se cerchi qualcosa di duretto che però non è metal e non spacca troppo, questo disco può andarti bene: è godibile al primo ascolto, vario soprattutto nelle prime 4-5 canzoni.; meno interessante la seconda parte. Un punto a favore della band è la voce di Matthew Shadows, particolare e ruvida ma discretamente poliedrica.

CANZONI. L'album si apre con "Critical Acclaim", che dopo un avvio solenne esplode in potenti riff chitarristici. Song esplosiva e potente, cantata con un curioso botta e risposta tra sussurrato e cantato normale. Buon ritmo, bel ritornello, un pò meno la morbida parte melodica finale. Segue "Almost Easy", un buon crescendo di sensazioni prima aggressive e poi più emozionali. Troppo mielosa la parte melodica. Buona traccia è anche "Scream", coinvolgente e orecchiabile con tanto di finale incazzoso. Introdotta da arrangiamenti orchestrali, "Afterlife" incede misteriosa e poi si apre, diventando molto orecchiabile e ben spendibile radiofonicamente. Solo in una parte centrale si fa più aggressiva, con un potente assolo, prima di tornare a sonorità più... popolari. "Gunslinger" è una ballata carina e mielosa, "Unbound (The Wild Ride)" è un altro pezzo orecchiabile. "Brompton Cocktail" non è velocissima e non attacca al primo ascolto. L'ottava traccia è "Lost", che dà una bella carica e utilizza riff vagamente metalcore. Il cantato tocca picchi di melodicità sempre più spudorati, venendo addirittura modificato da effetti elettronici; segue "A Little Piece of Heaven", una song stranissima... all'inizio sembra di ascoltare i Good Charlotte, ma poi diventa ancora peggio sfociando in sonorità simil-folk molto trash. La definirei bizzarra. Conclude il tutto una sentimentalissima ballata come "Dear God", piacevole.
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CONCLUSIONI. Insomma, cd carinissimo per carità; prosegue sul sentiero aperto da "City Of Evil", obbligato dopo gli inizi metalcore che minavano le corde vocali di Shadows. Però non è propriamente un lavoro di metallo robusto come si potrebbe immaginare leggendo certe recensioni.
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VOTO 6,5

RINO GISSI, METALLIZED.IT. PARTE PRIMA
Blind Guardian. Il clangore delle spade echeggia nel bosco, la battaglia impazza sotto un rosso tramonto, truppe a cavallo marciano nelle lande fantastiche, ai piedi di poderosi manieri, mentre negli antichi borghi paesani la vita scorre come ogni altro giorno: il sudore nei campi, i bambini che giocano attorno al pozzo, i menestrelli che intrattengono i popolani attorno ai focolari sotto le stelle. È in uno scenario del genere che potremmo collocare idealmente la meravigliosa eredità musicale dei leggendari Blind Guardian, tedeschi di Krefeld, nell’antica regione della Renania Settentrionale-Vestfalia. Icone dello speed-power metal teutonico, tanto devastanti nell’avanzata frontale a folle velocità quanto sopraffini nell’intessitura di pregevoli melodie medievali, i Blind Guardian hanno attinto a piene mani dal genere potente e veloce plasmato dai primissimi Helloween, prima rendendolo ancora più terremotante ed epico, quindi portandolo ad un successivo livello di eccellenza tecnica e reminiscenze melodiche dai tratti medievali, infine introducendo sottili nervature sinfoniche, nell’arco di una carriera longeva e ricca di masterpieces. Maestose ed intricate, le composizioni presenti nei loro primi sei album in studio restano ancora oggi spettacolari manifesti del power metal più ruggente, epico ed incontaminato: le chitarre sferrano riff granitici e tonanti, corrono a velocità elevate su ritmiche martellanti e attraverso assoli fluidi, di rara bellezza, sintomo di una capacità tecnica notevole, trame complesse ed articolate fungono da sfondo regale per linee vocali enfatiche, drammatiche e memorabili; l’immaginario fantastico su cui i cinque tedeschi hanno imbastito la loro grandezza, inoltre, rappresenta una sorta di magia nella magia, vertendo sui racconti letterari di autori come Tolkien, oltre che su altre suggestioni appartenenti a mondi lontani e realtà oniriche. Uno stile lirico e musicale che ha influenzato e continua ad influenzare generazioni e generazioni, vestigia di una band che non ha mai sbagliato un colpo e che rappresenta un vero e proprio patrimonio dell’intera comunità metallica mondiale. La storia inizia nel 1985 a Krefeld, anticamente annoverata nella contea di Moers ed elevata al rango di città nel 1373: un borgo costituito da diversi quartieri, uno dei quali sorto sui resti di un antico accampamento risalente all’Impero Romano. È in questa realtà intrisa di storia che sorgono i Lucifer’s Heritage, fondati dal chitarrista André Olbrich e dal bassista Hansi Kürsch, che sceglie di impugnare anche il microfono. All’altra chitarra arriva Marcus Dork, mentre dietro alle pelli si colloca Thomas Stauch: con questa line-up venne realizzato un primo demo assai rozzo, Symphonies of Doom, che però attira poche attenzioni; in questa fase iniziale i cambi di formazione erano ancora naturali, così che Hans-Peter Frey rilevò presto Stauch, mentre Christoph Theissen sostituì Dork, completando la seconda incarnazione della band. Così organizzati, nel 1987 i Lucifer’s Heritage pubblicarono il secondo demo, Battalions of Fear, ma si trovarono a dover cambiare moniker prima in Battery quindi in Blind Guardian poiché si accorsero che la gente disdegnava i loro concerti credendoli una black metal band, come testimonia Hansi Kursh: 'Lucifer's Heritage non andava bene, suonava troppo demoniaco e non c'entrava nulla con la musica che facevamo. Allora andava di moda il black metal e molti ci infilavano in quella categoria per colpa del nome. Già al momento di firmare il nostro primo contratto i responsabili della No Remorse avevano inserito la clausola del cambiamento del nome; scegliemmo proprio Blind Guardian perché già all'epoca eravamo tutti interessati a tematiche fantasy, e c'era un album dei Fates Warning che si chiamava 'Awaken the Guardian': questa idea del Guardiano continuava a girarci in testa, la trovavamo realmente forte, abbiamo cercato qualcosa che ci stesse bene assieme e siamo arrivati al guardiano cieco'! Battalions of Fear frutta un tanto agognato contratto con la No Remorse records e nel 1988 la line-up si stabilizza col rientro definitivo di Stauch e l’ingresso del valido chitarrista Marcus Siepen al fianco del rodato Olbrich. Carichi d’entusiasmo ed energia, i cinque ragazzi entrano in studio e danno alla luce il loro primo album, Battalions of Fear, che si rivela una roboante mazzata di speed metal dai tratti quasi thrashy: imbevuto di ottimi contributi melodici ed epicità a fiotti, il disco sembra subito prendere spunto dal power metal degli Helloween di Walls of Jericho, raddoppiandone però la carica, la possenza, eliminandone le sfumature più funny e costituendo un alone di serietà intimidatoria attorno a bordate irresistibili come la titletrack o la stupenda Run for the Night, quest’ultima caratterizzata da riffery tritaossa e da un refrain arioso da cantare in coro. Le chitarre macinano partiture telluriche ed incalzanti, mentre Hansi Kürsch interpreta alla grande l’atmosfera epica col suo vocione ruvido ed evocativo. Trascinanti erano anche The Martyr, con le sue vocals evocative, la stessa Guardian of the Blind o le pregevoli strumentali Trial by the Archon, By the Gates of Moria e Gandalf’s Rebirth, evidenti riferimenti a romanzi di derivazione fantasy; la sontuosa opener Majesty, una suite di sette minuti pregna di adrenalina, assoli da capogiro e riff letali sparati a folle velocità, incarna tutta l’essenza grezza e tipicamente teutonica trasmessa da una band ricca di idee, che inizia da subito a scrivere pagine memorabili nella storia del genere. Anche se questo, forse, non venne colto immediatamente. Hansi Kursh ricorda così la prima fatica della sua band: 'Grande nervosismo, soprattutto in studio, eccitazione, energia, molta energia, forse addirittura di più che negli anni a seguire. Inesperienza, ancora una forte ispirazione da parte degli Helloween, anche se non eravamo una copia,e poco tempo in studio, anche se rispetto alla media abbiamo avuto a disposizione abbastanza denaro. Ci fu un pò di delusione, anche,pe rchè le aspettative erano enormi, dopo il disco ci sentivamo delle rockstar ed invece non era cambiato niente. Facemmo un tour in supporto ai Grinder, con una trentina di spettatori in media a serata, e ci chiedevamo se un giorno o l'altro avremmo potuto vivere di musica, o anche solo se avremmo avuto la possibilità di realizzare un secondo album'. Non potevano immaginare quanto grandi sarebbero diventati nel giro di pochissimi anni. BIOGRAFIE BLIND GUARDIAN: HANSI KURSCH
Schiacciando vigorosamente il piede sull’acceleratore e scoccando ulteriori fondate di melodia vertiginosa e potenza considerevole, i cinque di Krefeld tornano sul mercato l’anno successivo, forti di un disco più maturo e curato dal punto di vista tecnico come Follow the Blind, introdotto da una fuga irresistibile e compatta come Banish from Sanctuary, un piccolo gioiello di power tedesco nonché degno biglietto da visita per il disco: velocità, potenza urticante, ritmiche ancora una volta ultraspeed, headbanging garantito, vocals da brivido e colate bollenti di melodia. Impossibile non esaltarsi di fronte al riff squillante di Damned for All Time o per le sue vigorose accelerazioni, per le tinte fosche ed i ritmi pesanti di Follow the Blind, per la velocità disarmante ed il chorus irresistibile della scatenata Fast to Madness o per il capolavoro Valhalla, una gemma irruente e poderosa nella quale la band omaggia la mitologia norrena e si fregia addirittura del contributo di Kai Hansen, iconico chitarrista degli Helloween: il duetto con Kürsch è emozionante e la canzone, come tutto l’album e l’intera musica dei 'Guardiani', ha la straordinaria capacità di portare il pathos ed il flavour campale a livelli straripanti, nonostante la non indifferente violenza ritmica con le quali queste frustate di power teutonico vengano sferrate. Ricorda Hansi Kursh: 'Tre o quattro pezzi sono veramente buoni, il resto forse un pò più debole: avremmo dovuto stare qualche mese in più in sala prove prima di realzizare questo disco. Soprattutto certe linee vocali o cori non sono eccezionali, ma con questo disco siamo arrivati in Giappone, come curiosità underground tedesca. Nessun tour, solo concerti singoli, soprattutto nei weekend, ma con una buona affluenza. Musicalmente eravamo già migliorati, ma avevamo tutti un lavoro e non potevamo concentrarci totalmente sulla band. C'era un feeling più pessimista nel gruppo, a causa di questo doppio impegno che ci gravava sulle spalle'. La letteratura fantasy e le atmosfere medievali iniziano a far capolino con sempre maggior frequenza, mentre il drumworking pressa con insistenza e le asce scalpellano riff ciclopici: in particolare, la sezione solista di Olbrich matura e si affina vistosamente, suonando da subito avvincente e ricercata. Tutte queste peculiarità trovano la consacrazione in Tales from the Twilight World del 1990, il disco che vale il riconoscimento internazionale e rappresenta la conclusione del primo mini ciclo di una carriera splendida. L’imponente Traveler in Time, ispirata al ciclo di Dune dell'americano Frank Herbert, così come To Tame a land degli Iron Maiden, è un’opener memorabile, sempre più imbevuta di melodia cavalleresca e acuminati fendenti rapidi; ma l’intera scaletta punta su autentiche mazzate ricche di potenza e musicalità, come l’irresistibile Welcome to Dying -un autentico classico del gruppo, una galoppata ultra-speed che si rifà al romanzo Folating Dragon di Peter Straub- e la fantastica e poderosa Goodbye My Friend, canzone epica e dirompente, incentrata sul capolavoro cinematografico Et di Spielberg. La prestazione vocale di Kürsch è ancora imperiosa e arricchisce con refrain trascinanti e gloriosi tutte le tracce in scaletta; le veementi stilettate di The Last Candle, Tommyknockers o della impetuosa Lost in a twilight Hall fanno scuotere costantemente la testa, mentre la strumentale Weird Dreams approfondisce la direzione medievaleggiante che nei dischi successivi sarà sempre più marcata. Le citazioni al Signore degli Anelli iniziano ad emozionare attraverso la toccante Lord of the Rings; il full length è un capolavoro di altissima qualità tecnica, che lancia la band nell’elite delle metal band più rispettate del globo e rappresenta un punto di partenza verso un nuovo ciclo stilistico. Nonostante la velocità e l’irruenza rimangano elementi centrali ed esplosivi, gli arrangiamenti si fanno sempre più curati; fattore che si accentuerà di li a poco, col passaggio dalla fallita No Remorse alla più celebre Virgin Records. Dai racconti del solito Hansi, mai parco di ricordi interessanti: 'tanto divertimento in studio, in misura maggiore sia rispetto a prima che a dopo; le nostre canzoni erano più sfrontate e fresche, la produzione non ottima ma i cori restano ugualmente potenti. per la prima volta abbiamo registrato ad Amburgo, città che offre tante possibilità di divertimento, a livello di feste e birra. Grande atmosfera in studio, abbiamo conosciuto tanta gente simpatica e divertente. Fu il nostro primo successo commerciale in Germania e Giappone, rimanemmo a lungo in classifica e finalmente potevamo vedere il nostro futuro come band professionista. Fortunatamente la nostra label é fallita e noi siamo approdati alla Virgin, cosa che ci ha dato grandi vantaggi in seguito. Arrivò anche il nostro primo tour vero e proprio, assieme agli Iced Earth, altra esperienza molto divertente. Abbiamo fatto un sacco di feste assieme, e per questo abbiamo anche dovuto cancellare qualche data'! Con l’inizio degli anni Novanta, la band aveva creato una sala prove in un antico bunker antibombe risalente alla II Guerra Mondiale, che veniva anche affittato ad altri gruppi; già da allora, Hansi si distingueva anche nel ruolo di manager, con tanto di ufficio nel bunker: fu costruita anche una sala di registrazione, ove venivano incisi i promo-tape, ed era presente un piccolo magazzino dove accumulare birre, CD e merchandising. Non mancava un mini bar, sede di chiarimenti durante e dopo le prove. La trasposizione metallica dell’opera degli antichi cantastorie era evidente già da un bel po’, all’interno dello stile imposto dai metallers di Krefeld, ma si stava per accentuare ulteriormente, lasciando emergere riferimenti ed analogie con la cultura dei Bardi, antichi poeti e cantori dei popoli celtici, inizialmente facenti parte di una casta sacerdotale e istruiti per rappresentare e conservare il sapere collettivo. Presso le popolazioni gaeliche e galliche, i Bardi assunsero la forma di poeti professionisti ingaggiati dai Signori locali per comporre loro degli elogi, mentre nel Romanticismo il termine “bardo” venne reintrodotto per indicare dei poeti lirici: in ogni caso, erano dunque personalità importanti, tutt’altro che giullari, figure troppo affascinanti e mistiche per non suscitare l’interesse dei cultori più sofisticati dell’heavy metal epico. Come gli antichi bardi viaggiavano di corte in corte, sperando nell’ospitalità di qualche signore o di qualche oste che offrisse loro un posto-letto in cambio di liete novelle raccontate attorno al focolare, così i Blind Guardian stavano da tempo portando alla cultura metallica qualcosa di intenso e poco comune, costituito da musica elevata e contenuti profondi, distanti dalla solita accozzaglia di rozzi cliché e piatti stereotipi, spesso e volentieri accostabili al frivolo binomio donne & motori, abusato oltre ogni soglia di normale sopportazione. Nulla di più distante dall'intrigante universo dipinto dai cinque tedeschi.

Se già nei precedenti dischi i Blind Guardian avevano reinterpretato il power metal con una potenza ed un’aura tutta personale e particolare, con Somewhere far Beyond (1992) danno al genere stesso uno scossone ancor più considerevole, prendendo una direzione unica, caratteristica, inconfondibile e forse irrevocabile. Le trame medievali ed i melodici arrangiamenti di derivazione neoclassica si fanno sempre più curati ed importanti nell’economia di un sound che resta epico, roccioso, prestante e veloce nei suoi assalti ultraspeed, ma che stratifica i propri orizzonti articolandosi in brani più complessi e variegati, nei quali la veemenza e la rapidità esecutiva acquistano maggior armonia, e si intersecano con più fluidità in trame non necessariamente sparate a ritmi forsennati. Aperta da un pregevole arpeggio acustico, Time What Is Time cresce in un imponente escalation di possenza, spiccando per i cambi di tempo repentini, le velocità comunque travolgenti, le linee vocali evocative ed irresistibili ed una sezione solista ammaliante; il binomio d’apertura è assolutamente mozzafiato, rafforzato dal devastante e maestoso riffato di Journey Through the Dark, altra scorribanda vertiginosa dal chorus irresistibile: con due pezzi del genere, il disco già tuona importanti pretese di leggenda, e mostra sontuosi riferimenti melodici dai tratti enfatici, sapientemente mescolati alla consueta dinamica tellurica dello speed-power teutonico, eccellente quando si scatena col piede schiacciato a tavoletta sul pedale dell’acceleratore. La produzione dei “Guardiani” poggia su una gamma di riff marziali assolutamente memorabili, una sequenza di intuizioni vigorose e roboanti, che ben si intessono su trame affascinanti e avvolgenti. La breve ballata Black Chamber ed il solenne mid-tempo Theater of Pain spezzano i ritmi serrati e introducono cospicue sonorità medievali, tanto che la sensazione è proprio quella di trovarsi nella secolare fortezza di qualche castellano, arroccata su una rupe e circondata dai boschi. La sensazione permane durante The Quest for Tanelorn e Ashes to Ashes, magistrali nell’abbinare chorus evocativi a nervose accelerazioni da headbanging, ricolme di adrenalina: la tensione esplode cospicua nell’arco di questi altri due pezzi eccellenti, nei quali le scorribande a briglia sciolta si confermano eccezionale trademark del combo europeo. Si giunge così ad un classico da pelle d’oca, The Bard’s Song- Into the Forest, nuovo inno della band nonché ballata acustica di straordinario coefficiente tecnico dedicata alle vestigia dei Bardi; l’atmosfera è sacrale e densa di emozioni, per un brano che dal vivo tocca nel profondo le corde più intime degli amanti di questa grande band. The Bard’s Song- The Hobbit riprende il tema -ed, in parte, alcuni frammenti melodici, oltre che un passaggio vocale- della precedente traccia, dotandole di arcigne chitarre elettriche e maggior carica musicale; la composizione scorre come un mid-tempo epico e ritmato fino ad una vigorosa e caratteristica accelerazione e si collega all’impareggiabile titletrack, Somewhere far Beyond, nella quale vengono condensati tutti gli elementi tipici del five pieces di Krefeld: si accelera, si rallenta, la melodia sgorga e si sublima attraverso assoli stupendi e chorus pregni di pathos. Uno stacco di cornamuse arricchisce la composizione e la rilancia verso un guitar solo avvincente e toccante, importante testimonianza del validissimo lavoro alle sei corde di Olbrich e Siepen: persino la bonus track Trial by Fire, con i suoi ritmi impellenti, i riff aitanti e l’assolo fulminante è talmente bella da poter eclissare da sola canzoni ben più celebrate di band meno dotate. Le parole di Kursh ravvivano la memoria: 'Grande lavoro di songwriting per questo disco, non più così spontaneo come in precedenza. Tecnicamente, Somewhere era motlo migliore dei dischi precedenti, anche a livello di complessità delle canzoni. E' il primo dei nostri album che ha un pò il carattere del concept, attraverso i bardi che concatenano i brani. Era un periodo difficile per me, mio padre stava per morire... Il disco ha riscosso un gran successo, ha aperto molte porte in europa per noi; seguì un altro tour con gli Iced Earth, in sale ancora più grandi, e la nostra prima visita in Giappone'. Il songwriting si fa maniacale e curatissimo anche nella stesura di testi di estrazione letteraria, esaltati dalla performance grandiosa del sempre ottimo Hansi Kürsch: Time What Is Time è ispirata al libro di Philip K. Dick Il Cacciatore di Androidi, The Quest for Tanelorn si rifà al libro di Michael Moorcock Elric di Melniboné, mentre The Bard’s Song: In the Forest e The Bard’s Song: The Hobbit sono ispirate al romanzo di J.R.R. Tolkien Il Signore degli Anelli, infine, Somewhere far Beyond si basa sulla serie di racconti de La Torre Nera di Stephen King. Questi rimandi letterari erano figli del comune interesse per le opere di grandi narratori fantasy, anche se i più accaniti divoratori di tali romanzi erano Hansi e Markus, determinati a creare qualcosa di nuovo che non sembrasse mai forzato. A tal proposito, Hansi Kursh una volta ha esposto un interessante parere: 'Questo tipo di testi é quello che meglio si adatta alla nostra musica, ne siamo tutti convinti, e poi crediamo di saperne qualcosa e di poter realizzare liriche che siano interessanti. Ogni gruppo sceglie di trattare certe tematiche, noi abbiamo deciso di cimentarci in questo campo; i testi li scrivo quasi esclusivamente io, anche se spesso mi arrivano idee ed inputs dagli altri del gruppo, che poi cerco di tradurre in un testo compiuto. Mi piace dare sfumature diverse alle storie che scrivo, ispirandomi ad una fonte 'classica' per poi costruire un'altra vicenda, che a volte non hanno nulla a che vedere col libro'. Grazie ad un’impennata qualitativa vertiginosa, il combo teutonico raccolse una notevole messe di consensi, raggiungendo un successo quasi insperato, soprattutto in Giappone: e proprio nel paese del Sol Levante fu registrato Tokyo Tales, un’impeccabile live-album registrato durante il tour dell’ultimo full length: la poderosa accoppiata Inquisition-Banish from Sanctuary lasciava spazio alle fresche stilettate di Journey Trough the Dark e Time What Is Time, ben amalgamate con vecchie scorribande quali Valhalla, Majesty, Welcome to Dying, Lost in the Twilight Hall o Goodbye My Friend, consegnando alle voraci frange di fans un prodotto di primo livello ed ottima resa sonora, una splendida istantanea della prima importante porzione di carriera di questi infallibili Bardi, apparentemente incapaci di errori. Una tesi che avrebbe trovato ulteriori conferme. Ricorda Hansi. 'In quel tour avevamo tantissima energia da liberare sul palco, ma la produzione di Kalle Trapp ci ha un pò limitato su quel disco live. Voleva modificare un pò troppo il nostro sound: troppi overdubs, troppe correzioni, il suono non é malissimo ma avrebbe potuto essere molto migliore, più diretto. Abbiamo preso la decisione di non lavorare più con Kalle e di cercare qualcun altro per il disco successivo'. Quel 'qualcuno', ricercato in sede di produzione, si chiamava Flemming Rasmussen, aveva firmato i più splendenti capolavori ottantiani dei colossi Metallica e avrebbe dato vita al suono meraviglioso del nuovo disco in studio dei Bardi.
Sembrava avessero toccato il cielo, i Blind Guardian, eppure il meglio doveva ancora arrivare: superando anche se stessi, nel 1995 rilasciarono il cattedratico Imaginations from the Other Side, cupo, pesante, ridondante. Devastante e melodico, ancora più che in passato: un capolavoro di tecnica, ulteriormente accentuato nella sua perfetta sincronia tra dirompenti assalti rapidi ed armonie medievali, aggrappato liricamente ad un universo letterario fantastico che si pone come allegoria della vita: la lotta incessante tra il bene e il male, la voglia di fuga ed il sogno di un abbandono ad un mondo surreale ed utopistico. La coppia Olbrich-Siepen intesse una nuova messe di riff statuari e colossali, capaci di ritagliarsi da subito un posto rilevante nella storia dell’intero panorama heavy metal: nulla è lasciato al caso, le trame si fanno sempre più articolate e ricche di poliritmie, ed anche se la velocità resta centrale ed elevatissima è possibile godere di un campionario di soluzioni, ambientazioni, armonie e dinamiche assolutamente sterminato. Il disco era nato attraverso un processo lungo e travagliato: durante le registrazioni, infatti, Hansi fu colpito da alcuni problemi di salute, e Siepen si infortunò ad una mano, venendo successivamente operato; si pensava addirittura che dovesse appendere lo strumento al chiodo. L’atmosfera era tesa e silenziosa, senza scherzi né risate, la situazione sembrava dover precipitare da un giorno all’altro, ma i ragazzi tennero duro e alla fine ne uscirono più forti del fato, più forti di tutto, producendo l’album migliore della loro discografia, quello che la critica unanime tende a considerare l’apice di una ricchissima parabola evolutiva. L’immensa titletrack mette subito le cose in chiaro, con un drumworking asciutto, tellurico, ed atmosfere intimidatorie, guidate dal vocalsim ieratico di Kürsch, alle prese con i soliti chorus pomposi e drammatici; le accelerazioni da capogiro ed un assolo convulsivo dai tratti spettacolari, gli stop con ripartenza e i continui cambi di atmosfera confezionano un brano ineguagliabile, che lascia subito il solco. Si corre a perdifiato e si scuote la testa senza sosta attraverso le galoppate sferzanti ed i riff magistrali di I’m Alive e The Script for My Requiem, episodi monumentali, altrettanto dotati di un riffery imperioso, chorus marziali, rallentamenti e sfumature emozionanti. Sembra difficile comprendere come si possa concentrare in singole canzoni così tante sfaccettature di derivazione epica, medievale, celebrando al contempo i tratti solenni di un sound ineguagliabile e le possenti accelerazioni speed metal necessarie a scatenare il fermento degli headbangers più fervidi; eppure i Bardi di Krefeld ci riescono superbamente, arricchendo la loro opera con episodi intrisi di magia e gloria campale come Mordred’s Song o Bright Eyes (pur dotata di una repentina accelerazione finale), oltre che con un’intensissima ballata dai tratti regali come A Past and Future Secret, che sembra celebrare l’avanzata compunta di un sovrano a cavallo, scandita dallo squillo di trombe ed accompagnata dagli sguardi timorosi dei popolani verso l’accesso al ponte levatoio. Il disco poggia su un sound definito e nitido nei suoni, quadrato e prestante, arroccato attorno al martellante lavoro di Thomas Stauch dietro le pelli; al resto pensano le rocciose chitarre, gagliarde e nerborute in fiondate ritmiche come Born in a Mourning Hall, erculea contrapposizione tra serrate da delirio e refrain che avrebbero potuto risuonare attorno ad un focolare in qualche corte dell’anno Mille, o Another Holy War, uno dei capitoli più avvincenti e convincenti dell’intera discografia dell’act tedesco: una dirompente sfuriata di speed-metal irresistibile, nel riffato quanto nei cori, un brano terremotante e maestoso, incentrato sulla vita di Gesù Cristo. La ricchezza melodica e la striatura armonica che si coglie in coincidenza con la sezione solista è degno contraltare di trame esplosive e riff efficaci, scoccati come frecce dall’arco dei due prodi chitarristi, una costante che si fa sentire in tutto l’album, un masterpiece completato dalla evocativa And the Story Ends, uno spettro di melodie, ritmiche ed ambientazioni talmente consistente da suonare commovente. Il disco rasenta la perfezione.

Non è un caso: praticamente tutte le composizioni di questo full length, così come quelle del precedente, sono mini-opere d’arte, nelle quali gli arrangiamenti sono sofisticati e variegati; il duello costante tra melodie acustiche e sciabolate elettriche raggiunge livelli stellari, articolandosi in trame complesse, assoli squisiti e riff indimenticabili, pesanti come macigni. Parola di Hansi Kursh: 'Fu il disco più difficile a livello di songwrinting, avevamo tante idee ma non volevamo fare un disco troppo simile a Somewhere; allora abbiamo provato e riprovato cercando soluzioni nuove. Ci abbiamo messo sei messi a comporre la titletrack, e ci siamo resi conto che avremmo dovuto andare più veloci con gli altri pezzi. per un mese poi non siamo riusciti a scrivere nulla, e la cosa ci ha reso abbastanza insicuri. per fortuna con gli altri brani siamo riusciti ad andare più spediti. Il periodo in studio é stato molto lungo e continuamente interrotto da problemi familiari e malattie, alla fine é andato tutto il meglio ma é stato davvero stressante'. La sensazione è quella di trovarsi a cavallo, fasciati da lucenti corazze, lanciati al galoppo, a folle velocità: le chitarre sembrano attaccare contemporaneamente da tutte le direzioni, piovendo come dardi avvelenati da un cielo solcato dai falchi. E mentre l’avanzata incalza, all’interno di verdeggianti foreste, ci si avvicina ad un poderoso castello, alternandosi costantemente tra potenza e melodia: modulare la velocità e dare un break agli assalti frontali significa portare l’ascoltatore ora in mezzo a feroci ed eroiche battaglie cavalleresche, scandite dall’incrocio di spadoni e giavellotti, ed ora tra tranquilli villaggi ai piedi di minacciosi manieri, borghi contadini nel quale assistere agli avventurosi racconti dei cantastorie. Ritornando sull'argomento testi, in un'intervista del 1995 fu fatto notare ad Hansen che Chris Boltendahl, leader dei Grave Digger, considerava le tematiche fantasy quasi forzate ed obbligate per una metal bands, perché quei temi sono gli unici desiderati dai 'kids'; la risposta di Hansi fu pronta e stentorea: 'Non sono d'accordo per niente, dipende solo dal tipo di testi che si scrivono; prendi per esempio i Metallica, loro non hanno testi fantasy ma presentano ugualmente liriche stupende, e sono convinto che i loro fans diano giusta importanza anche ai testi, non solo alla musica. Anche i testi dei Grave Digger, per quanto ne so, non sono esclusivamente fantasy; se i testi delll'heavy metal dovessero essere solo fantasy, penso che mi metterei a cercare di proporre qualcosa di diverso, perché non mi piacciono i clichè e penso che ogni genere di testo, se ben concepito, possa essere adatto ad un pezzo metal. Il problema, semmai, é essere ing rado di trattare in maniera esauriente un tema 'serio' all'interno di una canzone, cosa che non é affatto facile. Comunque, vorrei sottolineare la differenza tra il nostro approccio ai testi, che può senz'altro essere definito fantasy, e quello di bands come Grave Digger e Running Wild; se io fossi in loro forse crcherei di sperimentare qualcosa di nuovo, mentre noi abbiamo ancora un sacco di storie interessanti da raccontare. Ogni tipo di testo può funzionare, anche i Dream Theater ad esempio non toccano per niente la fantasy eppure hanno dei testi decisamente intriganti, li trovo anche migliori della loro musica'! Gli anni successivi porteranno i prodi bardi su territori più sperimentali, e così Imaginations from the Other Side resta il più fiero suggello ad una prima parte di carriera irripetibile.

1988 BATTALIONS OF FEAR 1989 FOLLOW THE BLIND 1990 TALES FROM THE TWILIGHT WORLD 1992 SOMEWHERE FAR BEYOND 1995 IMAGINATIONS FROM THE OTHER SIDES 1998 NIGHTFALL IN MIDDLE EARTH 2002 A NIGHT AT THE OPERA 2006 A TWIST IN THE MYTH 2010 AT THE EDGE OF TIME


DISCOGRAFIA COMMENTATA

Battalions Of Fear [1988]: Debutto grezzo e potentissimo per i Guardiani tedeschi, autori di un power metal massiccio dalla ritmica quasi thrash chiaramente ispirato alle sonorità dei connazionali Helloween. Follow The Blind [1989]: Con una maturità artistica più elevata, i giovani tedeschi tornano sul mercato con un altro massiccio esempio di power metal veloce e possente, ma più ricercato nella melodia e nelle liriche fantasy. Tales From The Twilight World [1990]: Completa la prima parte di carriera dei Blind Guardian accentuando ulteriormente la melodia chitarristica al fianco delle prepotenti trame power-speed ereditate dagli Helloween e più enfatizzate in compattezza ed epicità. Somewhere Far Beyond [1992]: Il disco della svolta: la ricercatezza tecnica e stilistica si fa sempre più fine, orientata verso marcate melodie medievaleggianti per una serie di composizioni potenti ed evocatorie che hanno ormai intrapreso uno stile ben definito. Imaginations From The Other Sides [1995]: Il capolavoro definitivo dei Blind Guardian: ormai il sound epico, ultra melodico e potentissimo è un marchio di fabbrica, e i Nostri utilizzano al meglio le intricate trame di chitarra per dare alla luce canzoni memorabili intrise di leggenda ed enfasi. Drum quadrato e martellante, velocità sonica e dinamicità perenne, tridimensionalità dei suoni, riffoni tonanti ed atmosfere incantate che suggellano la gemma più splendente della raffinata produzione dei Guardians. Nightfall In Middle Earth [1998]: La seconda traide di gioielli si conclude con un disco dal maggior sapore sinfonico, che acquisisce una vena melodica superlativa grazie alle meravigliose trame di chitarra. Riff e potenza non vengono esclusi, ma rivestono un ruolo meno roboante in un disco raffinatissimo che va ad esplorare con grande emotività l'enorme perizia tecnica del combo centro europeo. A Night At The Opera [2002]: I Guardians procedono sulla strada stilistica della ricerca sinfonica, con un risultato piacevole ma meno energico ed esplosivo. A Twist In The Myth [2006]: Parziale tentativo di recuperare la vecchia potenza senza perdere le introduzioni melodiche e sionfoniche, ma con risultati non troppo originali e memorabili. At The Edge Of Time [2010]: nonostante l'annunciato ritorno a sonorità più violente, il disco mixa la potenza di 'Twist' alle orchestrazioni di 'Nightfall', cogliendo dunque il meglio dell'ultima porzione di carriera dei Guardian. PHOTO ALBUM.




IL METAL SECONDO JEFF WATERS

IL LEADER DEGLI ANNIHILATOR: "IL METAL OGGI? E' SOLO UN TREND COMMERCIALE, REGNA L'IGNORANZA!"

IL FENOMENO ANNIHILATOR poggia le sue basi sulla mente e la musica di Jeff Waters, il chitarrista fondatore e leader di questa storica compagine del thrash metal. Dopo i grandi successi di Alice In Hell e Never, Neverland, Jeff ha trasformato negli anni la band in un vero e proprio progetto solistico, che si traduce in cambiamenti radicali della band, che si esibisce in collaborazione con numerosi musicisti di fama mondiale, come il pirotecnico batterista Mike Mangini e il cantante Dave Padden. Addirittura, Waters ha alle spalle un album (Remains, 1997) in cui canta e suona tutti gli strumenti in tutte le canzoni! Dopo l'uscita dell'ultimo, importante "Metal" (2007), Jeff ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni sulla scena metal contemporanea. “Il metal oggi? Un trend, per la miseria! Credimi, al giorno d’oggi in Canada e negli Stati Uniti il metal ha una risposta commerciale pazzesca! Tutti quelli che non ascoltano rap sono classificati come metalheads, ah,ah,ah! In realtà bisognerebbe operare una distinzione, perché il music-biz mostra la tendenza a mettere nello stesso calderone tutto quanto abbia una batteria e una chitarra e di definirlo “heavy metal” senza operare una distinzione tra il nu-metal e la vecchia scuola. Qui ci sono appassionati di metal classico, di metalcore, i gotici…ma ovviamente l’industria musicale mette tutti sullo stesso livello! Vengono definiti come “heavy metal” gruppi come i Megadeth, gli Slayer, o i Metallica… Comunque, queste band riscuotono un enorme successo, ma occorre “acculturare” gli ascoltatori spiegando come il loro sound sia in realtà molto diverso e come si sia evoluto nel corso del tempo”. Insomma, a buon intenditore poche parole!

TUTTI CHE SI LAMENTANO, CHE PALLE!

Spesso navigo in rete e osservo blog, leggo opinioni, emozioni. Come adesso. Stavo cercando qualche blog che parlasse dei Metallica, ma invece di trovare ciò che cercavo ho trovato -come spesso- appunti sparsi, di metallari e non, che si lamentano della vita. Non necessariamente piangendosi addosso, nè tantomeno (o non solo, ecco) con discorsi filosofici e astratti: gente che rivive l'ultimo anno, o la sua vita in generale, e osserva che sono maggiori le cose negative che quelle positive. Frasi di questo tipo mi intristiscono, e mi fanno incazzare. Perchè è vero che la vita è piena di difficoltà, ma se vogliamo possiamo trovare anche tante cose belle. Possiamo regalarcele. Magari sapendo gustare qualche piccola fottuta cazzata, ricordandoci che la vita è na sola e non serve a nulla passarla in tormenti: al diavolo tutte le merdaglie, pensiamo solo alle cose positive. Dimentichiamo subito tutte le fottute inculate, e diamo più valore a ciò che ci piace e ci fa sorridere. Non è moralismo, è quello che faccio io: me ne sbatto di tutto quanto mi rompe le palle e vivo col massimo entusiasmo le figate. Provateci e poi vediamo!
ERIC ADAMS

LOUIS MARULLO, in arte Eric Adams [pseudonimo nato dalla fusione dei nomi dei suoi due figli], nato il 7 dicembre [l'anno, come solito per i membri del gruppo, non è stato reso pubblico] a Auburn, New York, è il cantante del gruppo statunitense Manowar dal 1980, anno della sua fondazione. Eric Adams conobbe Ross the Boss quando i due ragazzi erano ancora alle scuole superiori. Quando il futuro chitarrista decise di fondare una band epic metal assieme al suo amico Joey DeMaio, la scelta per il cantante ricadde proprio su Eric, che Ross aveva sentito più volte esibirsi, anche in piccole formazioni rock. Accettato l'ingresso del gruppo, Eric ne divenne ben presto l'icona, grazie soprattutto alla sua grande voce e alla sua disponibilità con i fan. Eric Adams è un ex enfant prodige: infatti a 12 anni entrò a far parte della band 'The Kidz', un gruppo di ragazzi di età compresa fra i 10 e 13 anni, come cantante e chitarrista. Eric è famoso per la sua voce graffiante e melodica e per la sua capacità di variare vocalmente da note basse e rauche per arrivare a note simili a quelle dei cantanti d'opera lirica con estrema facilità. Adams riesce a proporre tre o quattro tipi di tonalità diverse, variando dallo screaming al canto acuto, e a proporre tratti canori continui della durata superiore ai 35 secondi, grazie ai quali si è guadagnato il soprannome di Golden Voice. Nel 1999 ha eseguito in omaggio ai fan italiani il Nessun Dorma di Giacomo Puccini, cantato a Milano ripetendo per ben due volte il ritornello, cosa mai fatta da nessun cantante: il brano verrà poi riproposto nell'album Warriors of the World del 2002. Nel 2002 invece si è distinto per aver duettato con la soprano Sarah Brightman nella canzone Where eagles fly, mai pubblicata ufficialmente, ma rintracciabile in rete. Eric Adams è dotato di una estensione molto elevata. Lo si puo sentire nelle varie canzoni Blow Your Speaker-Secret of Steel-Dark Avenger-Hatred. Eric Adams sa suonare la chitarra e la tastiera, ma non propone mai uso di tali strumenti nei live e nei vari album dei Manowar.

'Ci siamo sempre esposti alle critiche di chi ci ritiene solo dei buffoni per come andiamo sul palco o per il nostro spirito guerriero, ed è chiaro che queste persone non sopportano l’idea di vedere che i Manowar hanno gli attributi per continuare il discorso iniziato anni fa senza snaturarsi ed avere un look più ‘normale’, e cercano in tutti i modi di affossarci. In fondo è divetente vedere queste persone all’opera nel patetico e infruttuoso tentativo di danneggiarci'. Eric Adams


'Senza i Manowar l'Heavy Metal è morto'
Eric Adams
ATTESA METALLICA!!

Non stiamo più nella pelle: nel giro di uno/due mesi dovrebbe uscire il nuovo attesissimo album dei Metallica, e la cosa che scatena di più la mia immaginazione è il fatto che i 4 cavalieri stanno preparando un lavoro vecchio stile. Niente similitudini con St Anger, Load o Reload, buoni album ma mai all'altezza dei capolavori anni '80. Un ritorno ai livelli d'oro sarebbe fantastico! MA QUANDO ESCE!??? Non vedo l'ora di avere quel disco nel mio stereo!! Intanto deliriamo un pò leggendo l'intervista che il buon Lars ha rilasciato tempo fa e che ho beccato sul sito http://www.rockstar.it/...

Dopo l’ondata di cattiveria nuda e cruda di “St. Anger” i Metallica tornano a uno stile di composizione tipico del loro passato. La band americana è attualmente in studio con Rick Rubin per concludere le registrazioni del nono album che dovrebbe uscire a Febbraio 2008: “Per la nostra salute e la sopravvivenza creativa abbiamo bisogno di cambiare circostanze e dinamiche” ha spiegato il batterista Lars Ulrich durante un’intervista con Examiner.com sul cambio di produttore, da Bob Rock a Rubin “Ci siamo spogliati di tutti i nostri meccanismi di difesa, è stato molto stimolante avere una nuova sfida. Rick ha preso tutta la nostra esperienza in studio e l’ha completamente ribaltata”. La nuova frontiera stimolata da Rubin ha portato i Metallica a ritrovare un suono e uno stile vecchio di circa 20 anni: “La maggior parte delle introduzioni dura dai quattro ai cinque minuti.I Metallica non sono mai andati d’accordo con le canzoni brevi. Mentre con ‘St. Anger’ prendevamo a pugni l’ascoltatore, questo nuovo album ricorda il nostro materiale degli anni ’80, viaggi lunghi ed epici attraverso differenti panorami musicali, molto pesanti, ma anche melodici”. Nel resto dell’intervista Lars Ulrich rivela alcuni titoli provvisori come “10”, “19”, “German Soup”, “Glass Cow” o “Black Squirrel”, ma soltanto alcune di questi manterranno il nome originale: “I titoli provengono dall’idea che li ha generati, come ‘Glass Cow’ che si riferisce alla città di Glasgow, e se non ci viene nulla di carino mettiamo i numeri”.
Fabrizio Galassi
FONDAMENTALMENTE SLAYER

GLI SLAYER sono una della band più influenti del panorama storico del metal. Il motivo di ciò è rintracciabile nel fatto che la band di Araya ha praticamente inizializzato l'estremizzazione del genere, introcucendo sonorità molto più dure e per nulla melodiche. In pratica con l'avvento degli Slayer c'è stata una prima ramificazione in seno al thrash metal, che ha così trovato un filone diverso dal genere classico (e splendido, il migliore in assoluto per me) e meglio apprezzabile per qualità e grandezza della musicalità.
CARATTERISTICHE. Tratti distintivi della loro musica sono assoli veloci ed alternati, rapidissimi grooves batteristici, doppia cassa martellante. Gli Slayer pestano davvero, ma la loro musica non perde mai di particolarità, di tecnica, di trasporto. Araya canta urlando, ma non in growl, e soprattutto in uno stile tutto suo, che lo differenzia da tutti gli altri singer del thrash estremo, che si somigliano molto.
CHI SONO. Gli Slayer si sono formati a Los Angeles nel 1981. Sono ritenuti tra i principali sviluppatori del loro genere, insieme a Metallica, Megadeth ed Anthrax. La band è nota anche per il suo contenuto dei testi, che toccano argomenti riguardanti satanismo, nazismo, guerra, violenza, serial killers e religione. Tuttavia hanno sempre smentito di essere ispirati da ideologie negative; anzi, Araya dichiara di "credere in qualcosa di superiore che ci ama tutti indistintamente". In poche parole: se uno parla di nazismo o satanismo non vuol dire che sia nazista o satanico. Semplicemente ai perbenisti infighettati che vogliono censurare il metal dà fastidio sentir parlare di certi tabù per la loro società implastichita!
L'IMPORTANZA DI REIGN IN BLOOD.
Ritmi forsennati, che dimostrano tutta la bravura del batterista Dave Lombardo, non un attimo di respiro, nessuna concessione alla melodia, solo violenza pura come mai nessuno aveva suonato prima: da allora sono nate decine di band imitatrici o sviluppatrici del genere. Il seme iniziale, però, era stato gettato dagli Slayer. A Reign In Blood è seguito l'altrettanto importante South Of Heaven, mentre successivamente gli Slayer sono proseguiti per la loro strada senza mai ammorbidire il loro sound. Un difetto forse, visto che i cd successivi sono molto simili tra loro (esclusi un paio di esperimenti poco apprezzati dai fan più oltranzisti); però il marchio Slayer si è così saldato nel tempo, creando uno style ed un sound inconfondibile che marca a fuoco ogni lavoro del gruppo americano.


Annichilator. Gli Annihilator sono la band che più di tutte ha saputo forgiare ed evolvere il concetto di technical thrash metal, merito soprattutto del grande virtuosismo di Jeff Waters, uomo simbolo di una sorta di one-man band che ha saputo crescere e cambiare pelle negli anni senza mai perdere di vista il suo stile personale. Canadesi, gli Annihilator nascono quando il ragazzino Jeff Waters, cresciuto a Vancouver a pane e metal classico [soprattutto gli Ac/Dc], incontra nel 1984 il singer John Bates, che lo introduce nel mondo di Slayer, Metallica ed Exodus. Un connubio fra metal classico e thrash pesante che, con mix e rapporti diversi a seconda dei diversi momenti di vita della band, ha finito per rappresentare il trade-mark di ogni disco degli Annihilator. Tre demo dopo, nel 1988, Waters riesce a spuntare un deal con la Roadrunner per un disco che uscira' nel 1989. All'apice del movimento thrash, quando ci si muoveva su binari molto tecnici, arriva 'Alice in Hell', ricco di quintali di riff, cambi di tempo, assoli di basso e chitarra. L'album è un richiamo del thrash anni '80 stile Metallica e Slayer, ma con un tocco di originalità e tecnica virtuosissima sia nella parte compositiva che in quella chitarristica. Un disco che in un modo o nell'altro ha segnato gli ascolti di molti metallari dell'epoca. Le parti vocali sono affidate all'ex bassista degli hardcorer D.O.A. Randy Rampage. Da qui in poi iniziera' però la girandola di cantanti, chitarristi, bassisti e batteristi, gia' a partire dal successivo grandissimo 'Never, Neverland'. Il sound globale dell'album è un'evoluzione di quanto proposto dalla band nel precedente album, si mantiene sulla coordinate di un thrash metal che deve molto, in quanto a riffing, ai migliori Megadeth, ai quali miscela parti che possono essere definite più 'folli' e che contribuiscono a rendere l'album più interessante e fanno emergere un certo humor compositivo, trademark fondamentale della band fin da Alice in Hell. Alla voce si distingue stavolta Coburn Pharr. Tuttavia la casa discografica stava per chiedere a Waters un grosso sforzo compositivo, vale a dire un album meno potente e aggressivo che potesse essere trasmesso anche per radio: nel 1993 esce dunque 'Set The World On Fire', col nuovo singer Aaron Randall. Proprio questo disco puo' essere segnato come spartiacque della carriera della band. Accusato di essere troppo commerciale, questo lavoro e' sicuramente piu' curato e laccato da un punto di vista della produzione, con canzoni piu' lente ed una ballad (meravigliosa, comunque), ma rimane di fatto un'ottimo lavoro di heavy metal americano. 'Set The World' costa comunque alla band il contratto con la Roadrunner e la necessita' di accasarsi con la Music For Nations, dove Waters continua a cambiare line-up e sfornare dischi con regolarita' impressionante. BIO: JEFF WATERS.

In 'King Of The Kill' Waters si mette anche dietro al microfono e canta e suona ogni strumento [esclusa la batteria] in ogni canzone del disco. Un buon album, ma che non soddisfa appieno i vecchi fan per via delle molte ballads. Nel 1996 l'uscita di 'Refresh The Demon' segna un ritorno ad un sound più forte e thrashy, ancora con Waters alla voce. Randy Black alla batteria e Dave Davis alla chitarra, con Waters che registra anche le parti di basso. 'Remains' (1997) vede di nuovo Waters impegnato con tutti gli strumenti, sulla stessa linea robusta del sound. In 'Criteria For a Black Widow' torna Randy Rampage, quasi con la magia dell'esordio, e il disco riesce a dare nuova vita e visibilita' alla band. Tanto che nei due dischi successivi -'Carnival Diablos' e 'Waking The Fury', ottimi- riesce il miracolo, con lo stesso cantante (Joe Comeau, chitarrista degli Overkill) che sembra aver trovato un certo equilibrio con Waters. Invece nel 2004 ricomincia il giro di vocalist, con l'arrivo di Dave Padden. Con lui gli Annihilatro pubblicano quattro album molto potenti ed interessanti, e ad oggi è proprio Padden il singer del combo canadese. In ogni caso, i continui cambi di line-up non sono da considerarsi una defezione, perchè hanno portato ispirazioni e stili sempre diversi che hanno permesso alla band di durare a lungo e con una ventata di novità e freschezza sempre evidenti.

Discografia e cantanti: 1989 ALICE IN HELL (Rampage) 1990 NEVER, NEVERLAND (Pharr) 1993 SET THE WORLD ON FIRE (Randall) 1994 KING OF THE KILL (Waters) 1996 REFRESH THE DEMON (Waters) 1997 REMAINS (Waters) 1999 CRYTERIA FOR A BLACK WIDOW (Rampage) 2001 CARNIVAL DIABLOS (Comeau) 2002 WAKING THE FURY (Comeau) 2004 ALL FOR YOU (Padden) 2005 SCHIZO DELUXE (Padden) 2006 METAL (Padden) 2010 ANNIHILATOR (Padden).

Anthrax. Gli Anthrax sono il pilastro più scanzonato e ottimista dei celebri Big Four del thrash metal americano, fondato a New York dal chitarrista Scott Ian e dal bassista Dan Lilker. Sono noti come i capofila del loro genere, insieme ai Metallica, ai Megadeth e agli Slayer. L'idea per il moniker della band venne a Ian e Lillker sfogliando un libro di biologia. Inizialmente John Connelly collaborò nella band come cantante senza mai effettivamente aderirvi, mentre la line-up del gruppo fu completata con l'arrivo del batterista Dave Weiss e del bassista Kenny Kushner. Poco dopo Connelly lasciò la band e nel 1984 fondò con Lilker i Nuclear Assault. Kushner non ritenuto sufficiente per le esigenze del gruppo fu ben presto sostituito da Paul Kahn, ma anche Kahn non funzionò per la band, così Lilker scelse di assoldare come chitarrista il bassista Greg Walls, a sua volta rilevato, in seguito, da Bob Berry. Alla fine di agosto del 1982 prese a far parte del gruppo anche il bravo Neil Turbin, cantante di matrice heavy metal classico, con una voce potente e stridula. In questo periodo la band eseguì numerose esibizioni live a New York e nel New Jersey. Nel luglio 1982 la band incise il suo primo demo in pieno stile NWOBHM. Il batterista Weiss fu ben presto sostituito da Greg D'Angelo. La permanenza di Berry nella band breve: infatti fu presto sostituito da Dan Spitz, che aveva precedentemente collaborato con la thrash metal band Overkill. Con Spitz, nel mese di settembre, fu registrato un secondo demo che conteneva all'interno 'Soldiers of Metal' e 'Howling Furies' tratto dal precedente demo registrato con Greg D'Angelo alla batteria. Dopo questo secondo lavoro la band viene notata dalla Megaforce Records, storica etichetta underground americana, che li mette sotto contratto. Poco dopo la firma, alla fine del 1983, gli Anthrax iniziarono a registrare il loro album di debutto. Il primo album della band, 'Fistful of Metal', pubblicato nel 1984, è caratterizzato da un thrash metal acido, grezzo e seminale, considerato, insieme ai debutti di Metallica e Slayer, tra i dischi che segnano la nascita del genere. Pezzi velocissimi e urticanti come 'Deathrider' o il singolo 'Soldiers of Metal' ne sono chiara dimostrazione, mentre 'Metal Thrashing Mad' è da molti ritenuta la fonte d'ispirazione dalla quale le fanzine coniarono il termine 'thrash'. Mentre il thrash spopolava e faceva proseliti in California, e in particolare nella Baia di Frisco, gli Anthrax iniziarono a mettere a ferro e fuoco il Continente partendo da una zona geografica differente, quella a ppunto della grande Mela. Subito dopo la registrazione del disco e qualche data dal vivo, il cantante Neil Turbin viene allontanato dalla band per mancanza di carisma. A prendere il suo posto è il talentuoso e ben più versatile Joey Belladonna. BIO: SCOTT IAN.

La band, con il nuovo cantante, dà vita a un sound più personale e meno legato agli stilemi dell'heavy classico mescolato con il punk. Non contento della nuova direzione, Lilker lascia e fonda i Nuclear Assault. Viene rimpiazzato dall'italo-americano Frank Bello. Nel 1985 il gruppo dà vita all'album capolavoro 'Spreading the Disease', che presenta un sound sempre potentemente thrash ma molto variegato, che passa dalla sferzata metal di 'AIR' alla più melodica 'Madhouse' fino al velocissimo inno anti-militarista 'Gung-Ho', ultima testimonianza di Lilker. In questo periodo la band cambia il proprio look a favore di un abbigliamento più skateboard-style e conquista il pubblico con slogan e gag esilaranti che ne fanno il 'clawn del metal'. Con 'Among The Living' [1986] viene dato alle stampe quello che da molti è considerato il capolavoro degli Anthrax. Le composizioni si fanno ancora più veloci e complesse rispetto al disco precedente, definendo uno speed'n'thrash molto melodico ma allo stesso tempo serrato e potente. Nel full length sono presenti alcuni tra i pezzi più famosi della band, come 'Caught in a Mosh', 'Among the Living', e 'I Am the Law', che riesce persino a entrare in classifica nel Regno Unito, nonostante la mancata trasmissione per radio a causa della presenza di termini osceni nel testo. Il disco è uno di quei classici imprescindibili nella collezione di un thrasher o metalhead che si rispetti: assieme a 'Master Of Puppets', 'Reign In Blood' e 'Peace Sells', conferisce alla band un'ulteriore spinta verso l'incoronazione, già peraltro decretata, di pilastro del thrash metal. Le caratteristiche del platter sono chiare: il lavoro è potente e roccioso ma non perde quella vitalità e freschezza tipica della band, il tutto suonato a ritmi rapidissimi ed esaltanti. Definire 'Among The Living' come un 'semplice' album thrash è però errato, perchè esso è strutturato, elaborato, e presenta varie sfaccettature: alla velocità di base non mescola una banale cruenza, ma sa dosare melodia, ritornelli azzeccati, ottimi riff e assoli importanti. I quattro pilastri del thrash si distinsero per avere ognuno una caratteristica precisa: gli Slayer erano i più cattivi ed estremi, i Metallica quelli più realisti e complessi nella loro vasta gamma di approcci al thrash metal, i Megadeth erano i più tecnici ed incentrati sulla discussione politica; gli Anthrax, invece, erano quelli più guasconi e allegri, nei testi come nel look e nelle sonorità. Eppure il fulgore di questa band fu relativamente limitato, perchè i due successivi dischi, State of Euphoria [1988, il più dinamico e ben riuscito, ricco di canzoni interessanti] e Persistence of Time [1990, tendente pesantemente al crossover], seppur ben fatti, non raggiungeranno il livello dei precedenti. Nonostante tutto vengono accolti abbastanza bene dai fans, che non potevano prevedere l'imminente declino dei Nineties. BIO: JOEY BELLADONNA.

Con l'album di b-sides Attack of the Killer B's, del 1991, trascinato dal singolo Bring the Noise, collaborazione con il gruppo rap Public Enemy, la band ha un successo planetario, che la porta ad imbarcarsi in un lungo tour mondiale prima in compagnia del gruppo sopracitato, e poi degli Slayer. Il successo dell'album, porta il gruppo a comporre pezzi sempre più commerciali. Ciò crea però tensioni tra Belladonna e la band, costringendolo ad abbandonare per dedicarsi ad una carriera solista. Viene rimpiazzato da John Bush in tempo per la registrazione di Sound of White Noise. Il disco, decisamente più rock rispetto ai precedenti, non ha il successo sperato, e questo, insieme a divergenze musicali, porta Dan Spitz a lasciare la band, costringendo Benante ad occuparsi così anche delle parti di chitarra solista in studio. Il disco in studio successivo, Stomp 442, è un totale flop commerciale. La mancanza di un chitarrista fisso dal vivo porta più volte la band sull'orlo dello scioglimento, e dovranno passare tre anni prima dell'uscita di un nuovo disco in studio. Successivamente le cose non migliorano, e, tra un 'best of' e l'altro, gli Anthrax sembrano sparire dalla scena.

Il ritorno sulle scene musicali con un nuovo prodotto si ha solo nel 1999 con Volume 8: The Threat Is Real. Il ritorno a livelli più rocciosi e degni del passato è invece datato 2003, con We've Come For You All, disco che segna un parziale ritorno alle sonorità del passato. Il gruppo si risolleva dal punto di vista commerciale, tuttavia Frank Bello è costretto a lasciare a causa di motivi personali. Recentemente la band si è riunita in formazione storica per un tour mondiale, ma nel gennaio 2007 Belladonna è nuovamente uscito dalla band che sembrava aver ripreso al microfono John Bush. Il 10 dicembre dello stesso anno lo sconosciuto Dan Nelson è ufficialmente il nuovo cantante della band. Viene annunciato un nuovo disco ma, a sorpresa, Turbin viene silurato a metà 2009, con la motivazione di una malattia negata dal frontman: Nelson ha dichiarato guerra alla band per averlo licenziato senza motivo nonostante lui avesse accettato di proseguire il rapporto anche nonostante la falsità della notizia sulla sua malattia. Così, quasi per magia, gli Anthrax tornano al passato e riabbracciano ancora Belladonna, giusto in tempo per immergersi nel tour che i thrashers di ogni latitudine attendevano da tempo: quel Big Four di cui tanto si era parlato a fine anni Ottanta e che ora, finalmente, vedeva calcare gli assi dello stesso palco da band come Metallica, Slayer, Megadeth e, appunto, Anthrax.

ANTHRAX DISCOGRAPHY

1984 FISTFUL OF METAL 1985 SPREADING THE DISEASE 1987 AMONG THE LIVING 1988 STATE OF EUPHORIA 1990 PERSISTENCE OF TIME 1993 SOUND OF WHITE NOISE 1995 STOMP 442 1999 VOLUME 8- THE THREAT IS REAL 2002 WE'VE COME FROM YOU ALL.

ANTHRAX NEWS
BIG FOUR SARA' TOUR! Annunciato un tour che vedrà sullo stesso palco i giganti del thrash ottantiano: Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax! LIVE REPORT: BIG FOUR OF THRASH [16 giugno 2010]. Accolto come manna dal cielo da una miriade di metalhead nostrani l’edizione Svizzera del Sonisphere Festival, grazie ad una line up da urlo, è stata da subito incensata come uno dei più grandi ed imperdibili eventi dell’estate 2010. LIVE REPORT: BIG FOUR OF THRASH [06 luglio 2011]. Finalmente in Italia il tour dei quattro pilastri del thrash: live report da quel di Milano.
DAVE MUSTAINE

DAVID SCOTT MUSTAINE. Antipatico, sbruffone, attaccabrighe per antonomasia: Dave Mustaine non è certo un tipo facile, e nel mondo del metal ha saputo subito farsi conoscere per il suo caratterino alquanto bizzoso. Ripudiato dai neonati Metallica per le troppe esagerazioni 'stupefacenti', Mustaine si è inventato i Megadeth, la band opposta, rivale dei 'tallica, creando non solo un nuovo pregiato pilastro del metal ma instaurando anche una rivalità ventennale fatta di polemiche, sgarri, ispirazioni copiate e punzecchiature colorite che hanno dato un sapore in più ai destini incrociati di queste due super potenze. Nato a La Mesa [California] il 13 settembre 1961, Dave crebbe in una famiglia abbastanza agiata: il padre era un impiegato di banca e la madre faceva la donna dei servizi. La sua infanzia fu, tuttavia, molto travagliata, dato che lui e la sorella dovevano subire molte volte maltrattamenti da parte del padre, quando tornava ubriaco a casa. La madre, non potendone più, ottenne il divorzio quando Dave aveva solamente 7 anni. Dopo qualche anno il padre morì e Dave, nonostante le sevizie subite, entrò in una forte depressione. Egli iniziò a dedicarsi alla musica, tant'è che con i primi soldi che riuscì a risparmiare comprò una chitarra. Con questo strumento si esercitava suonando con i dischi della sorella, in particolare quelli di Cat Stevens, un cantautore che Mustaine tuttora ammira molto. Con il tempo, i suoi gusti musicali si avvicinarono tendenzialmente al rock. Dave, inoltre, iniziava a coltivare anche la passione per l'Heavy Metal e per il Punk. Da adolescente, a causa della sua infanzia infelice che lo rese un ragazzo difficile, Mustaine frequentava i sobborghi poveri del Sud California, dedicandosi allo spaccio di droga. Agli inizi degli anni ottanta, formò il suo primo gruppo, i Panic, band che non ebbe lunga vita a causa di un istantaneo scioglimento.

Tramite un annuncio su un giornale, nel 1981 entra nei Metallica che lo accolgono stupiti dalla sua bravura con la chitarra. Però non lega mai con Lars Ulrich e James Hetfield, e anzi dopo continui litigi e incomprensioni viene cacciato accusato di abusi di alcool e droghe. Il successo con la band fu crescente, album importanti come 'Peace Sells', 'So Far So Good So What' e 'Rust In Peace' segnano pietre miliari nell'elite del thrash metal e i Megadeth entrano nella storia correndo a gomito con i grandissimi Metallica. Dave vive varie vicissitudini, come un arresto per guida da ubriaco e un processo di disintossicazione molto travagliato, dopo del quale si sposa e diventa padre. A metà anni '90 la band sembra perdere il vecchio fulgore. Nel 2002 un problema al polso lo porta ad appendere la chitarra al chiodo e sciogliere i Megadeth, ma con la stessa voglia di fare Dave torna presto a cantare per i Megadeth in nuova line up, e sfornare album come ai vecchi tempi, dopo essersi convertito al cristianesimo. Ormai più tranquillo, misurato e diplomatico, Dave ha dichiarato di non serbare più rancori verso Hetfield e i Metallica. Vero o meno, resta il fatto che il ragazzo ha fatto la storia: cantante simbolo dei Megadeth con la sua voce acuta e pungente, chitarrista sublime e personaggio sempre da copertina per i metallers.

La più conosciuta è l'ostilità con i Metallica, e precisamente con il batterista Lars Ulrich e ancor di più con il cantante/chitarrista James Hetfield. Mustaine sostiene di aver scritto molte delle canzoni dei Metallica, in particolare Leper Messiah. Hetfield rifiuta di riconoscerglielo. Molti fan dei Megadeth credono che la canzone Master of Puppets sia in realtà un lavoro di Mustaine e che i Metallica l'abbiano 'rubata'. Nel 2004, l'ostilità Mustaine-Metallica si riaccese quando delle riprese inedite di Mustaine furono usate nel documentario Some Kind of Monster senza la sua approvazione. Per questo motivo, in una intervista alla rivista Metal Maniacs, Mustaine chiamò Ulrich 'piccolo traditore' e gli dedicò la canzone Something I'm Not [dall'album The System Has Failed]. Con Hetfield, invece, i rapporti erano davvero pessimi e un giorno i due arrivarono ad un furente litigio. Tutto ciò avvenne quando Mustaine si recò a casa di Ron McGovney [primo bassista dei Metallica] e sciolse i suoi cani. Uno di loro salì sulla macchina di McGovney, lasciandoci degli escrementi. Hetfield, che si trovava a casa sua, disse a Mustaine di togliere il suo cane ma, davanti al suo rifiuto, prese l'animale a calci, generando così una violenta rissa tra i due. Nonostante ciò, Mustaine rimase nella band. Tuttavia, egli non cambiò il suo atteggiamento rissoso e beone. Nell'aprile del 1983, i Metallica si recarono a New York per incontrare il produttore Jon Zazula e Mustaine guidò il furgone. A causa del suo stato di ubriachezza, il mezzo sbandò e finì in un fossato. Non sopportando più i suoi comportamenti, Hetfield e Ulrich decisero di allontanarlo e lo portarono alla fermata dell'autobus per farlo tornare a Los Angeles. Anche Kirk Hammett sembra avere avversioni nei confronti di Mustaine. Quest'ultimo disse che Hammett venne considerato un bravo chitarrista, grazie agli assoli composti da lui stesso in Kill'Em All, ma dopo, sempre secondo Mustaine, si dimostrò, tecnicamente, ripetitivo e scarno, dimostrandosi un dilettante.

Un'altra ostilità famosa è quella con il chitarrista e fondatore degli Slayer: Kerry King. Il diverbio tra i due iniziò nel 1984, quando King (che a quel tempo già suonava negli Slayer) venne chiamato da Mustaine per suonare negli appena formati Megadeth ma, dopo 5 concerti suonati assieme, King decise di andarsene perché non accettava i comportamenti di Mustaine, definiti da lui imperiosi. I due ebbero ancora problemi nel 1991, durante il tour del 'Clash Of The Titans', dato che Mustaine considerò 'povere' le vendite degli Slayer in confronto a quelle dei Megadeth e non voleva che la sua band facesse da spalla a quella di King. Tra i due finì di mezzo anche il cantante e bassista degli Slayer, Tom Araya, che a quanto pare ebbe uno scontro fisico con Mustaine dopo che questi gli avrebbe detto ad Araya di succhiarli i genitali [il frontman degli Slayer, durante una data del tour, lo definì 'omosessuale' davanti al pubblico]. Nel 2004, King affermò in un'intervista che egli è un 'dittatore' e che tutti lo odiano, accentuando così l'incrinatura dei rapporti. Il culmine del diverbio tra i due avvenne quando King lo definì 'cocksucker' [ciucciacazzi] e sembra che la diatriba continui senza sosta. Il motivo che spinse Ron McGovney a lasciare i Metallica fu l'antipatia provata per Mustaine. Un giorno il chitarrista, ubriaco fino all'eccesso, versò una bottiglia di birra sul basso di McGovney. Quando il bassista iniziò a suonare ebbe una forte scossa che si rivelò molto pericolosa. McGovney non perdonò questo gesto e se ne andò. Anni dopo Mustaine porgerà le sue scuse nei confronti del bassista.

La leggenda vuole che Mustaine abbia cacciato dal gruppo Jeff Young, nel 1988, perché il chitarrista voleva corteggiare la sua ragazza. Il fatto che, insistentemente, nelle interviste a lui fatte, Mustaine affermi che Young venne cacciato proprio perché voleva portargli via qualcosa di suo, starebbero a confermare l'ipotesi di un litigio amoroso all'origine della sua dipartita dai Megadeth. Rimane inoltre famosa la diatriba tra Mustaine e David Ellefson, dovuta al fatto che il primo non avrebbe ottemperato a determinati obblighi derivanti dai diritti d'autore del secondo. A riguardo Ellefson ha anche intentato una causa, senza successo, nel 2004. Recentemente, però, ha affermato: 'Dave Mustaine è un ragazzo con un talento incredibile. Non ho mai dubitato delle sue capacità. Ha un istinto che gli dice sempre quale sia la cosa giusta da fare, è una qualità eccellente'. Difatti, il bassista storico è tornato nella band nel 2010 per una reuonion in grande stile per il ventennale di Rust In Peace. Mustaine ha avuto delle antipatie nei confronti di Marty Friedman. Egli dichiarò in un'intervista che Friedman manifestava, dopo la pubblicazione di Cryptic Writings nel 1997, il desiderio di abbandonare i Megadeth, dato che non voleva più suonare metal e aveva intenzione di dedicarsi a nuove sonorità. Durante l'ultima data del tour di Risk, Friedman non si presentò sul palco, facendo andare Mustaine su tutte le furie. Il leader dei Megadeth chiamò immediatamente Al Pitrelli che non conosceva gli accordi dei brani, ovviamente non per colpa sua, e il concerto si dimostrò piuttosto squallido. Friedman volle incontrare Mustaine, ma quest'ultimo lo fece allontanare dichiarando di non volerlo più vedere. Lo incolpò anche per l'insuccesso di Risk perché, secondo Mustaine, voleva rendere i Megadeth una band alternative rock. Si dice che tra i due ora si siano calmate le acque. Mustaine litigò aspramente con Chris Poland, il chitarrista che sostituì Kerry King nei Megadeth. Si dice che Poland, per poter comprare eroina, rubò e vendette, di nascosto, le chitarre di Mustaine. Quest'ultimo, dopo averlo cacciato, scrisse Liar [brano tratto da So Far, So Good So What], brano in cui il leader dei Megadeth esprime tutta la sua rabbia nei confronti di Poland, insultando lui e anche la sua famiglia.

CRAZY MUSTAINE!Dichiarazioni sempre pepate e interessanti, quelle del rosso chitarrista. Come quelle su Barak Obama. Recentemente Mustaine ha dichiarato di sentirsi, in poche parole, l'ideatore del thrash metal! Ultimamente, però, alcune sue dichiarazioni hanno lasciato spazio ad un riavvicinamento con la sua ex band. Non manca chi ancora lo attacca: gli Slayer hanno riservato parole 'dolci' per lui, ultimamente. Intanto Megadave parla di Apocalisse e mondo che va a rotoli.

CAPITOLO PRIMO: DAGLI ESORDI AGLI ANNI '90
Iron Maiden. Un nome che fa tremare i polsi, un'icona conosciuta e rispettata dentro e fuori gli orizzonti dell'hard'n'heavy: gli Iron Maiden sono spesso accostati all'heavy metal come incarnazione stessa del genere, e anche se ciò è dovuto al pressapochismo di chi ignora l'esistenza di centinaia di altre band, non bisogna sottovalutare questa semplice equazione. Bisogna essere fieri del prestigio che gli Iron Maiden rivestono praticamente in ogni angolo del globo: le t-shirt di Eddie e gli album che hanno dettato la storia di un genere hanno reso possibile il ruolo di band metal per antonomasia, ancor più di chi il genere lo ha plasmato o di chi lo ha portato a conseguenze sonore estreme. La melodia eccitante e i volti rassicuranti di Bruce Dickinson, Steve Harris e compagni sono oggi la sintesi perfetta dello spettacolo heavy metal, ed è affascinante pensare alla Vergine di Ferro come fenomeno di punta dell'intero filone ai tempi delle sue origini, quando il nome Iron Maiden suscitava sussulti di rispetto e ammirazione nei cuori degli headbangers. E' tuttora un mistero come una band heavy metal abbia saputo raggiungere una simile popolarità, forte di stima e rispetto indiscutibibili tra le leggende immortali della musica. Tutto inizia nell'Inghilterra di fine anni settanta, quando il fenomeno punk pareva aver fatto le scarpe all'heavy metal reso grande da Black Sabbath e Judas Priest. Poi, arrivarono loro. Rifiutarono di suonare punk e abbassare la testa, i Maiden: adolescenti ma già con le idee chiare, che attraverso potenti riff, assoli melodici ed un heavy metal fresco ed energico ammutolirono i detrattori e riportarono in auge il proprio genere, andando a comporre un patrimonio musicale che resta di primario valore ancora oggi. L'escalation fu irreversibile, la mascotte Eddie divenne un mito e dopo i primi due album iniziò una galoppata fantastica verso la storia: pagine monumentali di musica bella e potente, intrisa di melodia e tecnica sublime. L'enorme merito degli Iron Maiden è quello di aver afferrato l'heavy metal per mano ed averlo riportato a livelli stellari, impregnandolo di una dinamicità musicale e attitudinale nuova e sferzante, capace di ammodernare il già luminoso sentiero tracciato dai Judas Priest. Un'eredità non da poco. Gli Iron Maiden nascono a Londra nel 1975, fondati dal bassista Steve Harris, che per il nome prese spunto dal film 'La maschera di ferro', in cui compare un attrezzo di tortura chiamato appunto vergine di ferro. Inizialmente alla voce c'è Paul Day, ma prima del debutto discografico l'act cambia diverse formazioni; pur influenzati dal punk, i ragazzi di Steve Harris suonavano già un heavy forte e tecnico, trovando dunque fatica a emergere in un panorama sommerso dal fenomeno punk. Gli Iron Maiden colsero l'occasione della vita quando iniziarono ad esibirsi al Ruskin Arms, uno dei pochi locali dove si suonava heavy metal. Qui fece una delle sue prime apparizioni Eddie, il mostro che sarebbe diventato la mascotte della band: una testa di zombie inizialmente dipinta che in seguito troverà forma in giganteschi e pittoreschi pupazzoni. Con gli anni, alla voce arrivò Paul di Anno, e la band compose un primo demo e canzoni come 'Prowler', 'Sanctuary' e 'Iron Maiden'. Questo demo, intitolato 'The Soundhouse Tape', destò enorme successo nell'unica discoteca metal di Londra, il Soundhouse appunto: gli headbangers locali chiedevano frequentemente la riproposizione di quel nastro scoppiettante, e l'attenzione dei discografici si spostò di colpo su quei cinque ragazzi.
Messi sotto contratto dalla EMI, i giovani metallers si chiudono in studio per rifinire le proprie canzoni e completarle con nuove tracce. Nel 1980 esce finalmente il primo lavoro della Vergine di Ferro, intitolato proprio 'Iron Maiden', che riscuote subito buon successo. L'artwork di copertina, curato da Derek Riggs, raffigurava un primo piano sulla faccia orripilante di Eddie, ancora grezzo e graficamente da affinare, sullo sfondo di una Londra notturna e malfamata. Era coloratissima e destò subito attenzioni e pareri entusiastici [o shockati, a seconda dei casi], aprendo a sua volta una nuova era, che rivoluzionava il modo di disegnare le copertine, i loghi, i booklet. L'album è caratterizzato da un suono molto grezzo e fresco, soprattutto nei timbri utilizzati dalle chitarre. Benché il disco abbia tutte le limitazioni e le logiche inesperienze di un album di esordio, rappresenta comunque un'importante tappa della nascente new wave of british heavy metal. Le sue melodie rocciose e i riff mozzafiato sono da pelle d'oca, e rendono alla grande l'idea di quello che i Maiden erano all'epoca: portatori di un heavy metal esplosivo, vivace, robusto ma con quella spruzzata di punk che lo rendeva ancora più tosto, veloce, innovativoì, nonostante l'ancora palese influenza di matrice hardrock. Di fianco a pezzi energici, diretti e dal riff memorabile come l'opener track Prowler e la conclusiva Iron Maiden, autentico inno della band, figurava un brano intricato, lunghissimo ed eclettico come 'Phantom of the Opera'. Il tutto era arricchito dalle esaltanti Sanctuary e Charlotte The Harlot, dure e intrise di un vivace spirito punk rock laccato di metal. Presenti anche due ballad dolcissime, per non farsi mancare nulla: 'Remember Tomorrow', dotata però di crescendo finale roboante, e 'Strange World', più struggente ed onirica. Il responso fu strepitoso, e lo stesso Paul Di Anno ne conserva un giudizio entusiasta: 'E' stato il miglior disco che abbia mai fatto con i Maiden, senza dubbio. Personalmente non penso che il secondo album abbia rappresentato un miglioramento: la gente va avanti a parlare della produzione, ma io nemmeno me ne accorgo. Tutto ciò che senti é la band che suona, io che canto e quanto sono grandiosi i pezzi. Sono convinto che la vena punk degli Iron Maiden in quel disco fosse al top: le canzoni erano grezze, ruvide, violente, e amo esaltarne questo aspetto. Eravamo completamente diversi da tutto il resto, il nostro primo album lo confermava. I nostri fans, allora come oggi, avevano un'attitudine diversa da tutti gli altri, ci seguivano ovunque. Era un maledetto disco punk metal'. Nei loro primi tour gli Iron Maiden già entusiasmavano le folle: viaggiarono a lungo, accompagnando Judas Priest e Kiss e facendosi presto conoscere ovunque, grazie alla voce sporca e l'attitudine grezza del singer Paul Di Anno. Di Anno era un ribelle dalla forte personalità, la voce ideale per gli Iron Maiden dell'epoca; tuttavia a volte esagerava con le sue follie, soprattutto alcooliche, e ciò portò in seno al gruppo qualche frizione. Tra altri mutamenti di formazione, si arrivò nel 1981 alla pubblicazione di 'Killers', di ancor miglior fatturato tecnico e produttivo. Nonostante la presenza di qualche brano non trascendentale, il disco viaggia spedito trainato dalla travolgente titletrack, dal riffery affilato, e dalla potente 'Wratchild'; si muove sontuoso nell ricche strumentali 'Ides of March' e 'Gengis Khan', gode di diversi grandi momenti di rock metal arrembante ['Murders In The Rue Morgue'] e di qualche spunto più melodico e inconsueto, come Prodigal Son. La copertina era ancora ambientata nelle strade londinesi, ed ancora una volta veniva disegnata da Riggs: sotto il chiarore della luna, un Eddie finalmente definito e a figura intera si rendeva artefice di un omicidio, armato di accetta e ormai carnefice di un qualche borghese, del quale si scorgono solo le mani, aggrappate alla maglietta dello zombie. I polsini di camicia che si scorgono lasciano pensare ad un classico esponente della società-bene, che dunque veniva assassinato, in metafora, dall'avanzare della comunità metallica. In quel periodo gli Iron Maiden andarono però incontro a crescenti dissidi con Di Anno: Harris lo accusò di rovinare la propria voce e la propria vita con l'abuso di alcool, droghe e fumo, e dopo vari scontri lo licenziò.

Gli Iron Maiden si mossero alla ricerca del nuovo vocalist, e la scelta fu fatta assistendo alla strepitosa esibizione concessa dal cantante dei Samson, Bruce Dickinson. Una autentica furia sul palco: elettrico, spettacolare, dotato di una forza vocale pazzesca. Dickinson entrò negli Iron Maiden e presto il gruppo pubblicò 'The Number Of The Beast', disco caratterizzato da nuovi elementi sonori orientati al power metal: un sound più ricco e vario, impreziosito dalla grande tecnica vocale di Bruce e da architetture tecniche sempre più complesse ed avvolgenti. È un lavoro dal sound potente e più ricercato rispetto ai precedenti album, che esibisce la creatività di Steve Harris e di tutta la band: trame strutturali intricate, potenti assalti veloci ed ultra melodiche sezioni strumentali che si divincolano tra riff maestosi e refrain travolgenti vengono sublimati da una coordinazione esecutiva tra i musicisti del tutto sorprendente, oltre che da una grande intesa col nuovo cantante: Dickinson mostra in tutte le tracce la pienezza e la costanza della sua voce invidiabile. Al suo fianco, le chitarre dominano la scena con la consueta carica adrenalinica, producendosi in riff poderosi e irresistibili assalti rapidi ma guadagnando parecchio in fatto di epicità e maestosità: le melodie, fluide e sofisticate, creano intelaiature importanti ed intimidatorie, mescolando ad arte melodia, aggressività ed atmosfera. Uno dei più grandi album della storia del metal, costituito da una sequela di pezzi memorabili: ne è un chiaro esempio la titletrack, col suo riff leggendario ed il suo incedere ora misterioso e poi di colpo travolgente, innervato dalla prestazione straordinaria del singer, da trame chitarristiche avvincenti e da uno degli innumerevoli assoli cristallini della coppia d'asce composta da Smith e Murray. A fare rumore è la ripetizione nel ritornello del presunto numero della Bestia: anche se il brano non fa che parlare di un incubo fatto da Steve Harris, quel presunto riferimento satanico muove la schiera protestante dei perbenisti e dei bigotti moralizzatori cattolici, come ricorda Steve Harris: 'Non abbiamo mai composto canzoni romantiche. Tutti scrivono di quanto amano la propria 'piccola', e tutta quella roba lì. Scrivono di quanto sia dura la vita on the road, ed è vero, di quanto si sentano soli, che può essere vero allo stesso modo; a loro manca il loro amore, con cui vorrebbero tanto stare, e tutto il resto. Ma trovo queste cose piuttosto noiose. Non penso di non possedere in me un pò di romanticismo, ma semplicemente non mi interessa scrivere di queste cose. A differenza di altre band, a noi non interessa neanche focalizzare i versi del gruppo sulle esperienze personali. Un'altra tematica su cui molti scrivono é l'essere macho e conquistare molte ragazze, ma tutto quello che i Maiden hanno scritto su questo genere di cose è Charlotte the Harlot ed Acacia Avenue, che sono pezzi molto diretti. E' un modo per dire alle altre band che siamo in grado di andare oltre quelle cose. Ed é piuttosto divertente! In molti dei nostri brani c'é un umorismo che spesso non viene colto, o viene mal interpretato. Questo é vero sopratutto in The Number of The Beast, che ha un soggetto che molti fautori della persuasione biblica hanno preso troppo seriamente. Abbiamo incontrato dei maniaci o dei fanatici religiosi, nell'America del Sud qualche idiota urlava 'brucia all'inferno, brucia all'inferno' mentre la band scendeva dal palco. Se solo si fossero soffermati sui testi del disco, avrebbero avuto ben pochi motivi per accusare la band. E' stato pazzesco! Ovviamente nessuno li aveva letti. Ancora oggi scoppiamo a ridere quando ci accusano di satanismo'. L'effetto ottenuto dai censori, infatti, fu proprio l'opposto di quello voluto, perchè il clamore destato da quel ritornello blasfemo non fece che accrescere il fascino degli Iron Maiden e l'aurea maligna che l'heavy metal in generale vantava presso i suoi detrattori, nonostante il brano deridesse i rituali satanici invece di appoggiarli. La stessa copertina raffigurava un diavolo che, tra le fiamme dell'inferno, muoveva i fili della nostra società, ma era a sua volta 'mosso' da un Eddie gigantesco, come a voler affermare che il metal é più forte di tutto, anche del male. Altro pezzo colossale del platter è la prolungata e marziale 'Hallowed Be Thy Name', potentissima e solenne, ancora impreziosita de evoluzioni tecniche e melodiche da capogiro, rallentamenti e accelerazioni, stacchi maestosi, una sezione strumentale intricata di rara bellezza e linee vocali mozzafiato; per molti, la canzone migliore dell'intera discografia della band, amatissima anche dagli stessi esponenti del gruppo, come conferma Bruce Dickinson: 'L'atmosfera, le vibrazioni, il pubblico, ogni cosa é fantastica. Ha una profondità tale da dar vita ad un piccolo film nella testa, e tu ti ritrovi semplicemente a narrarlo al pubblico'. Su questo pezzo, scrivono Marco Gamba e Cristiano Canali, autori dell'enciclopedia 'Iron Maiden dalla a alla z' pubblicata dalla Giunti nel 2011: 'Ogni istante di Hallowed Be Thy Name racchiude in sè il talento e la straordinaria capacità creativa di Harris e della sua band, in un tripudio di riff di chitarra, armonizzazioni, fraseggi, cori e assoli che, insieme, hanno fatto epoca e continuano ad emozionare ad ogni concerto'. La scaletta è ricca di canzoni assolutamente perfette, ricche di intuizioni melodiche pulite ed irripetibili, come 'Acacia Avenue', seguito lirico e tematico della vecchia 'Charlotte The Harlot', oppure 'The Prisoner', entrambi pezzi caratterizzati da fantastici guitar solos. Steve Harris e Clive Burr reggono una sezione ritmica mai banale e sempre perfetta, mentre le chitarre di Adrian Smith e Dave Murray si rendono autrici di pura energia che cola piacevole sulle teste degli headbangers in delirio. Tra le hit assolute spicca un inno come 'Run To The Hills', ancora oggi uno dei pezzi più amati dai fans, con l'ennesimo assolo da brividi e le incalzanti parti vocali: un classico basilare in ogni live set.

I Maiden hanno fatto il botto: le lauree in storia e letteratura di Dickinson permettono al combo inglese di spostare l'obbiettivo su tematiche interessanti e assolutamente colte, riferite ad avvenimenti storici, poemi, romanzi e celebri monumenti letterari. Racconta Rob Halford, leader dei Judas Priest: 'Dopo la nwobhm, quel disco dimostrò veramente che gli Iron Maiden erano diventati una potenza mondiale, globale. Il titolo è magnifico, e mostra un altro lato del metal che stava uscendo dal Regno unito. E’ importantissimo per definire il movimento britannico dell’epoca. Ci sono delle risorse importanti nel metal, come in tanta parte della musica, e questa era abbastanza importante’. E' con questo disco che gli Iron Maiden si fanno definitivamente alfieri e portabandiera delle milizie dell'heavy metal. Un album del valore tecnico di 'The Number Of The Beast' mette ulteriormente in primo piano la maestria degli Iron Maiden nell'arrangiare emozionanti fraseggi di chitarra assieme alle vocals teatrali; i due chitarristi attaccano a briglie sciolte, martellando con sezioni intricate sulle quali inserire dei complementi armonici ed una raffica di complessi giri melodici. Le veloci progressioni di chitarra all'unisono diventano l'inconfondibile tratto distintivo della band, raddoppiati dalla potente sezione ritmica guidata dall'eccezionale basso di Steve Harris. I concerti degli Iron Maiden erano spettacoli pirotecnici travolgenti, vortici di luci, colori e suoni, fuochi e scenografie grandiose. A catalizzare l'attenzione ci pensava quel campione del palco di Bruce Dickinson, maestro nel brillare come un gigante, saltando e correndo a più non posso su complessi di scale e passerelle. Bruce coinvolge il pubblico, sa elettrizzarlo solo con un gesto. I testi erano sempre più maturi ed influenti nello spettro sonoro della band, come spiega Steve Harris: 'Ho sempre amato leggere, e appena ho un momento libero prendo in mano un libro. Tra i libri che ho letto e i film che ho visto ci sono anche le ispirazioni per alcuni dei brani degli Iron Maiden; Murders In The Rue Morgue, Phantom Of The Opera, Children Of The Damned provengono da pellicole, mentre Invaders è ispirata all'invasione dell'Inghilterra vista con gli occhi di un sassone. Hallowed Be Thy Name é ispirata ad un prigioniero che attende l'esecuzione, attanagliato dai dubbi sulla morte. L'album contiene dei pezzi che si rifanno a vari temi. Run To The Hills, per esempio, parla degli indiani d'America: la prima metà è scritta dal loro punto di vista, la seconda da quello dei soldati degli Stati Uniti. Volevo provare a ricreare l'idea dei cavalli al galoppo. Quando la suonate, state attenti a non farvela sfuggire di mano'! Tra un tour e l'altro, senza nemmeno preoccuparsi delle ridicole accuse di satanismo giunte dai soliti perbenisti, i Maiden si presero un periodo di pausa meritata alle Bahamas, nel quale ricaricare le pile e porre le basi per una pagina tutta nuova.
In questo periodo furono gettate le fondamenta di 'Piece Of Mind', pubblicato nel 1983 e caratterizzato da un sound meno massiccio e con brani più melodici e complessi, bagnati da una certa influenza progressive-rock; l'Eddie di copertina veniva questa volta sbattuto in un manicomio e sottoposto a camicia di forza. Il batterista Clive Burr viene sostituito dall'istrionico Nicko McBrain, che diverrà in breve il drummer per eccellenza dell'act britannico. Laureato in storia e letteratura, Bruce Dickinson componeva brani colti e di matrice storica, come ad esempio 'Flight Of The Icarus', brillando dunque anche in fase di produzione oltre che in studio e nei soliti, giganteschi, concerti. L'album ebbe molto successo, e la trascinante 'The Trooper' entrò presto nella top gallery della band. Ricordava ancora Harris: 'Quando ripenso ai brani dei nostri vecchi album, spesso mi viene in mente come sarebbe possibile migliorarli; questo però non mi capita con i brani di Piece Of Mind. Era il primo album con McBrain e per qualche motivo ci sentivamo in un momento positivo, e questo penso si percepisca nel disco'. L'anno seguente la band ribadì il suo stato di grazia con l'ancor più memorabile 'Powerslave', un ritorno a suoni più duri e con la stessa attenzione storica che Dickinson mantenne nella composizione. il disco era incentrato su tematiche e liriche storiche, con chiari riferimenti all'Antico Egitto, tangibili fin dalla succulenta copertina: una statua di Eddie troneggiava tra due sfingi e due statue di Anubi, in un enorme tempio egizio costruito ai piedi di una piramide. Geroglifici, colori a forti tinte pastello, sarcofagi, templi e piramidi arricchivano il bellissimo disegno di Derek Riggs, al quale si ispirerà anche la scenografia live. Il trio d'asce composto da Smith, Murray ed Harris conferiva una dimensione stratificata al suono già vario ed esplosivo del five pieces, innervato da pure scariche elettriche di energia e stratificate architetture strumentali; e mentre Dickinson correva da una parte all'altra del palco come un indemoniato, dietro le pelli il sornione McBrain teneva il timone di una band in forma stellare. 'Powerslave' porta a compimento l'evoluzione della band, che si era manifestata palese nei due dischi precedenti e che ora trova la sua consacrazione assoluta, con un album mastoso in cui spiccano le melodie brillanti delle due chitarre gemelle ed i loro virtuosismi intricati. Il parere sul disco di Steve Harris é sempre obiettivo e ponderato: 'Powerslave è forse l'album che sento meno mio, ma per molti nostri fans é l'album principale. Alcuni brani sono delle gemme del nostro repertorio, come Two minutes to Midnight, la titletrack, Aces High, Rime of The Ancient Mariner, ma altri sono lontani dal livello di questi elencati'. Bruce Dickinson: 'Ci sono molte differenze tra quest'album e il suo predecessore, Piece Of Mind. Powerslave è più simile a The Number of The Beast che, a sua volta, ha delle reminescenze del primo disco. Sebbene in generale ci stiamo evolvendo verso un maggior tecnicismo, Piece of Mind era un album più orientato verso la pura tecnica di quanto lo sia Powerslave'. A conti fatti, era un disco più metal, più potente ed anthemico del predecessore. Il successo degli Iron Maiden cresceva in modo implacabile, e la band si tuffò a capofitto in un tour enorme da un capo all'altro del globo. Tutto l'album, a cominciare dalla copertina, è ispirato alla civiltà egizia e ad avvenimenti storici: esso contiene episodi magistrali come 'Two Minutes to Midnight', una traccia dinamica di stampo hardrock trainata da un riff azzeccato e inconfondibile, oppure la travolgente 'Aces High', pezzo potente e tambureggiante dal ritornello melodico e dotato di un attacco frontale trascinante posto in incipit. 'Aces High' apre ancora oggi ogni concerto della vergine di ferro, e viene definito 'un brano particolarmente perfetto' dai biografi Gamba e Canali: 'I riff strabilianti, le parti vocali quasi inarrivabili, il ritornello squillante ed epocale e i due splendidi assoli di Murray e Smith sono entrati da subito nella storia del metal e nella classifica dei migliori momenti mai partoriti dalla band'. Per quanto concerne Two Minutes to Midnight, dotata di un ritornello memorabile, di assoli strabilianti e poderose parti di basso, si esprime Bruce Dickinson: 'Ho scritto io il testo. E' una canzone che parla dell'esperienza della guerra. Il fascino e l'orrore di essa, questi due aspetti combinati e il fatto che, purtroppo, ne siamo sia affascinati che disgustati'. L'oscura titletrack 'Powerslave' riassume bene il notevole spessore tecnico e melodico della band, rafforzato dal taglio progressivo di 'Rime Of The Ancient Mariner', pezzo di estrazione letteraria ispirato da un romanzo di Coleridge. Come affermato da Dickinson, 'il tema del disco é tutto racchiuso nella titletrack: la società dell'antico Egitto e quella odierna hanno molti tratti in comune. Allora come oggi, il potere é nelle mani di pochi privilegiati. Si tratta ancora una volta di un'allegoria: mi piace scrivere testi allegorici. in generale, l'album ha testi piuttosto pessimistici, anche se i versi di Steve sono comunque molto interessati'. Grazie a questa uscita gli Iron Maiden godevano ormai di un seguito di fans considerevole ed affezionato; strepitoso fu il lungo tour di supporto all'album, corredato dal virtuosismo tecnico dei musicisti così come dagli spettacolari effetti scenici: da leggenda la scenografia egizia con Eddie mummificato. Bruce Dickinson era il sicuro ammiraglio di una truppa d'assalto perfetta e spettacolare, con le sue corse sfrenate sul palco, la sua voce imponente e la sua goliardia travolgente: gli Iron Maiden sul tetto del mondo.
Il World Slavery Tour fu il più pesante, estenuante e spettacolare mai affrontato dalla band inglese, iniziato nell'agosto 1984 e terminato nel luglio dell'anno successivo; scrivono le biografie: 'Bellissimo il palco, forse il più acclamato di sempre dai fans della vergine di Ferro. un sarcofago dorato di Eddie si apriva in modo spettacolare, lasciando uscire la sua mummia, che imperava gloriosa dietro la testa di Mc Brain. Celebre anche l'Eddie bendato che correva sul palco, anch'esso di ispirazione egiziana'. Tra geroglifici, piramidi, faraoni, iscrizioni criptiche e sabbie misteriose, rafforzati da un repertorio di canzoni immortali, gli Iron Maiden giganteggiavano sul trono del metal mondiale: 'Live After Death' fu il mastodontico live audio e video tratto dal tour, e fotografava la band all'apice della forma e con tutti i grossi calibri della propria discografia. Per molti, uno dei migliori live metal mai registrati, arricchito dalla splendida copertina firmata da Derek Riggs, la quale raffigurava Eddie fuoriuscire dalla propria tomba, in un magnifico scenario notturno. Nel 1986, ben riposati e rigenerati, gli Iron Maiden tornarono con 'Somewhere In Time', disco influenzato dal progressive per quanto concerne la struttura elaborata dei brani, ma parzialmente contaminato da suoni sintetizzati ed effetti elettronici, in simbiosi con la cover visionaria, densa di dettagli e messaggi nascosti, nella quale un Eddie cyborg si muove in una città futuristica. Spiccano pezzi come la magniloquente e ricca 'Caught Somewhere In Time', che straripava riff, melodie ed intersezioni variegate, l'emozionante 'Wasted Years', con la sua tempesta di note in fase di assolo, 'Stranger in a Strange Land', la sferzante 'Deja Vu' e la maestosa 'Alexander the Great', una composizione immensa ed intricata in labirinti di riff, melodie e assoli avvolgenti, incentrata sulla figura Alessandro Magno, il grande condottiero macedone: quasi dieci minuti di suite, tra continui cambi di tempo ed atmosfera, incroci mirabolanti e intersezioni maestose, scandite dai potenti riff tipici della Vergine di Ferro e dall'interpretazione sontuosa di un Dickinson mai così evocativo e marziale. Ancora una volta in primo piano erano le melodie di chitarra di Adrian Smith e Dave Murray: le evoluzioni delle due asce, cristalline e rapide, all'unisono, sono un marchio di fabbrica inconfondibile del Maiden-sound, assieme alle celebri galoppate, e qualche synth in più non potè in ogni caso intaccare la splendida riuscita della nuove release. Ricorda Murray: 'Abbiamo avuto parecchio tempo per preparare questo disco e non vedevamo l'ora di entrare in studio e lavorare sui pezzi, mentre di solito quando si entra in studio alla fine di un tour non si é molto motivati. Abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e siamo fieri di questo disco tanto quanto lo siamo dei precedenti. In passato ci sono stati alcuni brani di cui non eravamo entusiasti, ma su Somewhere In Time tutto é perfetto e non ho rimpianti'. La conferma arrivava da Steve Harris, molto fiero di questo full length: 'I brani di quest'album sono molto più elaborati delle nostre composizioni passate, abbiamo avuto più tempo per dedicarci alla stesura e all'arrangiamento dei pezzi, e questo si sente. La tecnologia usata per incidere l'album é di tutta avanguardia, e coloro che hanno la fortuna di possedere un lettore cd potranno apprezzare appieno la qualità del lavoro. La mia composizione più ambiziosa è stata Alexander the Great, una storia basata su dei fatti reali. Sono molto orgoglioso di questo brano'. Le esibizioni del gruppo erano come al solito stellari, dense di luci ed effetti pirotecnici incredibili, che accatturavano folle impressionanti. L'album diventò subito un altro superclassico del gruppo, anche se non mancarono fans che storsero il naso di fronte ad un'innovazione come quella dei synth, accettata con qualche remora. Dopo due anni di concerti, nel 1988 uscì l'album 'Seventh Son Of A Seventh Son', un disco caratterizzato da uno stile ancora più melodico e orientato verso tecnicismi alla soglia del progressive metal, per perizia tecnica e taglio melodico; pezzi trainanti dell'album erano 'Infinite Dream', 'Can I Play With Madness', 'The Evil That Man Do' e 'The Clairvoyant', un capolavoro di musicalità e precisione stilistica, nonchè la solenne titletrack. L'album era meno aggressivo e permeato da una certa vena epica e malinconica, e vede un Bruce Dickinson più aspro al microfono: fu l'album della definitiva maturazione e dalla complessità metallica veramente spiccata. Si trattava di un concept ispirato dal libro di Orson Scott Card, 'Il Settimo Figlio', in cui un bambino dotato fin dalla nascita di grandi poteri finisce al centro della lotta tra bene e male, entrambi intenzionati ad impossessarsene.
Ci sono tuttavia diverse influenze e ispirazioni mescolate alla storia originale, che lasciano libertà di interpretazione sul soggetto. In Moonchild, il diavolo si rivolge ai genitori del settimo figlio per impossessarsi dei suoi poteri; Infinite Dreams é un flashback che svela come il padre, anche lui settimogenito, veniva da tempo tormentato da inquietanti visioni della vita dopo la morte. Esso contatta un oracolo per interpretare le sue visioni [Can I Play With Madness], mentre poi lascia la scena al concepimento del settimo figlio, che coincide con The Evil that Man Do; in The Prophecy il bimbo diventa profeta e cerca di paventare al popolo le sventure che incombono, ma The Clairvoyant spiega come esso sia un veggente incapace di salvare se stesso. La conclusiva Only The Good Die Young é dunque una valutazione finale, un giudizio allegorico tra la storia narrata e la realtà in cui viviamo. Racconta Bruce Dickinson: 'Invece che affiancare diversi mattoncini,l'un l'altro, abbiamo cercato l'atmosfera giusta, il feeling appropriato. Forse in altre occasioni abbiamo tentato un pò troppo di pianificare il lavoro. mentre stavolta ci siamo lasciati andare di più, abbiamo sperimentato di più. in un certo senso abbiamo rotto lo stampo con cui avevamo plasmato gli scorsi album. C'é molta complessità nel disco, ma non ne risente la fluidità della musica, che permane limpida'. con questo album, i cinque inglesi capirono che la musica non poteva e doveva più rappresentare la totalità della loro esistenza, perché c'è molto da vivere anche al di fuori di un tourbus o di un'arena per concerti. Molto meno successo ebbe, nel 1990, 'No Prayer For The Dying', nonostante un ritorno a stili più duri e privi di sintetizzatori, e nonostante buoni pezzi come 'Bring Your Daughter to the Slaughter'. Il disco fu figlio della volontà di Dickinson di recuperare le radici heavy rock dell'act britannico, riportando le coordinate stilistiche ai tempi di Paul Di Anno, ma la scelta non si rivelò azzeccata e Steve Harris decise di tornare all'heavy-power ormai tipico della sua Creatura. L'uscita, nel 1992, di 'Fear Of The Dark', disco ancora molto melodico, coincise con la parziale rinascita della Vergine di Ferro; l'album venne trascinato dalla title track, una canzone emozionante ricca di cambi di tempo e della consueta perizia tecnica, evincibile in brillanti galoppate melodiche sfociate dalle chitarre di Smith e Murray. Altri pezzi di spicco sono la prima vera ballad scritta dalla band, 'Wasting Love', la solenne 'Afraid To Shoot Strangers', solennemente ispirata nella struttura ad 'Hallowed Be Thy Name', e la movimentata 'Be Quick Or Be Dead', uno dei pezzi più irruenti e 'da pogo' composti dall'act inglese. Purtroppo però dopo questo album Dickinson, che nel frattempo aveva iniziato una carriera solista, decise tra le polemiche di mollare la band e dedicarsi solo alla sua produzione personale. Fu un colpo durissimo per la band, imperniata sulla sua solarità scenica, e per i fans, troppo attaccati alla sua maestosità vocale, praticamente insostituibile. Proprio durante il tour di supporto a Fear of The Dark, Dickinson era apparso quasi svogliato e non tutti furono entusiasti delle sue prestazioni, decisamente più contenute e meno esplosive: in seguito, dichiarerà di essersi limitato a svolgere il proprio lavoro in maniera professionale, preferendo non esibirsi in false dimostrazioni di baldanza e coinvolgimento.