TH1RT3EN

MEGADETH [2011], HEAVY METAL
Realizzereste un gran disco per una casa discografica con la quale i rapporti sono ormai crollati sotto il livello di guardia? Attimo di riflessione. Dave Mustaine, probabilmente, no. La citazione di cui sopra risale al dicembre 2010 e lasciava avanzare oscuri presagi sul nuovo album dei Megadeth, poco originale fin dal titolo. Non é dato sapere se le relazioni bizzose tra il rosso di La Mesa e la potente etichetta siano migliorati col passare dei mesi, ma di certo i fans dello storico combo americano non possono che augurarsi che questo Th1rt3en sia solo uno scherzo, una bufala dovuta proprio alla voglia di chiudere un capitolo più per dovere che per altro. Forse Mustaine ha tenuto da parte le cartucce vere per il disco successivo, quello dell'orgoglio, quello del distacco dai colletti bianchi della Roadrunner; ma le ipotesi sul futuro sono fuori luogo, ora, perché ciò che siamo tenuti a fare, in questo momento, é concentrarci su quello che rischia di passare alla storia come il peggior album dell'intera discografia dei Megadeth. A conferma di questa tesi, c'é l'imbarazzante dato che vede inserite in tracklist ben cinque canzoni ricilate dal passato: Sudden Death eNever Dead erano state pensate per dei videogiochi [e quindi non erano certo inedite], mentre -ancora peggio- New World Order e Millennium Of The Blind risalgono addirittura ai tempi di Youthanasia [erano comparse anche nella versione remasterd dell'opera in questione]; Black Swan, infine, aveva figurato come bonus track di United Abominations. Saranno anche stati ritoccati, questi pezzi, ma é accettabile che un disco di inediti contenga ben cinque pezzi già scartati in passato? Quello che ci troviamo per le mani é un ceppo di canzoni prive di nerbo e di ogni qual minima ispirazione, che danno l'idea di esser state create quasi svogliatamente al fine di adempiere agli obblighi contrattualistici, in fretta e senza alcuna vena creativa adeguata. Il signor Mustaine ci sbatte in faccia una serie irritante di ritornelli scialbi e noiosi ed una manciata di pezzi in cui di thrash c'è veramente poco, soltanto qualche sparuta accelerazione. Vagamente, lo stile musicale intrapreso assomiglia ai pezzi peggiori dei primi tre dischi pubblicati negli anni 2000: in quelle releases, almeno, vi erano composizioni davvero belle e capaci di lasciare una traccia, mentre di Th1rt3en non resta assolutamente nulla. Banalissime, diluite allo spasimo, le canzonette qui proposte sono di un livello veramente basso, e salvarne qualcuna é impresa improba: se proprio bisogna fare due nomi, si citerebbe Never Dead e New World Order, i passaggi in qui il thrash fa capolino in maniera leggermente più sensibile. Ma non illudetevi che siano episodi convincenti. Decisamente meno potente e brillante di Endgame e nemmeno abbastanza orecchiabile come avrebbe potuto essere un Risk qualunque, l'album tende ad apparire come un taglia-e-cuci di sezioni strumentali e assoli naviganti tra lo scarso e l'appena sufficiente, parlando di feeling ed appeal melodico: un heavy morbido e intriso di piattume, appesantito da un vocalism mai nemmeno gradevole, vuotato di un'anima e dell'energia minima che un disco metal deve possedere. Proprio i celebri assoli di chitarra, che tanto hanno contribuito a creare il successo e la leggenda di questo moniker, hanno un sapore artefatto, lasciato al caso, mai trascinanti e lontani dall'incastro perfetto tra le diverse architetture, marchio di fabbrica dei Megadeth che furono. Per quanto criticati, i dischi mainstream pubblicati dagli anni novanta in poi possedevano almeno canzoni graziose, dotate di un senso compiuto, canticchiabili sotto la doccia: Th1rt3en riesce a rivalutare persino gli album peggiori della band californiana. L'opener Sudden Death si apre sostenuta da riff secchi, che dovrebbero creare adrenalina: la traccia pecca di troppi rallentamenti improvvisi, linee vocali insipide e pochissimi spunti interessanti, incarnando ad hoc l'accozzaglia di [non]idee assemblate senza costrutto, di cui si diceva anche sopra; parlano da sé anche i prolungati guitar solos, mestamente fini a sè stessi e scollegati dal contesto, e l'abuso scriteriato di doppia cassa. A forza di ascoltarlo e risentirlo, il singolone Public Enemy No. 1 sta diventando quasi gradevole, come quei tormentoni usa e getta che d'estate impazzano tra i fruitori musicali più superficiali: il suo refrain, stucchevole e banalotto, ne riassume perfettamente l'intera essenza. Con Whose Life [Is It Anyways?] si tenta di imbastire una base ritmica più martellante, ma il risultato ancora non riesce ad entuasiasmare: più avvincente, invece, la sezione solista [probabilmente la migliore del platter]. L'incedere caracollante, privo di logica e mordente, che caratterizza We the People é quasi irritante [nel pezzo si salva, in parte, solo un assolo sinistreggiante], ed ancora peggio sono passaggi come Black Swan, Wrecker e Guns, Drugs & Money, così semplice, piatta e molla da non sembrare vera: essa punta tutto sul ritornello vocale [peraltro neanche ammiccante o piacevole], come potrebbe fare una qualunque band di pischelli alle prime armi. Avesse un pelo in più di energia, di tiro, freschezza e melodia, potrebbe quasi somigliare a qualcosa degli sleaze-heavy rocker Hardcore Superstar [e sarebbe soltanto un complimento], ma ricordiamoci che si parla dei Megadeth, e di thrash continua a non vedersi nemmeno l'ombra. Ok, se vogliamo, la base ritmica di Never Dead possiede qualche elemento tipico del genere, ma sfocia poi nell'ennesima prova vocale deludente, trita e ritrita. New World Order si apre circospetta e spara presto un buon solo melodico, si lancia in un refrain leggermente più apprezzabile ma rimane gran poca cosa per una band di tale stazza. L'imprevedibile finale a briglia sciolta, in pratica costituito dall'unica vera serrata thrashy dell'opera e da un assolo tagliente, mette un pò di sale sulla portata, ma la noia torna ad abbondare con Fast Lane, compatta ma uggiosa quanto le sue sorelle, nonostante la performance tonica di Shawn Drover alle pelli [e di una buona accelerazione dopo i tre minuti e mezzo]. Si sprecano i tentativi di coniare brani-riempitivo: del resto, per onorare il titolo era quasi obbligatorio mettere appunto proprio tredici pezzi, giusto? In realtà non ce n'é uno che si salva, ma, si sa, ormai l'estetica e la forma comandano anche nel metal. Il record di obrobrio maximo spetta a Millenium of the Blind, lenta ed appiccicosa; man mano che scorrono brani soporiferi [Deadly Nightshade, l'amorfa 13] ci si chiede che senso abbia comporre canzoni tanto seccanti, come si possa toccare tali livelli di songwritng, senza nemmeno uno straccio di ritornello od un riff definibile bello. La risposta sembra scontata: abbinate la carenza di idee che affligge i decani del metal giunti oltre i trentacinque all'obbligo contrattuale ed avrete, purtroppo, i Megadeth del 2011. Nota a margine: se ascoltato immediatamente dopo Lulu potrebbe assumere alle vostre orecchie un valore molto più elevato di quanto non ne possegga realmente, tanto per capire il grado di masochismo con cui due dei leggendari Big Four hanno deciso di triturarsi gli attributi [ed il credito residuo] in questo nefasto finale d'anno. Metallized.it


Il tour di supporto ad Individual thought Patterns vide il ritorno di LaRoque alla band madre, sostituito nella prima porzione da Ralph Santolla e da Craig Locicero dei Forbidden nella seconda leg della calata europea, quella postuma all’uscita dell’album. I Death misero a ferro e fuoco Germania, Olanda, Austria e Belgio, e volarono successivamente negli States, esibendosi per ventisette date consecutive prima di una nuova traversata europea; tra le altre, memorabile la data londinese, nella quale venne ammutolito l’Asthoria Theatre. Dopo Olanda, Belgio, Germania, Francia e Spagna fu anche la volta dell’Italia, con l’esibizione fiorentina nella quale il pubblico continuò a bersagliare di sputi gli opener Anacrusis: la situazione stava rasentando il 'caso politico', con Schuldiner che minacciava di ritirarsi dal palco al primo sputo ricevuto. Non ce ne fu bisogno: la folla inneggiante aggrediva gli Anacrusis soltanto per dimostrare la fanatica devozione nei confronti dei Death, e la spasmodica attesa per la loro performance. Il tour si concluse con un nuovo ritorno in terra olandese, mentre Schuldiner iniziava a rilasciare dichiarazioni secondo le quali avrebbe voluto completare il proprio spettro musicale con un progetto parallelo dotato di una voce più tipicamente heavy metal: un sogno a cui dedicherà parecchio interesse, fino a coronarlo qualche anno più tardi col nome di Control Denied. Al termine del tour, il 1994 scivolò via in sostanziale calma, con la partecipazione di Schuldiner al progetto Voodoocult, una band thrash che prevedeva anche la presenza di Mille Petrozza e Dave Lombardo: un’estemporanea fuga dalla routine, giusto il tempo di registrare qualche riff per l’album Jesus Killing Machine ed attirare le attenzioni dei fans più sfegatati. Il ragazzo, tuttavia, manteneva la sua consueta umiltà: 'E’ meglio che io resti sempre vigile. I pezzi grossi, nei loro palazzi lussuosi, sono sempre pronti a rubare anche l'ultimo centesimo dalle tasche delle band. Non capisco perché si comportino così: non hanno nient'altro da fare? Sembra una dichiarazione estrema, lo so, ma non invento storie. Quello che dico nei miei testi é la mia opinione personale sulle persone con cui ho avuto a che fare nel mondo degli affari, ve lo posso assicurare. Ogni band, del resto, può confermare questa mia tesi, e lo penso da lungo tempo, fin da quando ho registrato i primi demo e suonavo nei piccoli pubs. Abbiamo fatto sempre ciò che volevamo, nessuno ci ha limitato, ma quando si pubblicano degli album la vita cambia, gli uomini d'affari vogliono decidere del tuo futuro e pretendono che tu faccia la rockstar ventiquattro ore su ventiquattro. E' orribile. Mi piace tenermi il più lontano possibile da quel circo, per vivere la mia vita: starmene in casa, guardare un film, andare a fare una passeggiata o nuotare'. Il nuovo album dei Death, registrato nei celebri Morrisound Studios per la nuova etichetta Roadrunner, stava venendo fuori sotto una luce nuova, più atmosferica e melodica dei due devastanti predecessori, infarciti di tecnicismi, velocità e cambi di tempo. Si chiamava Symbolic ed era un disco rivoluzionario soprattutto perché poneva le trame musicali progressive ad un livello superiore rispetto alla veemenza esecutiva, riflettendo lo stato d’animo più rilassato e positivo di Schuldiner, che finalmente aveva trovato un equilibrio, la serenità forse: caratteristica che si sentiva anche nel vocalism, meno primitivo del solito, quasi ‘umano’ nell’approccio. Anche dal punto di vista economico, per la prima volta dopo dodici anni di musica, Chuck, poteva mantenersi da solo, pagandosi l’affitto di un appartamento e le relative bollette. Non che il disco fosse più morbido, anzi: pezzi tellurici come Mysantrophe e 1.000 Eyes ribadivano il concetto di devastazione ipertecnica tipica dei Death, mescolandosi sontuosamente alle numerose sfumature armoniche e liriche delle altre tracce. Era tempo di voltarsi indietro, rimpiangere l’innocenza dell’infanzia con il testo toccante della titletrack ed accorgersi di essere passati da fiumi di dolore ad oceani colmi di speranza; ed allora ecco uno Schuldiner più pacato e riflessivo, che parla di serenità, di sogni, di domande eterne sulla nostra esistenza ed il nostro destino, oltre che delle consuete tematiche realiste [come la violazione sempre più accentuata della privacy, concomitante con il proliferare di telecamere e schedature assortite in ogni luogo sociale]. La line-up viene ritoccata per metà, a causa dei molteplici impegni di DiGiorgio e LaRoque: il basso viene affidato a Kelly Conlon, la chitarra a Bobby Koelble, il logo viene ancora ritoccato, e perde la 't' a forma di croce rovesciata a favore di una più moderata croce celtica. Del resto, mai i Death erano stati una band di stampo 'satanico', nemmeno in maniera irrisoria, e l’ateo Chuck riteneva ormai infantile continuare a sfoggiare un simbolo anti-religioso per il mero gusto della provocazione. Il chitarrista era una persona dal cuore nobile e dai valori altissimi, tanto da partecipare ad un concerto di beneficienza contro la sclerosi multipla organizzato dalla BETA, un’organizzazione benefica nella quale era coinvolta anche la madre; fu lui stesso a confermare l’avvenuta maturazione della sua persona, attraverso interviste sempre più interessanti e significative: 'La gente ha modo di leggere nella mia vita. Penso che molte persone si rendano conto di questo e mi dicono che i miei testi sono molto profondi, e sembrano essere dolorosi, talmente da far toccare a loro stessi quel dolore. La vita non é perfetta: ho momenti in cui mi sento sul tetto del mondo, e altri in cui mi sembra di avere il peso del mondo sulle mie spalle. Depressione, felicità, siamo tutti sulla stessa barca. Sono meno arrabbiato di un tempo. Ho imparato ad interagire meglio con le persone, anche con quelle da cui subisco un torto, e sono più sereno e riflessivo. Ho deciso di far tesoro delle esperienze, per cercare di guardare alla vita con altri occhi. Sarebbe bello se esistesse una droga che ci potesse far ritornare all’innocenza di quando eravamo bambini, quando guardavamo il mondo da un’altra angolatura'. Non bisogna illudersi, però, che la strada fosse ora del tutto in discesa: Schuldiner entrerà presto in contrasto con la Roadrunner, accusata di scarsa promozione nei confronti dell’album a causa della sua errata visione della musica dura: per la label, sosteneva Chuck, il metal erano i Korn, dei quali si cercava, dunque, dei cloni. La persona più sbagliata a cui sbattere in faccia questa assurdità era proprio un defender of the faith come il ragazzo di Orlando, che dunque fece armi e bagagli e si accasò alla Nuclear Blast, continuando peraltro la ricerca di musicisti per il progetto parallelo di stampo heavy del quale aveva accennato tempo indietro.

Dopo le prime attività, però, emerse in Chuck il bisogno di riprendere in mano il destino dei Death, che era rimasto temporaneamente in standby: fu in quei due anni di pausa sostanziale che il musicista avvertì tangibilmente l’amore e l’attesa che il pubblico metallico nutriva nei confronti della sua creatura principale. Vennero ingaggiati dunque dei musicisti pressochè sconosciuti, ma tutti molto preparati tecnicamente e di base in Florida, cosa fondamentale al fine di semplificare il lavoro di squadra: Shannon Hamm alla chitarra, Scott Clendenin al basso, Richard Christy alla batteria. The Sound of Perseverance esce nel 1998 e, per l’ennesima volta, rivoluziona il tipico Death-sound, affinando l’eccellenza e lasciando tutti ammutoliti. Le trame progressive si intricano oltre l’inverosimile, i toni apocalittici tuonano possenti, tra riff statuari, assoli folgoranti, sfuriate assassine alla velocità della luce ed uno screaming vocale distantissimo dal growling dei primi dischi. Nelle tracce incise si sfiora una sorta di rassegnazione inesorabile di fronte ai mali del mondo e dell’essere umano, raffigurato come una sorta di frantumatore di spiriti nella sublime Spirit Crusher, o come uno sciacallo che si nutre del dolore altrui nell’imponente opener Scavenger of Human Sorrow, una delle migliori canzoni mai composte da Schuldiner ed esempio magistrale del sound compatto, devastante ed ipertecnico insito in questo disco, che godeva di altre gemme succulente come l’elaboratissima The Flesh And the Power It Hold, densa di cambi di tempo e accelerazioni letali, o la strumentale Voice of Souls, una struggente nenia accarezzata dalla melodia di tre chitarre, cucite con toccante sentimento dalle dita emotive del grande chitarrista floridiano. Il disco può essere considerato un perfetto mix tra la potenza, la rapidità di Individual Thought Patterns e la melodia raffinatissima di Symbolic: si candidava pertanto al ruolo di disco definitivo della band americana, una stupefacente istantanea della crescita vertiginosa avvenuta dai tempi del death-gore ed un’eredità preziosa dell’inarrivabile capacità compositiva e tecnica di Schuldiner. In un’epoca in cui il nu metal viveva il proprio periodo di gloria, Evil Chuck ribadiva con orgoglio quale fosse il vero suono dell’heavy metal, e proprio in questa fede fortissima nelle sonorità classiche e nelle proprie radici si trovava la perseveranza che il musicista sottolineava nel titolo dell’opera. L’artwork di copertina, raffigurante una montagna da scalare, a volte cadendo, spesso rialzandosi, era metafora di ciò che per Schuldiner acquisiva un’importanza seminale: possedere un sogno, un obiettivo, e lottare senza mai arrendersi per raggiungerlo. Le ripartenze a rotta di collo e le sfuriate travolgenti sconvolgono una tracklist ancora una volta priva di punti deboli; in ottica lirica, come visto, i testi si fanno più criptici e astratti: si parla di dolore, sofferenza da cacciare, esperienze vissute, perdono e riflessioni, in maniera quasi profetica e visionaria. Il genio del guru Schuldiner, unanimemente riconosciuto ormai da diversi anni, veniva ora proiettato in una dimensione ancora più allucinata e sorprendente, oggetto di rispetto e venerazione. Lui aveva creato il death metal, lui lo aveva trascinato sui territori impareggiabili della tecnica e della profondità, lui ora lo rendeva ancora più personale, evoluto oltre la soglia di raggiungibilità ed emulazione, senza perdere un grammo di violenza, impatto, affilatezza. Nelle interviste del tempo, Schuldiner appariva molto orgoglioso della sua ultima pubblicazione, ribadendo con convinzione i propri ideali: 'E' una vecchia storia, ma lo dico ancora una volta. In America il metal fa fatica, e mi riferisco al vero metal e non alla musica dei Korn, che non ha nulla a che fare col metal, anche se viene venduta come “nuova generazione metal”. E' solo un gioco sporco delle grandi case discografiche, lanciano tendenze da seguire in modo rapido per poter fare un sacco di soldi veloci. Uccidi la musica vecchia e spingi qualcosa di nuovo per i kids. I Death insistono ancora, nonostante tutta l'opposizione di chi sostiene il business, le nuove tendenze ed altre stronzate. Ho perseverato! Il metal è parte della mia vita, è la musica che ascolto da quando avevo dieci anni, non è mai stata scavalcata; dicono che band come i Death sono passate di moda. Una tendenza è sinonimo di qualcosa di temporaneo, come camminare insieme senza essere coinvolti in un vero amore. Non fraintendetemi, non ho nulla contro i Korn: sono bravi in quello che fanno, ma non venite a venderli a me come band metal degli anni novanta! Chi come me ha una carriera di quindici anni nel metal si è sentito offeso. Il mio nuovo disco è una dichiarazione: ascolta, questo è l’heavy metal degli anni novanta! Il mio amore per l’heavy metal è eterno'. L’amore per il metal classico e tutto il materiale indimenticabile pubblicato dalle amatissime band degli anni ottanta viene ossequiato attraverso la cover di un pezzo immortale e tradizionalissimo come Painkiller, nella quale Schuldiner canta in maniera atipica e duetta col leggendario Rob Halford, mettendo davvero la pelle d’oca; la scaletta proposta live era più completa che mai, capace di spaziare dal death più primordiale ed efferato a quello via via più curato e stratificato degli anni novanta. La band partì in tour con gli Hammerfall ed on the road Schuldiner si confermava una volta di più ragazzo amabile e disponibile, fermandosi a chiacchierare coi fans o autografando loro dischi e magliette. Dichiarava di fare una vita normale, amava i suoi gatti e il suo nipotino, preferiva suonare musica di notte perché di giorno doveva sobbarcarsi le interviste e il lato affaristico e, come se non bastasse, continuava a cullare il sogno di una band di heavy classico: al termine del tour, rimise i Death in standby e si rituffò nei Control Denied, affermando di non volersi assolutamente concentrare in due progetti contemporaneamente.

I Control Denied erano la naturale prosecuzione di quanto fatto con i Death e infatti quando uscì finalmente il debut album The Fragle Art of Existance erano riconoscibilissimi i riff e gli assoli tipici di Chuck. L’opera era curatissima e soddisfacente e godeva di un suono tipicamente heavy accentuato dalle vocals epiche di Tim Aymar. Sarebbe stato tutto fottutamente perfetto, il coronamento di un sogno, la gloria, la possibilità di vivere finalmente della propria arte, la stima perpetua dei fans e della critica. Ma il male più bastardo di tutti era all’angolo. La Morte, la bieca mietitrice, stava affilando la falce ed aveva scelto la preda: era proprio quel ragazzo mite e amante dei barbecue, che per tanti anni aveva sfacciatamente affrontato il destino utilizzando un moniker sotto il quale nascondere i tormenti per la perdita dell’adorato fratello. Nella primavera del 1999, poco prima del completamento del disco targato Control Denied, il musicista rilasciò un comunicato stampa a dir poco sconcertante, nel quale dichiarava di essere affetto da un tumore al cevello: 'Verso la fine del nostro periodo in studio ho iniziato ad avvertire un dolore al collo, che inizialmente reputavo fosse dovuto allo schiacciamento di un nervo o delle parti muscolari interessate. Dopo aver completato la registrazione ho consultato un chiropratico, un massaggiatore ed un agopuntore, che mi ha consigliato una risonanza magnetica. Beh, avevo ragione sul nervo schiacciato, ma purtroppo è stato causato da un tumore al tronco encefalico. Sono nella mia quarta settimana di radioterapia, con alcuni dei medici più stimati del settore. Sono aiutato dall'amore immenso e dal supporto della mia famiglia e dei miei amici, che é una componente molto grande per poter ottenere qualcosa in una simile battaglia. Parlare di ciò in parole semplici é ovviamente difficile, ma lasciatemi dire questo: è un'esperienza di mente, fusione di anima e corpo. Il trattamento sta andando bene, e con questo tipo di radiazioni molto aggressive la prognosi é buona, ci vuole pazienza. Qualcosa che ho imparato a gestire nei miei quattordici anni di vita musicale, ora é tempo di padroneggiare ulteriormente l'arte della pazienza nella mia strada verso la guarigione. Ho sempre sentito un legame personale tra la musica e gli appassionati e gli amici che la sostengono. Sono un grande sostegno, che va al di là della musica in sé e lo apprezzo con tutto il mio cuore e la mia anima. Mi hanno detto che questo tipo di tumore compare da piccoli, ce l’ho con ogni probabilità da anni e l’idea di averlo avuto nel mio corpo da tempo mi fa impazzire. Penso che forse lo sforzo nel cantare come cantavo io, quasi urlando, la pressione sul palco e lo stress che ho accumulato in tutti questi anni hanno contribuito negativamente'. Le attestazioni di supporto dei fans e del mondo del metal furono immediate e numerose, fu anche istituito un fondo medico per aiutare la famiglia Schuldiner a sostenere le ingenti spese che le cure richiedevano. Di fronte all’impossibilità di effettuare pagamenti anticipati, la famiglia si vide sbattere in faccia i vergognosi rifiuti dei maggiori centri ospedalieri. Naturalmente decise di perseverare, utilizzando i risparmi di tutta una vita. Di tanto in tanto, il chitarrista aggiornava i fans sulle sue condizioni, affermando che i trattamenti duravano solo dieci minuti, ma erano molto intensi e debilitanti; circondato dagli affetti familiari, Evil Chuck guardava ora la vita da un’altra prospettiva, anche se i medici preferivano rimandare l’operazione a causa della locazione delicata del cancro nel cervello. Erano tuttavia ottimisti e incoraggiavano lo stesso Chuck a mantenere un atteggiamento positivo, cosa che il ragazzo non esitò a fare, in perfetta coerenza col suo carattere combattivo e determinato. Tra diversi temporeggiamenti e rifiuti dovuti allo squallore del teatrino sanitario americano, agli inizi del 2000 si venne a conoscenza di una tecnica chirurgica sperimentale, molto costosa e rischiosa, che avrebbe potuto aiutare Schuldiner. Valeva la pena tentare. L’intervento andò a buon fine, parte del tumore venne rimossa e il musicista fu dimesso ed indirizzato ad un periodo di riabilitazione. La lontananza dalla chitarra aveva fiaccato sempre di più il ragazzo, che non esitò a riabbracciare quanto prima il suo strumento per scrivere un paio di nuove canzoni, affermando di sentire ancora il metallo scorrere vivo nelle proprie vene e non perdendo occasione per ringraziare tutti i fans che continuavano a supportarlo. Riallacciò anche i rapporti con James Murphy, ma l’illusione durò poco, perché in primavera il male tornò ancora più acuto e devastante. L’operazione, stavolta, era ancora più delicata e costosa ed il dramma minacciava impietosamente giorno dopo giorno. Furono organizzati dei concerti di beneficienza a favore di Schuldiner e Chuck Billy, cantante dei Testament che proprio in quei giorni soffriva a sua volta di un tumore: la gara di solidarietà vide impegnate band come i Pantera, gli stessi Korn, Kid Rock, i Testament [nella formazione di Legacy] e Marylin Manson. Prima di tentare la via rischiosissima del laser, i medici sottoposero il leader dei Death ad una cura molto dura, effettuata tramite un farmaco chiamato VinCristine: la lotta tra la vita e la morte proseguì per tutto il 2001, con qualche segnale di miglioramento a novembre; ma Chuck era talmente debilitato che un’infezione ai polmoni lo costrinse ad un nuovo ricovero, dal quale non sarebbe più uscito. La madre rimase al suo capezzale fino all’ultimo: Chuck Schuldiner si spense nel pomeriggio di giovedì 13 dicembre 2001, un'ora circa dopo il suo ritorno dall'ospedale alla casa di Altamonte Springs. Un tramonto agghiacciante poneva ora il silenzio laddove avevano imperato i decibel. Calava il sipario sulla leggenda dei Death. Chuck Schuldiner era un genio ed è diventato una sorta di profeta, un messia, utilizzando la propria musica e la propria coscienza come un vangelo da tramandare ai posteri. Esso ha dato la voce ai senza voce, ha fatto parlare i cuori prosciugati dalla sofferenza, ha combattuto fino all'ultimo istante di vita contro la falsità, gli stereotipi, le ingiustizie. E forse, quel maledetto giovedì 13 dicembre, ha smesso di soffrire. Era un essere umano, Chuck Schuldiner, e amava le cose semplici della vita: resterà indimenticabile una delle ultime frasi pronunciate prima della malattia, in riferimento alla prossima pubblicazione dell’album dei Control Denied: 'La vita è fragile, sopravvivere è un’arte. Bisogna superare le avversità, metabolizzare le esperienze negative, realizzare i propri sogni. La vita è una sfida per ognuno di noi, perché non è facile, è una battaglia continua. Ci sono stati tanti momenti terribili nella mia vita, ma non vorrei mai cancellarli. Voglio portarli con me per sempre, perché la vita è fatta di momenti belli e di momenti brutti e sono proprio le esperienze peggiori, le più negative, a farti comprendere meglio la vita, e a insegnarti come affrontarla'. Scorrono i titoli di coda, accarezzati dalle note commoventi di Voice of Souls, su un artista che, in realtà, mai se ne è andato e mai se ne andrà. I suoi dischi echeggiano potenti ora come allora, il ricordo vivido di quel ragazzo gentile e determinato è fresco come se quel cancro bastardo non fosse mai sorto: l’affetto, la riconoscenza e la venerazione di un popolo intero, quello bardato di cuoio e metallo, è la più grande consacrazione di immortalità che un uomo possa immaginare. Il 13 dicembre 2011 saranno dieci anni dalla sua scomparsa, volati d’un soffio, eppure così densi da sembrare secoli. Milizie di fedeli ancora scuotono il capo, fibrillando di fronte alle sue gemme: Suicide Machine o Overactive Imaginations, Torn to Pieces o Scavenger of Human Sorrow, indistintamente dall’album, dall’umore, indipendentemente da tutto. Armate di seguaci continuano a perseverare, si affidano a quei testi per affrontare gli ostacoli, generazione dopo generazione, riflettendosi negli scritti di un giovane saggio, che non ha mai avuto la pretesa di parlare per gli altri ma, al tempo stesso, ha avuto il dono di rispecchiare le emozioni di legioni intere di affezionati. Spetta al vecchio manager Eric Greif regalarci un ultimo ricordo, un’ultima emozione per celebrare la grandezza di una persona magnifica ed un artista insuperabile. Riposa in pace, fratello. 'Un momento particolare continuerà a vivere per sempre nella mia mente: eravamo in viaggio nel nostro tourbus, da qualche parte tra le nevi della Svezia; credo che fossimo gli unici ancora svegli e ci siamo seduti vicino alla cabina di guida, affrontando una conversazione profonda sulla nostra vita, il nostro futuro, quello della band. Ero molto giù per il modo in cui stavano andando le cose: Chuck mise il braccio sulla mia spalla e indicò le stelle che brillavano nel cielo. Mi disse che non dovevo avere paura di nulla e che le cose sarebbero andate a finire come avrebbero dovuto. Chuck era così, ci sono stati momenti di pura profondità, onestà e convinzione, e queste erano le sue caratteristiche che si soffermeranno per sempre nella mia mente'. Rino Gissi, Metallized.it

VOICE OF THE SOUL
I TESTI DI CHUCK SCHULDINER



La passione brucia come un fuoco portato dal vento. Un vento di passione e innovazione era spirato dalla Florida, scuotendo al tramonto quegli anni ottanta così vividi ed ispirati per le milizie di fedelissimi cuoio-borchiati: un ragazzino dal lungo crine era sorto da un inferno burrascoso, ed armato della sua fedele ascia a sei corde si era fatto condottiero di quel vento. Giostrava su sentieri criptici e controversi, portava il vessillo della Mietitrice ma utilizzava il proprio brando come monito di sfida alla Morte stessa: la provocava sul suo terreno, ne assorbiva le fattezze e, mostrandone l’inquietante degradazione, cercava di svelare alle masse l’importanza del suo inverso: la vita. Attraverso i sogni, esso collegava la vista al suono: chiudendo gli occhi, ed immaginando di essere senza ciò che riteniamo sia assicurato ogni volta che li riapriamo, potremmo accorgerci di quanto piccoli siamo al cospetto dell’universo, del cielo, del destino. La determinazione e l’ambizione che muovevano Chuck Schuldiner erano implacabili: sin da piccolo aveva dovuto superare ostacoli laceranti, come la perdita dell’adorato fratello maggiore e ad appena sedici anni aveva messo in piedi il primo nucleo dei Mantas, aveva brutalizzato ed estremizzato la musica assassina dei Venom, si era spinto prima in California e poi in Canada alla ricerca della sua strada ed aveva capito che la velocità fine a sé stessa non faceva al caso suo. Le sue composizioni iniziavano ad essere decisamente pesanti, accostando tempi pachidermici alle consuete sfuriate ritmiche e ai riff più veementi di tutta la Florida. Tanti giovani musicisti erano entrati ed usciti dal suo progetto, a cui aveva attribuito il profetico moniker Death, ma sin dalla prima ora il ragazzo fece trasparire un’oculatezza maniacale nel reperire le persone che avrebbero dovuto seguirlo nel suo percorso. A San Francisco aveva incontrato Chris Reifert, giovane batterista che lo affianca nella registrazione del primo disco vero e proprio, facente seguito ad una sequela impressionante di demo tapes: doveva chiamarsi Zombie Ritual, fu ribattezzato Scream Bloody Gore ed uscì nel maggio 1987, sancendo dei nuovi parametri all’interno della musica estrema. Il disco, che sbatteva in copertina scheletri troneggianti e sfumature cromatiche molto oscure, era un assalto furibondo di riff brutali e d’impatto letale, poggiava su ritmiche serrate di stampo thrashy ma prevedeva anche passaggi più pesanti, il tutto registrato in maniera grezza e diretta; Schuldiner lasciava filtrare una capacità sorprendente nella composizione di riff violenti ed ugualmente validi, permeati di un’atmosfera opprimente, cupa e sulfurea, sublimata da testi splatter e gore ispirati dai più stomachevoli horror-movie dell’epoca. Lo stesso chitarrista si poneva al microfono con una timbrica gutturale e primitiva, stabilendo al tempo stesso tutti i canoni di quello che sarebbe stato presto battezzato proprio death metal: dal punto di vista musicale, come anche da quello vocale, il giovane musicista stava plasmando un nuovo modo di intendere l’heavy metal. Nulla era stato tanto crudo, marcio e shockante prima di Scream Bloody Gore, al cospetto del quale il satanismo dei Venom appariva roba da ragazzini. Ancor più sorprendente era il fatto che il platter fosse stato registrato, in pratica, da un duo: Schuldiner, che aveva scritto tutte le canzoni, si occupava della voce, della chitarra e del basso, mentre Reifert suonava la batteria. Quando entrò in formazione un secondo chitarrista, John Hand, il record era giù ultimato: Hand se ne andrà senza lasciare traccia, prima ancora di poter incidere anche una singola nota con la band. L’album era un manifesto di veemenza e mostruosità sonora: conteneva una serie mirabile di sfuriate devastanti mai banali, pezzi come Infernal Death o la tremenda titletrack, un complesso ricchissimo di riff stordenti e testi talmente rabbiosi e truculenti da lasciar supporre le peggiori leggende metropolitane sul conto del giovane Chuck. Tra i titoli spicca Zombie Ritual, già ascoltata su qualche nastro dimostrativo, col suo riff sepolcrale e le sue liriche raccapriccianti, incentrate su un’invasione di zombie spietati e morbosamente assetati di carne umana. Ma la violenza sonora tracimava nelle spaventose Evil Dead [dalla quale Chuck prenderà il soprannome di Evil Chuck], Mutilation e Torn to Pieces, nelle quali si descrivevano massacri e mutilazioni alla velocità della luce; decisamente normale per un adolescente che voleva metter in musica tutti i sentimenti peggiori dell’animo umano, e che pertanto non poteva che essere attratto dalle tematiche splatter di cui si è detto. Intelligentemente schivato fu, invece, il satanismo [vagamente presente in Baptized in Blood, che però parla di bambini sacrificati senza certo schierarsi a favore di tale scempio], tanto abusato dalle giovani band con l’obiettivo di scandalizzare le masse. Ricorderà in seguito Schuldiner: 'La reazione dei fans a Scream Bloody Gore è stata semplicemente fantastica, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. Suonavo la chitarra da soli due anni, quindi la struttura delle canzoni era molto semplice. L'album suona molto grezzo ma io ne sono ancora orgoglioso. Ero totalmente soddisfatto del modo in cui il disco è uscito. Randy Burns ci ha dato una produzione molto pesante, ed era molto facile lavorare con lui in studio. L'unica cosa che rimpiango riguarda la chitarra ritmica, credo che avrebbe potuto essere un po’ più forte nel mix'. Chiunque altro si sarebbe sentito arrivato e si sarebbe montato la testa, ma non Chuck Schuldiner, che iniziava ad avvertire l’imminente declino della scena californiana e decise di tornarsene in Florida, abbandonando di colpo il piccolo regno underground che si era adagiato ai suoi piedi. C’erano degli spettacoli organizzati insieme ai Sadus e ai Desecration, ma il chitarrista se ne tornò indietro da dove era arrivato, avvolto dal medesimo alone di mistero. All’amico Reifert, definito un vero e proprio brother of metal, fu chiesto di accompagnarlo, ma il drummer non se la sentì e le strade di quell’amicizia profonda e sincera si interruppero proprio nel momento in cui Scream Bloody Gore iniziava a destare scalpore, scomodando nuovi epiteti e scuotendo le nomenclature tradizionali. Diventerà immediatamente una delle pubblicazioni più influenti e seminali di tutta la storia del metal. Ripartendo da zero, Chuck Schuldiner [che stava componendo delle nuove canzoni] non esitò a riallacciare I rapporti con l’ex ascia dei Mantas, quel Rick Rozz finito nel frattempo in forza ai Massacre: la partecipazione al Milwaukee Festival di quell’anno resterà uno dei primi grandi eventi live a cui abbiano partecipato i Death, oltre a sancire il primo incontro col futuro manager Eric Greif, col quale sorgerà un’alleanza molto forte. L’obiettivo era quello di concentrarsi sul songwriting, privilegiandolo all’attività live, con lo scopo di emergere anche al di fuori dei propri confini: la line-up accolse il bassista Terry Butler e il batterista Bill Andrews, anch’essi ex dei Massacre, e Schuldiner dichiarò che il nuovo album sarebbe stato ancora brutale come l’inferno, ma anche più melodico, in quanto non era affatto sua intenzione ripetersi. Avrebbe potuto scrivere un altro Scream Bloody Gore senza alcun problema, ma vivere di rendita non faceva per lui: per questo cercava persone che combattessero in trincea al suo fianco e non concepissero la musica soltanto come un divertimento o, peggio ancora, come una mera attività commerciale. Nel 1988 uscì dunque Leprosy, ancora una volta ammorbato da sonorità terremotanti, tematiche disturbanti e velocità lancinanti, ma al tempo stesso più pulito nel suono e curato nella produzione. Nel coloratissimo artwork di copertina vi erano raffigurati un lebbroso segnato dalla malattia e l’ormai inconfondibile logo, con tanto di falce, croce rovesciata, ragnatela, fiamma e teschio. Un passo avanti incredibile, che aumentò notevolmente la professionalità della band: Schuldiner affermava di essersi calato in maniera più tecnica nel riffato, con accordi più complessi, ma sostenne anche che il sound della band era rimasto riconoscibile. Dal punto di vista lirico ci fu un’altra sensibile evoluzione, che vide l’obiettivo spostarsi dallo splatter ad elementi più reali [ma ancora disgustosi e deprecabili agli occhi della società] e tratti da articoli di giornale: lebbra, assassini che rimuovono il proprio passato, guerra, cannibalismo, morte [Open Casket sembra parlare della morbosa attenzione che i viventi pongono ai deceduti, e al tempo stesso è un ricordo della visione di Frank, il fratello di Chuck, disteso nella sua bara aperta] e persino eutanasia: Pull the Plug, infatti, si candida a brano-simbolo del disco, sia per lo scottante tema trattato che per il trascinante incrocio di velocità da delirio, rallentamenti spaventosi ed accelerazioni velenose. Il mid growling utilizzato in Leprosy puntava ancora forte su refrain vagamente catchy ed urla disperate, sparate follemente su ritmiche martellanti ed immediate, infuocate da assoli fibrillanti e caotici. Il disco ebbe un enorme successo nella scena underground del metal estremo, ma il tour di supporto fu organizzato in maniera troppo approssimativa e rozza, finendo per essere interrotto a causa degli scarsi risultati; tuttavia la Combat organizzò una serata live con tutte le band del proprio rooster [Raven, Forbidden, Death, Faith or Fear e i Dark Angel dell’enorme drummer Gene Hoglan], immortalata nella VHS Combat’s Ultimate Revenge II: per quanto soddisfatto ed eccitato dalla reazione degli headbangers e dell’esperienza live fatta in quel periodo, Chuck non esiterà a criticare quel prodotto, esortando i fans ad appiccarvi un falò ed andare a vomitare. Tuttavia, affiorarono presto nuovi problemi tra Schuldiner e Rozz, che fu cacciato dalla band, come ricordato dallo stesso Chuck: 'Questo record è stato un grande passo in avanti e la gente si è resa conto che abbiamo fatto molto più che produrre solo rumore. Anche la produzione è stata molto migliorata. Rick è stato praticamente cacciato dalla band a causa del fatto che ci stavamo tutti evolvendo come gruppo e migliorando come musicisti, mentre lui, semplicemente, non lo stava facendo. Mi impediva di scrivere il tipo di materiale che volevo scrivere, dovevo preoccuparmi continuamente di non scrivere materiale troppo complesso, perché per lui era impossibile eseguirlo; noi tutti sapevamo che era ora di cambiare'.

Due mesi dopo il tour interrotto, la band era infatti tornata on the road, aveva aperto per gli Anvil [band molto amata da Schuldiner] ed era giunta in Europa, prima di tornare nuovamente in patria a causa di nuovi problemi con gli organizzatori: il fallimento del tour fu la goccia che fece traboccare il vaso, e Rozz fu allontanato, colpevole di essere poco scrupoloso e di interessarsi più al bar e alla propria acconciatura che alla musica dei Death. Un vento nuovo, però, soffiava sul destino della Morte con l’avvento degli anni novanta: la progressione tecnica, da sempre chiodo fisso del poliedrico Schuldiner, si fece tangibile nel nuovo disco, Spiritual Healing, un lavoro che rispetto ai due predecessori si presentava immediatamente più maturo, evoluto, tecnico. Il sound della band restava brutale e ricco di cambi di tempo ed alternanza tra sezioni rapide ed altre più cadenzate, ma si sviluppava ora in trame più elaborate, godendo di liriche decisamente più intelligenti rispetto al debut: la trascinante opener Living Monstrosity e l’imprevedibile Altering the Future trattavano i problemi della droga e dell’aborto, la succulenta titletrack si scagliava contro il fanatismo religioso, la trepidante Defensive Personalities analizzava l’incontrollabilià della mente umana. La mutuata direzione stilistica si avverte fin dall’artwork di copertina, per il quale viene scelto un disegno affatto truculento a favore di un’immagine più simbolica e cerebrale, che si ricollega alla titletrack e al bigotto mondo dei predicatori religiosi. Le linee vocali rimanevano gutturali ed estreme, anche se il gusto per i refrain catchy filtrava in maniera sensibile di traccia in traccia. La seconda chitarra fu affidata a James Murphy degli Agent Steel, dopo che per una breve parentesi furono in procinto di entrare nella line up prima Albert Gonzalez e poi Paul Masvidal [che però preferì non abbandonare i suoi Cynic]; la sezione ritmica retta da Butler e Andrews era molto solida e compatta, con un drumworking tonico e quadrato, più ricercato che in passato ed abbinato ad un riffering ancor più brillante. Naturalmente restavano in primo piano gli assoli fiammanti di Schuldiner, che guadagnarono però una melodia ancor più sinistra ed annichilente. Il tutto venne registrato da Scott Burns in maniera pulita e professionale: questo, unitamente ai testi maturi ed attualistici, portò la band ad un livello superiore di credito e stima presso la stampa e i fans, anche se non mancarono illustri colleghi [come i Morbid Angel] che criticarono l’evoluzione tecnica della compagine, definendola eccessivamente commerciale. Le risposte di Schuldiner furono lapidarie ed orgogliose: 'Ho voluto ripulire il suono pur mantenendolo davvero pesante. Scott sicuramente aveva lo stesso obiettivo in mente. Con tanti produttori che ci sono là fuori avremmo potuto perdere l’essenza di questo concetto, invece lavorare con Scott ci ha consentito di raggiungere ciò che è stato Spiritual Healing. Un sacco di gente ha iniziato a prenderci più seriamente, e questa è una cosa che mi ha reso davvero felice. Ho sempre preso molto sul serio la musica. Ognuno ha diritto ad avere una sua opinione. La produzione è migliore e raffinata, ma siamo sicuri che renda l’album davvero così morbido? I riff sono molto brutali, così le parti vocali. Certo, le liriche non sono truculente, e allora? Il contenuto dei testi è qualcosa a cui tengo. Ad alcune band non frega un cazzo dei testi, a me sì. Per quante volte si può cantare di demoni che sgozzano suore? Questo significa avere una mente limitata. Dicono che io non suono più death metal, ma io facevo death metal molto prima che il 99% dei gruppi ora in giro lo facessero'. Era un periodo in cui i vincoli che dettavano le diversificazione tra i generi erano molto rigidi, e scavalcarli era ritenuta una specie di blasfemia: ma Chuck era sempre stato una persona lungimirante e, rifiutando ancora una volta i cliché, gli stereotipi e le facili etichettature, aveva preso per mano la propria creatura e la stava portando ad un livello successivo di perfezione artistica. Il death metal rischiava già lo stagnamento, ma in pochi sembravano accorgersene, continuando a suonare alla velocità della luce ed in maniera assolutamente grezza e brutale, cosa che al nostro non stava più bene: Spiritual Healing godeva di una tracklist eccellente, era un passo avanti incredibile rispetto a Leprosy e si candidò immediatamente a nuova pietra miliare, essendo un disco fondamentale per la transizione al techno-death che sarebbe avvenuta in seguito. Probabilmente, resta la fotografia perfetta tra la violenza furibonda dei primi due dischi e l’eccellenza pratica dei successivi. Eppure, il chitarrista floridiano stava per andare incontro ad un periodo veramente burrascoso, nel quale saltò temporaneamente la testa del manager Greif e si aprirono laceranti conflitti con gli altri membri della band, Butler e Andrews, i quali accusavano Chuck di dispotismo ed eccessiva apprensione: era troppo alta la sua dedizione al moniker che aveva creato e non voleva permettersi passi falsi. La depressione colpì Chuck Schuldiner alla vigilia di un importante tour europeo, ma i compagni non ascoltarono le sue richieste e si imbarcarono verso il vecchio continente senza il deus ex machina stesso della band. Ferito a morte da tale tradimento, Chuck venne anche infamato a ripetizione da quelli che aveva considerato, fino a quel momento, i suoi migliori amici; una serie letale di pugnalate alle spalle, che farà maturare nel cuore del giovane musicista un bruciante senso di desolazione ed una diffidenza cronica nei confronti delle persone, fino al punto di trasformare i Death in una sorta di monopolio, nel quale lui sceglieva i musicisti di cui circondarsi senza che questi entrassero a far parte della line-up in maniera eccessivamente intima. Del resto, il tour al fianco dei leggendari teutonic thrashers Kreator era qualcosa di difficile a cui rinunciare, e non deve esser stato facile per Chuck venire a conoscenza delle speculazioni che gli ex colleghi davano in pasto alla stampa, mentre si esibivano con il 'nuovo' cantante Louie Carrisalez. Da quel momento in poi, la fama di Evil Chuck sarà quella di tiranno: fino alla fine dei propri giorni, il chitarrista si troverà di fronte giornalisti pronti a chiedere delucidazioni sul suo presunto egocentrismo, nonostante si accorgessero essi stessi di aver incontrato un ragazzo tranquillo, disponibile ed umile. Fa effetto, in ogni caso, immaginarsi i Death su un palco senza il proprio leader: non deve essere stato un grande spettacolo per i presenti, visto che soltanto il virtuosismo di Schuldiner poteva permettere il raggiungimento del climax tecnico dell’act americano. Medicandosi queste ferite lancinanti, il chitarrista non esiterà a definire una specie di cover band quella sorta di deformazione mutante della propria band, e ribadirà in un’infinità di interviste le linee guida del suo pensiero: 'Mi fu riferito da terze persone che gli altri avevano deciso di partire ed esibirsi lo stesso, senza di me. Ne fui colpito, ma pensai: 'chi se ne frega, sto troppo male, devo pensare a me stesso ora, poi mi preoccuperò di raccogliere i pezzi'. Dopo due settimane dall’inizio del 'loro' tour ricevetti una telefonata da Bill e Terry, a cui rispose mia madre, con cui mi comunicarono che non volevano avere più nulla a che fare con i Death. Credevo fossero degli amici, ma mi sbagliavo. I musicisti possono essere sostituiti, ma gli amici no. Hanno fatto di tutto per infangare il mio nome, hanno detto ai fans che me ne fregavo di loro, che volevo sciogliere i Death e formare un gruppo rock. Al ritorno dall’Europa, Bill mi ha richiamato, dicendomi che in fondo eravamo amici da tanti anni.. eravamo, gli risposi. Butler dovrebbe stare attento a come parla. Non era nemmeno in grado di suonare il basso su Leprosy, che alla fine ho dovuto fare quasi tutto io. E’ la pura verità. Mentire? Potrei, ma mi abbasserei al suo livello e non ne ho alcuna intenzione. Chi è stato cacciato fuori dal gruppo non ha avuto niente di meglio da fare che mentire, ma sono affari suoi. Io non ho tempo da perdere, continuo il mio lavoro e vado per la mia strada. Non nego che alcuni commenti ed atteggiamenti, che miravano solo ad infangare il mio nome, mi hanno ferito. Tuttavia, anche nei momenti più bui, che mi auguro di non rivivere mai più, ho ricevuto tanta solidarietà dai fans, che mi pregavano di continuare a suonare. Questo mi ha dato la forza di andare avanti'.

Raccolti i cocci e messo alle spalle il passato burrascoso, Chuck Schuldiner riorganizzò i Death richiamando il chitarrista Paul Masvidal [in luogo di un James Murphy mai integratosi nella line-up], il vecchio brother of metal Steve Di Giorgio [bassista conosciuto ai tempi della permanenza a San Francisco] e il talentuoso batterista Sean Reinert, il quale permise l’introduzione di suoni jazz/fusion nello stile sempre più articolato della band; erano pronti una manciata di pezzi nuovi, e Schuldiner stavolta aveva fatto le cose veramente in grande, essendosi peraltro sbarazzato di quei traditori dal limitato bagalio tecnico. Il tasso qualitativo della nuova formazione era straripante, ed infatti l’album che ne sarebbe uscito, Human [1991], è da molti considerato come uno dei vertici massimi della stupenda discografia dei Death. E’ il disco dell’avvenuta rivoluzione, quello in cui le trame si fanno labirintiche e gli arabeschi melodici prendono piede in maniera più ampia e dettagliata, rendendo ridondante il tecnicismo elevato che era stato accennato su Spiritual Healing. Eppure, la violenza e la possenza distruttiva restavano munizioni letali e dominanti, all’interno dell’esteso repertorio di quella corazzata da guerra che erano ormai diventati i Death. L’influenza di band ultra tecniche come i Watchtower si faceva palese nel sound asciutto ed ineccepibile, ancora una volta devastante e capace di spaziare tra le velocità ritmiche più disparate: si passa dall’imponente Flattening of Emotions all’irruenta Suicide Machine, dalla gemma di Lack of Comprehension alla sublime strumentale Cosmic Sea, dotata di melodia onirica ed avvolgente. La tecnica diventa il fulcro del death impattante della leggendaria formazione americana, che nel frattempo vedeva il logo leggermente modificato [perdeva infatti la ragnatela ed alcune gocce di sangue, considerate troppo infantili] nell’artwork di copertina, che raffigurava l’anatomia di due esseri umani: il tema lirico del platter, infatti, era proprio un viaggio all’interno dell’essere umano, una creatura che Schuldiner iniziava ad avvertire come inquietante e decadente per le infime bassezze morali delle quali essa è vittima. E’ così possibile ondeggiare tra argomenti delicati come quello dell’eutanasia [ripreso in Suicide Machine] ed altri più astratti, come la castrazione emotiva alla quale ognuno di noi sembra sottoporsi nella propria vita, un po’ per difesa ed un po’ per reazione ad una realtà nella quale i sentimenti sembrano essere debolezze. Schuldiner parla di sogni e compara l’essere umano a pianeti vacui, si batte contro la censura e le infondate accuse al mondo dell’heavy metal [Lack of Comprehension, primo videoclip della band, non è altro che un atto di fedeltà ai Judas Priest, trascinati in tribunale dai parrucconi della società-bene che tendevano a giustificare suicidi e tragedie giovanili utilizzando la musica come capro espiatorio] e si incammina nel pericoloso sentiero delle malformazioni fisiche, additate come fenomeno da baraccone, da deridere e tenere alla larga [Together As One parla infatti di due gemelli siamesi]. L’opera rasenta pertanto la perfezione, sia dal punto di vista lirico che musicale, essendo sontuosa la simbiosi tra la potenza impattante, roboante, e l’acume argomentativo delle otto tracce presenti in scaletta. Le composizioni erano molto variegate e strutturate, ma a dominare erano la velocità e la potenza, ben amalgamate all’alternanza sorprendente di riff esplosivi, partiture eccellenti ed assoli fiammanti, ora più lancinanti ed ora più armoniosi; il mid growling gode di una cura ancora una volta particolare ed è imperniato sui consueti refrain catchy tipici del songwriting di Schuldiner, ma una lode particolare la merita il drumworking di Reinert, che permette l’esplorazione di nuove vie derivate dal blues e dal jazz. Rabbia, emozioni ed adrenalina cucite a regola d’arte: Human spacca ogni schema ed è un moto d’orgoglio incontenibile per Chuck: 'Human è più di un disco per me, è una vendetta. E’ quello che farà apparire le persone che mi hanno attaccato per quello che sono: dei bugiardi! Sono in una fase di sperimentazione: il sound è più carico di atmosfera, in un momento in cui tutti i gruppi fanno a gara in velocità e vanno dietro a deliri satanisti. Human è più introspettivo, ha un suono molto aggressivo ma è più melodico e progressive di Spiritual Healing. Abbiamo lavorato alla grande, dopo gli inconvenienti con la precedente line-up: Conosco Sean e Paul da alcuni anni, suonano nei Cynic tuttora. Si sono presi del tempo per darmi una mano a registrare Human, insieme a Steve DiGiorgio dei Sadus. E’ andata veramente bene, siamo tutti amici , e abbiamo attraversato un periodo molto gioioso, le prove e la registrazione con Scott Burns. E 'stata una situazione davvero fantastica, e per il tour abbiamo ingaggiato un nuovo bassista, Skott Carino dei Fester, perché Steve è impegnato a tempo pieno con i Sadus. Sono davvero grato alle persone che mi hanno aiutato a ottenere questo risultato'. Tra novembre e dicembre la band affrontò il tour negli States, e volò successivamente in Germania, Svizzera e Belgio, imbastendo una scaletta imperniata sui pezzi degli ultimi due full length: pian piano, le virulente scariche gore degli esordi venivano limitate a pochi passaggi 'intoccabili' [Zombie Ritual e Pull the Plug su tutte] al fianco delle nuove mazzate come Lack of Comprehension, Suicide Machine ed Altering the Future; tuttavia non mancarono contrattempi ed inconvenienti assai fastidiosi, dovuti per lo più all’inefficienza del management: per esempio, a causa di mancati pagamenti relativi all’utilizzo del tourbus, la strumentazione della band fu sequestrata. I Death dovettero tornare anzitempo nel continente natio, scatenando la furia di Schuldiner, che giustamente dichiarava di essere solo un musicista e non un manager; la situazione finanziaria e tutto l’ambito burocratico gli erano quasi estranei, ma da quel momento decise di sobbarcarsi sulle spalle anche quelle faccende. Però l’ambizione era ancora intatta, e nel disco successivo Schuldiner avrebbe superato anche il cielo. I molteplici impegni nei quali erano coinvolti i musicisti che avevano contribuito alla registrazione di Human costrinsero Chuck a rivoluzionare ancora la line-up, che divenne una vera parata di stelle con l’ingresso del poderoso drummer Gene Hoglan [ex Dark Angel] e il valido chitarrista Andy LaRoque [delle icone danesi Mercyful Fate] al fianco del bassista Steve DiGiorgio. Pubblicato nel 1993, Individual Thought Patterns è il superamento della perfezione: riprende le velocità, la compattezza, la potenza e l’intricatezza di Human portandole ad un livello ulteriore di architettura sonora. Gli elementi progressivi, i repentini cambi di tempo, le influenze artistiche e i labirinti di sezioni articolate vennero centuplicati, cuciti assieme dal solito torrente di riff brutali ed esplosivi, dai testi sempre più scottanti e toccanti e dal growling ancora una volta feroce, ma catchy, di Schuldiner, il quale arrivò a dichiarare che la definizione di death metal non può più andare di pari passo con i Death. Il musicista ribadiva nelle interviste la sua volontà di non porsi alcun limite e proseguire la propria evoluzione, sottolineando l’ottimo feeling creatosi tra i musicisti e ponendo l’accento sullo shredding di La Roque, che coronava il suo sogno di poter sfoggiare una coppia di chitarristi gemelli, come nella tradizione classica da lui tanto amata. Sferrando una serie impressionante di assoli magniloquenti e prolungati oltre ogni concezione di melodia e distorsione, i Death sfrecciano tra nuovi brani indimenticabili come la pesante In Human Form, l’impattante Jealousy e la completa Overactive Imaginations, manifesto ideale dell’intero caleidoscopio sonoro della band: velocità, trame, atmosfera, assoli da capogiro, melodia, violenza sismica, intelligenza tecnica e lirica, riff mozzafiato, il drumworking terremotante di Hoglan ed il basso evidente di DiGiorgio, sempre più pulsante e in primo piano. Era un viaggio annichilente tra le ambientazioni decadenti e inquietanti di Nothing Is Everything e Mentally Blind [dotate di testi talmente realistici da apparire commoventi], l’assolo straripante di Trapped in a Corner e l’inflessibile autorevolezza di The Philosopher, che diventa anche il secondo videoclip della band: ancora una volta, una vera e propria crociata contro lo stagnare dei soliti stereotipi che volevano il death soltanto ignorante. In verità, i Death continuavano a rappresentare l’incarnazione stessa del genere e al tempo stesso lo modellavano a loro immagine e somiglianza, fin troppo intelligenti per essere veri; gelosia, falsità, supponenza, superficialità, e soprattutto l’incapacità di ragionare con la propria testa [trattata nella titletrack] sono solo alcuni dei temi che vengono affrontati nei testi da brivido tracciati dalla penna di Schuldiner, un vero e proprio cantore dei valori nobili, sempre in prima linea per denunciare le mostruosità insite negli esponenti più disgustosi della razza umana.

Azzeccato si rivelò l’artwork di copertina, che vedeva il nostro pianeta quasi in rotta di collisione con un teschio gigantesco, che rappresentava al tempo stesso il declino a cui siamo destinati e la consistenza miserabile delle nostre esistenze. 'Individual Thought Patterns aggiunge varietà alla musica dei Death, basti pensare al fatto di aver lavorato con uno shredder come Andy, che ha fatto veramente un duro lavoro per quest'album. Spero che il disco trascini l'heavy metal ad una forma d'arte di livello superiore: con questo disco si dimostra che si può ottenere un suono pesante e melodico allo stesso tempo, anche senza abbassare del tutto l'accordatura delle chitarre. Inoltre ho cercato il rischio anche come cantautore: non mi ero prefissato alcun limite, ho abbandonato le strade già battute e conosciute perché la progressione é ciò che permette alla musica di rimanere emozionante. So che posso sembrare superbo, ma non ho intenzione di rimanere ancorato alla stessa formula per sempre. Sarebbe come avere un ristorante e servire in eterno lo stesso menu. Voglio che i Death si evolvano e non si pongano limiti. Ci sono band che, per far contenti i fans, continuano a suonare la stessa musica che li ha portati al successo, senza accorgersi che, così facendo, annientano la loro creatività. La musica che creo deve piacere a me per primo, e la tensione continua verso la ricerca della perfezione musicale è la mia motivazione principale. Oggi le persone ritengono che il death metal per essere tale debba essere per forza suonato a velocità supersoniche e con tematiche sataniche; oggi penso che bisogna scrivere cose in cui la gente possa identificarsi e questo non succede leggendo di uno zombie che mangia un braccio a qualcuno o cose del genere. Quindi ora mi piace affrontare le situazioni della vita reale. Ho trovato più semplice scrivere di questo e penso che essi facciano riferimento ad un sacco di persone. In questo mondo accadono un sacco di cose di cui vale la pena scrivere, tutto quello che devi fare é aprire un giornale o accendere la televisione. Io considero i Death una band metal, e ognuno é libero di classificarla come preferisce. Suoniamo heavy metal, so che suoniamo molto pesante, e questo é ciò che conta. Sono davvero stanco di ogni tipo di classificazione, credo che sia limitante. Questa scena si é evoluta partendo dal metal tradizionale, é lì che sono le mie radici'. Nessuno poteva più osare discutere il genio sopraffino e avanguardistico di Chuck Schuldiner. La musica dei Death continuava a riflettere in maniera decisa e aggressiva la visione del mondo e dei suoi 'simili' che Evil Chuck possedeva: i testi erano per lui una sorta di terapia, necessaria per sfogare tutte le rabbie represse a fronte di ingiustizie e tradimenti. Il mondo del music business veniva sistematicamente attaccato e colpito a fondo, così come puntualmente emergeva l’insofferenza del giovane chitarrista nei confronti della falsità umana, che l’aveva infastidito praticamente da sempre. Rino Gissi, Metallized.it

VOICE OF THE SOUL
I TESTI DI CHUCK SCHULDINER


Nella storia del metal. Dopo una sfilza di demo incredibile, i Death erano giunti all'esordio nel 1987 con 'Scream Bloody Gore', ribadendo nel successivo 'Leprosy' (1988) un sound brutale impostato su liriche crude, spesso e volentieri sataniste, pregne di contenuti splatter in ogni caso di stampo infantile: il leader maximo della band, il giovane Chuck 'Evil' Schuldiner, però, stava maturando un diverso concetto di death metal, che lo avrebbe portato di li a poco a levigare il sound della sua creatura, della quale avrebbe raffinato la musica e i testi. Già con il capolavoro 'Spiritual Healing' i Death iniziano a offrire un sound più complesso e strutturato, e alle macabre descrizioni di pezzi come 'Living Mostruosity' alternano embrionali riflessioni sulla legge del più forte, che nella società americana negava il diritto alla vita ai poveri, ai deboli, ai malati. La vera svolta coincide con 'Human', del 1991: man mano che cresce la caratura sonora e la complessità delle trame, Schuldiner eleva anche il livello delle sue liriche, privandole quasi delle descrizioni 'reali' a vantaggio di riflessioni filosofiche molto toccanti, effettuate sempre nella prima persona [singolare o plurale] per coinvolgere di più l'ascoltatore: sono le torture 'morali', ora, a ferire più di quelle corporali, ed emerge in maniera dominante la falsità delle persone ['Secret Face': c'è una maschera che copre le vere intenzioni di ciascuno; 'ciò che è all'esterno non è sempre ciò che è reale']. Nel 1993 esce 'Individual Tought Patterns', dando l'idea che la qualità dei Death debba crescere in modo netto e vertginoso album dopo album, senza un limite di sorta: qui Schuldiner si pone molte domande, tra filosofia e poesia, invitando anche i suoi ascoltatori a fermarsi e riflettere. Mai parole dette a caso: chitarrista fenomenale e ragazzo sensibile, nonostante fosse spesso accusato di dispotismo, Schuldiner stava costruendo passo dopo passo una creatura leggendaria all'interno del metalrama internazionale, con intelligenza sociale e grandiosa perizia stilistica. La crescita tecnica tocca picchi creativi di perfezione assoluta in 'Symbolic' del 1995, evidenziando una volta di più l'annichilente bellezza delle melodiche armonie che dalla sei corde di Chuck sgorgavano sinistre, miscelandosi sontuosamente con la cupezza e l'intensità del sound base dei Death, potente e claustrofobico. La cosa migliore che l'heavy metal abbia prodotto nel corso degli anni '90 è la produzione underground, quella che si è tenuta lontano da MTV e dalle mode. Il death metal ha fatto passi da gigante nel corso di questo decennio, trainato da una band titanica come, appunto, i Death, che attraverso una serie di album leggendari hanno saputo porre tutte le coordinate del loro genere, arricchendolo di una componente tecnica progressive e di una componente melodica disarmante per intensità annichilente e bellezza armonica. La summa del loro sound si traduce nel 1998 in 'The Sound of Perseverance', testamento stilistico inarrivabile del mitico Chuck Schuldiner, un ragazzo straordinario, dotato di una sensibilità ed un'intelligenza notevoli, oltre che di un'abilità tecnica mostruosa. Gli anni del debut 'Scream Bloody Gore' sono lontanissimi: il death brutale degli esordi ha lasciato spazio al technical death raffinato ed elegante, denso di passaggi sonori mozzafiato e di trame intricate. Nelle liriche di Schuldiner, i testi perdono la rima a favore di figure retoriche complesse come i paragoni ['The Flesh And The Power It Holds': la passione brucia come un fuoco portato dal vento] o le metafore ['Crystal Mountain': sogni fatti d'acciaio]: le tematiche sono molto attuali, come in 'Crystal Mountain' che parla di alcuni vicini di casa di Chuck, fanatici religiosi convinti di vivere una vita perfetta senza vedere le difficoltà che tutti incontrano. Purtroppo la parabola dei Death era vicina alla conclusione: Schuldiner sciolse la band per dedicarsi ai Control Denied, suo progetto parallelo, ma di li a poco si ammalò di tumore al cervello. Gli headbanger di tutte le latitudini piangeranno, di lì a poco, la scomparsa di un genio sensibile.