La passione brucia come un fuoco portato dal vento. Un vento di passione e innovazione era spirato dalla Florida, scuotendo al tramonto quegli anni ottanta così vividi ed ispirati per le milizie di fedelissimi cuoio-borchiati: un ragazzino dal lungo crine era sorto da un inferno burrascoso, ed armato della sua fedele ascia a sei corde si era fatto condottiero di quel vento. Giostrava su sentieri criptici e controversi, portava il vessillo della Mietitrice ma utilizzava il proprio brando come monito di sfida alla Morte stessa: la provocava sul suo terreno, ne assorbiva le fattezze e, mostrandone l’inquietante degradazione, cercava di svelare alle masse l’importanza del suo inverso: la vita. Attraverso i sogni, esso collegava la vista al suono: chiudendo gli occhi, ed immaginando di essere senza ciò che riteniamo sia assicurato ogni volta che li riapriamo, potremmo accorgerci di quanto piccoli siamo al cospetto dell’universo, del cielo, del destino. La determinazione e l’ambizione che muovevano Chuck Schuldiner erano implacabili: sin da piccolo aveva dovuto superare ostacoli laceranti, come la perdita dell’adorato fratello maggiore e ad appena sedici anni aveva messo in piedi il primo nucleo dei Mantas, aveva brutalizzato ed estremizzato la musica assassina dei Venom, si era spinto prima in California e poi in Canada alla ricerca della sua strada ed aveva capito che la velocità fine a sé stessa non faceva al caso suo. Le sue composizioni iniziavano ad essere decisamente pesanti, accostando tempi pachidermici alle consuete sfuriate ritmiche e ai riff più veementi di tutta la Florida. Tanti giovani musicisti erano entrati ed usciti dal suo progetto, a cui aveva attribuito il profetico moniker Death, ma sin dalla prima ora il ragazzo fece trasparire un’oculatezza maniacale nel reperire le persone che avrebbero dovuto seguirlo nel suo percorso. A San Francisco aveva incontrato Chris Reifert, giovane batterista che lo affianca nella registrazione del primo disco vero e proprio, facente seguito ad una sequela impressionante di demo tapes: doveva chiamarsi Zombie Ritual, fu ribattezzato Scream Bloody Gore ed uscì nel maggio 1987, sancendo dei nuovi parametri all’interno della musica estrema. Il disco, che sbatteva in copertina scheletri troneggianti e sfumature cromatiche molto oscure, era un assalto furibondo di riff brutali e d’impatto letale, poggiava su ritmiche serrate di stampo thrashy ma prevedeva anche passaggi più pesanti, il tutto registrato in maniera grezza e diretta; Schuldiner lasciava filtrare una capacità sorprendente nella composizione di riff violenti ed ugualmente validi, permeati di un’atmosfera opprimente, cupa e sulfurea, sublimata da testi splatter e gore ispirati dai più stomachevoli horror-movie dell’epoca. Lo stesso chitarrista si poneva al microfono con una timbrica gutturale e primitiva, stabilendo al tempo stesso tutti i canoni di quello che sarebbe stato presto battezzato proprio death metal: dal punto di vista musicale, come anche da quello vocale, il giovane musicista stava plasmando un nuovo modo di intendere l’heavy metal. Nulla era stato tanto crudo, marcio e shockante prima di Scream Bloody Gore, al cospetto del quale il satanismo dei Venom appariva roba da ragazzini. Ancor più sorprendente era il fatto che il platter fosse stato registrato, in pratica, da un duo: Schuldiner, che aveva scritto tutte le canzoni, si occupava della voce, della chitarra e del basso, mentre Reifert suonava la batteria. Quando entrò in formazione un secondo chitarrista, John Hand, il record era giù ultimato: Hand se ne andrà senza lasciare traccia, prima ancora di poter incidere anche una singola nota con la band. L’album era un manifesto di veemenza e mostruosità sonora: conteneva una serie mirabile di sfuriate devastanti mai banali, pezzi come Infernal Death o la tremenda titletrack, un complesso ricchissimo di riff stordenti e testi talmente rabbiosi e truculenti da lasciar supporre le peggiori leggende metropolitane sul conto del giovane Chuck. Tra i titoli spicca Zombie Ritual, già ascoltata su qualche nastro dimostrativo, col suo riff sepolcrale e le sue liriche raccapriccianti, incentrate su un’invasione di zombie spietati e morbosamente assetati di carne umana. Ma la violenza sonora tracimava nelle spaventose Evil Dead [dalla quale Chuck prenderà il soprannome di Evil Chuck], Mutilation e Torn to Pieces, nelle quali si descrivevano massacri e mutilazioni alla velocità della luce; decisamente normale per un adolescente che voleva metter in musica tutti i sentimenti peggiori dell’animo umano, e che pertanto non poteva che essere attratto dalle tematiche splatter di cui si è detto. Intelligentemente schivato fu, invece, il satanismo [vagamente presente in Baptized in Blood, che però parla di bambini sacrificati senza certo schierarsi a favore di tale scempio], tanto abusato dalle giovani band con l’obiettivo di scandalizzare le masse. Ricorderà in seguito Schuldiner: 'La reazione dei fans a Scream Bloody Gore è stata semplicemente fantastica, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. Suonavo la chitarra da soli due anni, quindi la struttura delle canzoni era molto semplice. L'album suona molto grezzo ma io ne sono ancora orgoglioso. Ero totalmente soddisfatto del modo in cui il disco è uscito. Randy Burns ci ha dato una produzione molto pesante, ed era molto facile lavorare con lui in studio. L'unica cosa che rimpiango riguarda la chitarra ritmica, credo che avrebbe potuto essere un po’ più forte nel mix'. Chiunque altro si sarebbe sentito arrivato e si sarebbe montato la testa, ma non Chuck Schuldiner, che iniziava ad avvertire l’imminente declino della scena californiana e decise di tornarsene in Florida, abbandonando di colpo il piccolo regno underground che si era adagiato ai suoi piedi. C’erano degli spettacoli organizzati insieme ai Sadus e ai Desecration, ma il chitarrista se ne tornò indietro da dove era arrivato, avvolto dal medesimo alone di mistero. All’amico Reifert, definito un vero e proprio brother of metal, fu chiesto di accompagnarlo, ma il drummer non se la sentì e le strade di quell’amicizia profonda e sincera si interruppero proprio nel momento in cui Scream Bloody Gore iniziava a destare scalpore, scomodando nuovi epiteti e scuotendo le nomenclature tradizionali. Diventerà immediatamente una delle pubblicazioni più influenti e seminali di tutta la storia del metal. Ripartendo da zero, Chuck Schuldiner [che stava componendo delle nuove canzoni] non esitò a riallacciare I rapporti con l’ex ascia dei Mantas, quel Rick Rozz finito nel frattempo in forza ai Massacre: la partecipazione al Milwaukee Festival di quell’anno resterà uno dei primi grandi eventi live a cui abbiano partecipato i Death, oltre a sancire il primo incontro col futuro manager Eric Greif, col quale sorgerà un’alleanza molto forte. L’obiettivo era quello di concentrarsi sul songwriting, privilegiandolo all’attività live, con lo scopo di emergere anche al di fuori dei propri confini: la line-up accolse il bassista Terry Butler e il batterista Bill Andrews, anch’essi ex dei Massacre, e Schuldiner dichiarò che il nuovo album sarebbe stato ancora brutale come l’inferno, ma anche più melodico, in quanto non era affatto sua intenzione ripetersi. Avrebbe potuto scrivere un altro Scream Bloody Gore senza alcun problema, ma vivere di rendita non faceva per lui: per questo cercava persone che combattessero in trincea al suo fianco e non concepissero la musica soltanto come un divertimento o, peggio ancora, come una mera attività commerciale. Nel 1988 uscì dunque Leprosy, ancora una volta ammorbato da sonorità terremotanti, tematiche disturbanti e velocità lancinanti, ma al tempo stesso più pulito nel suono e curato nella produzione. Nel coloratissimo artwork di copertina vi erano raffigurati un lebbroso segnato dalla malattia e l’ormai inconfondibile logo, con tanto di falce, croce rovesciata, ragnatela, fiamma e teschio. Un passo avanti incredibile, che aumentò notevolmente la professionalità della band: Schuldiner affermava di essersi calato in maniera più tecnica nel riffato, con accordi più complessi, ma sostenne anche che il sound della band era rimasto riconoscibile. Dal punto di vista lirico ci fu un’altra sensibile evoluzione, che vide l’obiettivo spostarsi dallo splatter ad elementi più reali [ma ancora disgustosi e deprecabili agli occhi della società] e tratti da articoli di giornale: lebbra, assassini che rimuovono il proprio passato, guerra, cannibalismo, morte [Open Casket sembra parlare della morbosa attenzione che i viventi pongono ai deceduti, e al tempo stesso è un ricordo della visione di Frank, il fratello di Chuck, disteso nella sua bara aperta] e persino eutanasia: Pull the Plug, infatti, si candida a brano-simbolo del disco, sia per lo scottante tema trattato che per il trascinante incrocio di velocità da delirio, rallentamenti spaventosi ed accelerazioni velenose. Il mid growling utilizzato in Leprosy puntava ancora forte su refrain vagamente catchy ed urla disperate, sparate follemente su ritmiche martellanti ed immediate, infuocate da assoli fibrillanti e caotici. Il disco ebbe un enorme successo nella scena underground del metal estremo, ma il tour di supporto fu organizzato in maniera troppo approssimativa e rozza, finendo per essere interrotto a causa degli scarsi risultati; tuttavia la Combat organizzò una serata live con tutte le band del proprio rooster [Raven, Forbidden, Death, Faith or Fear e i Dark Angel dell’enorme drummer Gene Hoglan], immortalata nella VHS Combat’s Ultimate Revenge II: per quanto soddisfatto ed eccitato dalla reazione degli headbangers e dell’esperienza live fatta in quel periodo, Chuck non esiterà a criticare quel prodotto, esortando i fans ad appiccarvi un falò ed andare a vomitare. Tuttavia, affiorarono presto nuovi problemi tra Schuldiner e Rozz, che fu cacciato dalla band, come ricordato dallo stesso Chuck: 'Questo record è stato un grande passo in avanti e la gente si è resa conto che abbiamo fatto molto più che produrre solo rumore. Anche la produzione è stata molto migliorata. Rick è stato praticamente cacciato dalla band a causa del fatto che ci stavamo tutti evolvendo come gruppo e migliorando come musicisti, mentre lui, semplicemente, non lo stava facendo. Mi impediva di scrivere il tipo di materiale che volevo scrivere, dovevo preoccuparmi continuamente di non scrivere materiale troppo complesso, perché per lui era impossibile eseguirlo; noi tutti sapevamo che era ora di cambiare'.
Due mesi dopo il tour interrotto, la band era infatti tornata on the road, aveva aperto per gli Anvil [band molto amata da Schuldiner] ed era giunta in Europa, prima di tornare nuovamente in patria a causa di nuovi problemi con gli organizzatori: il fallimento del tour fu la goccia che fece traboccare il vaso, e Rozz fu allontanato, colpevole di essere poco scrupoloso e di interessarsi più al bar e alla propria acconciatura che alla musica dei Death. Un vento nuovo, però, soffiava sul destino della Morte con l’avvento degli anni novanta: la progressione tecnica, da sempre chiodo fisso del poliedrico Schuldiner, si fece tangibile nel nuovo disco, Spiritual Healing, un lavoro che rispetto ai due predecessori si presentava immediatamente più maturo, evoluto, tecnico. Il sound della band restava brutale e ricco di cambi di tempo ed alternanza tra sezioni rapide ed altre più cadenzate, ma si sviluppava ora in trame più elaborate, godendo di liriche decisamente più intelligenti rispetto al debut: la trascinante opener Living Monstrosity e l’imprevedibile Altering the Future trattavano i problemi della droga e dell’aborto, la succulenta titletrack si scagliava contro il fanatismo religioso, la trepidante Defensive Personalities analizzava l’incontrollabilià della mente umana. La mutuata direzione stilistica si avverte fin dall’artwork di copertina, per il quale viene scelto un disegno affatto truculento a favore di un’immagine più simbolica e cerebrale, che si ricollega alla titletrack e al bigotto mondo dei predicatori religiosi. Le linee vocali rimanevano gutturali ed estreme, anche se il gusto per i refrain catchy filtrava in maniera sensibile di traccia in traccia. La seconda chitarra fu affidata a James Murphy degli Agent Steel, dopo che per una breve parentesi furono in procinto di entrare nella line up prima Albert Gonzalez e poi Paul Masvidal [che però preferì non abbandonare i suoi Cynic]; la sezione ritmica retta da Butler e Andrews era molto solida e compatta, con un drumworking tonico e quadrato, più ricercato che in passato ed abbinato ad un riffering ancor più brillante. Naturalmente restavano in primo piano gli assoli fiammanti di Schuldiner, che guadagnarono però una melodia ancor più sinistra ed annichilente. Il tutto venne registrato da Scott Burns in maniera pulita e professionale: questo, unitamente ai testi maturi ed attualistici, portò la band ad un livello superiore di credito e stima presso la stampa e i fans, anche se non mancarono illustri colleghi [come i Morbid Angel] che criticarono l’evoluzione tecnica della compagine, definendola eccessivamente commerciale. Le risposte di Schuldiner furono lapidarie ed orgogliose: 'Ho voluto ripulire il suono pur mantenendolo davvero pesante. Scott sicuramente aveva lo stesso obiettivo in mente. Con tanti produttori che ci sono là fuori avremmo potuto perdere l’essenza di questo concetto, invece lavorare con Scott ci ha consentito di raggiungere ciò che è stato Spiritual Healing. Un sacco di gente ha iniziato a prenderci più seriamente, e questa è una cosa che mi ha reso davvero felice. Ho sempre preso molto sul serio la musica. Ognuno ha diritto ad avere una sua opinione. La produzione è migliore e raffinata, ma siamo sicuri che renda l’album davvero così morbido? I riff sono molto brutali, così le parti vocali. Certo, le liriche non sono truculente, e allora? Il contenuto dei testi è qualcosa a cui tengo. Ad alcune band non frega un cazzo dei testi, a me sì. Per quante volte si può cantare di demoni che sgozzano suore? Questo significa avere una mente limitata. Dicono che io non suono più death metal, ma io facevo death metal molto prima che il 99% dei gruppi ora in giro lo facessero'. Era un periodo in cui i vincoli che dettavano le diversificazione tra i generi erano molto rigidi, e scavalcarli era ritenuta una specie di blasfemia: ma Chuck era sempre stato una persona lungimirante e, rifiutando ancora una volta i cliché, gli stereotipi e le facili etichettature, aveva preso per mano la propria creatura e la stava portando ad un livello successivo di perfezione artistica. Il death metal rischiava già lo stagnamento, ma in pochi sembravano accorgersene, continuando a suonare alla velocità della luce ed in maniera assolutamente grezza e brutale, cosa che al nostro non stava più bene: Spiritual Healing godeva di una tracklist eccellente, era un passo avanti incredibile rispetto a Leprosy e si candidò immediatamente a nuova pietra miliare, essendo un disco fondamentale per la transizione al techno-death che sarebbe avvenuta in seguito. Probabilmente, resta la fotografia perfetta tra la violenza furibonda dei primi due dischi e l’eccellenza pratica dei successivi. Eppure, il chitarrista floridiano stava per andare incontro ad un periodo veramente burrascoso, nel quale saltò temporaneamente la testa del manager Greif e si aprirono laceranti conflitti con gli altri membri della band, Butler e Andrews, i quali accusavano Chuck di dispotismo ed eccessiva apprensione: era troppo alta la sua dedizione al moniker che aveva creato e non voleva permettersi passi falsi. La depressione colpì Chuck Schuldiner alla vigilia di un importante tour europeo, ma i compagni non ascoltarono le sue richieste e si imbarcarono verso il vecchio continente senza il deus ex machina stesso della band. Ferito a morte da tale tradimento, Chuck venne anche infamato a ripetizione da quelli che aveva considerato, fino a quel momento, i suoi migliori amici; una serie letale di pugnalate alle spalle, che farà maturare nel cuore del giovane musicista un bruciante senso di desolazione ed una diffidenza cronica nei confronti delle persone, fino al punto di trasformare i Death in una sorta di monopolio, nel quale lui sceglieva i musicisti di cui circondarsi senza che questi entrassero a far parte della line-up in maniera eccessivamente intima. Del resto, il tour al fianco dei leggendari teutonic thrashers Kreator era qualcosa di difficile a cui rinunciare, e non deve esser stato facile per Chuck venire a conoscenza delle speculazioni che gli ex colleghi davano in pasto alla stampa, mentre si esibivano con il 'nuovo' cantante Louie Carrisalez. Da quel momento in poi, la fama di Evil Chuck sarà quella di tiranno: fino alla fine dei propri giorni, il chitarrista si troverà di fronte giornalisti pronti a chiedere delucidazioni sul suo presunto egocentrismo, nonostante si accorgessero essi stessi di aver incontrato un ragazzo tranquillo, disponibile ed umile. Fa effetto, in ogni caso, immaginarsi i Death su un palco senza il proprio leader: non deve essere stato un grande spettacolo per i presenti, visto che soltanto il virtuosismo di Schuldiner poteva permettere il raggiungimento del climax tecnico dell’act americano. Medicandosi queste ferite lancinanti, il chitarrista non esiterà a definire una specie di cover band quella sorta di deformazione mutante della propria band, e ribadirà in un’infinità di interviste le linee guida del suo pensiero: 'Mi fu riferito da terze persone che gli altri avevano deciso di partire ed esibirsi lo stesso, senza di me. Ne fui colpito, ma pensai: 'chi se ne frega, sto troppo male, devo pensare a me stesso ora, poi mi preoccuperò di raccogliere i pezzi'. Dopo due settimane dall’inizio del 'loro' tour ricevetti una telefonata da Bill e Terry, a cui rispose mia madre, con cui mi comunicarono che non volevano avere più nulla a che fare con i Death. Credevo fossero degli amici, ma mi sbagliavo. I musicisti possono essere sostituiti, ma gli amici no. Hanno fatto di tutto per infangare il mio nome, hanno detto ai fans che me ne fregavo di loro, che volevo sciogliere i Death e formare un gruppo rock. Al ritorno dall’Europa, Bill mi ha richiamato, dicendomi che in fondo eravamo amici da tanti anni.. eravamo, gli risposi. Butler dovrebbe stare attento a come parla. Non era nemmeno in grado di suonare il basso su Leprosy, che alla fine ho dovuto fare quasi tutto io. E’ la pura verità. Mentire? Potrei, ma mi abbasserei al suo livello e non ne ho alcuna intenzione. Chi è stato cacciato fuori dal gruppo non ha avuto niente di meglio da fare che mentire, ma sono affari suoi. Io non ho tempo da perdere, continuo il mio lavoro e vado per la mia strada. Non nego che alcuni commenti ed atteggiamenti, che miravano solo ad infangare il mio nome, mi hanno ferito. Tuttavia, anche nei momenti più bui, che mi auguro di non rivivere mai più, ho ricevuto tanta solidarietà dai fans, che mi pregavano di continuare a suonare. Questo mi ha dato la forza di andare avanti'.
Raccolti i cocci e messo alle spalle il passato burrascoso, Chuck Schuldiner riorganizzò i Death richiamando il chitarrista Paul Masvidal [in luogo di un James Murphy mai integratosi nella line-up], il vecchio brother of metal Steve Di Giorgio [bassista conosciuto ai tempi della permanenza a San Francisco] e il talentuoso batterista Sean Reinert, il quale permise l’introduzione di suoni jazz/fusion nello stile sempre più articolato della band; erano pronti una manciata di pezzi nuovi, e Schuldiner stavolta aveva fatto le cose veramente in grande, essendosi peraltro sbarazzato di quei traditori dal limitato bagalio tecnico. Il tasso qualitativo della nuova formazione era straripante, ed infatti l’album che ne sarebbe uscito, Human [1991], è da molti considerato come uno dei vertici massimi della stupenda discografia dei Death. E’ il disco dell’avvenuta rivoluzione, quello in cui le trame si fanno labirintiche e gli arabeschi melodici prendono piede in maniera più ampia e dettagliata, rendendo ridondante il tecnicismo elevato che era stato accennato su Spiritual Healing. Eppure, la violenza e la possenza distruttiva restavano munizioni letali e dominanti, all’interno dell’esteso repertorio di quella corazzata da guerra che erano ormai diventati i Death. L’influenza di band ultra tecniche come i Watchtower si faceva palese nel sound asciutto ed ineccepibile, ancora una volta devastante e capace di spaziare tra le velocità ritmiche più disparate: si passa dall’imponente Flattening of Emotions all’irruenta Suicide Machine, dalla gemma di Lack of Comprehension alla sublime strumentale Cosmic Sea, dotata di melodia onirica ed avvolgente. La tecnica diventa il fulcro del death impattante della leggendaria formazione americana, che nel frattempo vedeva il logo leggermente modificato [perdeva infatti la ragnatela ed alcune gocce di sangue, considerate troppo infantili] nell’artwork di copertina, che raffigurava l’anatomia di due esseri umani: il tema lirico del platter, infatti, era proprio un viaggio all’interno dell’essere umano, una creatura che Schuldiner iniziava ad avvertire come inquietante e decadente per le infime bassezze morali delle quali essa è vittima. E’ così possibile ondeggiare tra argomenti delicati come quello dell’eutanasia [ripreso in Suicide Machine] ed altri più astratti, come la castrazione emotiva alla quale ognuno di noi sembra sottoporsi nella propria vita, un po’ per difesa ed un po’ per reazione ad una realtà nella quale i sentimenti sembrano essere debolezze. Schuldiner parla di sogni e compara l’essere umano a pianeti vacui, si batte contro la censura e le infondate accuse al mondo dell’heavy metal [Lack of Comprehension, primo videoclip della band, non è altro che un atto di fedeltà ai Judas Priest, trascinati in tribunale dai parrucconi della società-bene che tendevano a giustificare suicidi e tragedie giovanili utilizzando la musica come capro espiatorio] e si incammina nel pericoloso sentiero delle malformazioni fisiche, additate come fenomeno da baraccone, da deridere e tenere alla larga [Together As One parla infatti di due gemelli siamesi]. L’opera rasenta pertanto la perfezione, sia dal punto di vista lirico che musicale, essendo sontuosa la simbiosi tra la potenza impattante, roboante, e l’acume argomentativo delle otto tracce presenti in scaletta. Le composizioni erano molto variegate e strutturate, ma a dominare erano la velocità e la potenza, ben amalgamate all’alternanza sorprendente di riff esplosivi, partiture eccellenti ed assoli fiammanti, ora più lancinanti ed ora più armoniosi; il mid growling gode di una cura ancora una volta particolare ed è imperniato sui consueti refrain catchy tipici del songwriting di Schuldiner, ma una lode particolare la merita il drumworking di Reinert, che permette l’esplorazione di nuove vie derivate dal blues e dal jazz. Rabbia, emozioni ed adrenalina cucite a regola d’arte: Human spacca ogni schema ed è un moto d’orgoglio incontenibile per Chuck: 'Human è più di un disco per me, è una vendetta. E’ quello che farà apparire le persone che mi hanno attaccato per quello che sono: dei bugiardi! Sono in una fase di sperimentazione: il sound è più carico di atmosfera, in un momento in cui tutti i gruppi fanno a gara in velocità e vanno dietro a deliri satanisti. Human è più introspettivo, ha un suono molto aggressivo ma è più melodico e progressive di Spiritual Healing. Abbiamo lavorato alla grande, dopo gli inconvenienti con la precedente line-up: Conosco Sean e Paul da alcuni anni, suonano nei Cynic tuttora. Si sono presi del tempo per darmi una mano a registrare Human, insieme a Steve DiGiorgio dei Sadus. E’ andata veramente bene, siamo tutti amici , e abbiamo attraversato un periodo molto gioioso, le prove e la registrazione con Scott Burns. E 'stata una situazione davvero fantastica, e per il tour abbiamo ingaggiato un nuovo bassista, Skott Carino dei Fester, perché Steve è impegnato a tempo pieno con i Sadus. Sono davvero grato alle persone che mi hanno aiutato a ottenere questo risultato'. Tra novembre e dicembre la band affrontò il tour negli States, e volò successivamente in Germania, Svizzera e Belgio, imbastendo una scaletta imperniata sui pezzi degli ultimi due full length: pian piano, le virulente scariche gore degli esordi venivano limitate a pochi passaggi 'intoccabili' [Zombie Ritual e Pull the Plug su tutte] al fianco delle nuove mazzate come Lack of Comprehension, Suicide Machine ed Altering the Future; tuttavia non mancarono contrattempi ed inconvenienti assai fastidiosi, dovuti per lo più all’inefficienza del management: per esempio, a causa di mancati pagamenti relativi all’utilizzo del tourbus, la strumentazione della band fu sequestrata. I Death dovettero tornare anzitempo nel continente natio, scatenando la furia di Schuldiner, che giustamente dichiarava di essere solo un musicista e non un manager; la situazione finanziaria e tutto l’ambito burocratico gli erano quasi estranei, ma da quel momento decise di sobbarcarsi sulle spalle anche quelle faccende. Però l’ambizione era ancora intatta, e nel disco successivo Schuldiner avrebbe superato anche il cielo. I molteplici impegni nei quali erano coinvolti i musicisti che avevano contribuito alla registrazione di Human costrinsero Chuck a rivoluzionare ancora la line-up, che divenne una vera parata di stelle con l’ingresso del poderoso drummer Gene Hoglan [ex Dark Angel] e il valido chitarrista Andy LaRoque [delle icone danesi Mercyful Fate] al fianco del bassista Steve DiGiorgio. Pubblicato nel 1993, Individual Thought Patterns è il superamento della perfezione: riprende le velocità, la compattezza, la potenza e l’intricatezza di Human portandole ad un livello ulteriore di architettura sonora. Gli elementi progressivi, i repentini cambi di tempo, le influenze artistiche e i labirinti di sezioni articolate vennero centuplicati, cuciti assieme dal solito torrente di riff brutali ed esplosivi, dai testi sempre più scottanti e toccanti e dal growling ancora una volta feroce, ma catchy, di Schuldiner, il quale arrivò a dichiarare che la definizione di death metal non può più andare di pari passo con i Death. Il musicista ribadiva nelle interviste la sua volontà di non porsi alcun limite e proseguire la propria evoluzione, sottolineando l’ottimo feeling creatosi tra i musicisti e ponendo l’accento sullo shredding di La Roque, che coronava il suo sogno di poter sfoggiare una coppia di chitarristi gemelli, come nella tradizione classica da lui tanto amata. Sferrando una serie impressionante di assoli magniloquenti e prolungati oltre ogni concezione di melodia e distorsione, i Death sfrecciano tra nuovi brani indimenticabili come la pesante In Human Form, l’impattante Jealousy e la completa Overactive Imaginations, manifesto ideale dell’intero caleidoscopio sonoro della band: velocità, trame, atmosfera, assoli da capogiro, melodia, violenza sismica, intelligenza tecnica e lirica, riff mozzafiato, il drumworking terremotante di Hoglan ed il basso evidente di DiGiorgio, sempre più pulsante e in primo piano. Era un viaggio annichilente tra le ambientazioni decadenti e inquietanti di Nothing Is Everything e Mentally Blind [dotate di testi talmente realistici da apparire commoventi], l’assolo straripante di Trapped in a Corner e l’inflessibile autorevolezza di The Philosopher, che diventa anche il secondo videoclip della band: ancora una volta, una vera e propria crociata contro lo stagnare dei soliti stereotipi che volevano il death soltanto ignorante. In verità, i Death continuavano a rappresentare l’incarnazione stessa del genere e al tempo stesso lo modellavano a loro immagine e somiglianza, fin troppo intelligenti per essere veri; gelosia, falsità, supponenza, superficialità, e soprattutto l’incapacità di ragionare con la propria testa [trattata nella titletrack] sono solo alcuni dei temi che vengono affrontati nei testi da brivido tracciati dalla penna di Schuldiner, un vero e proprio cantore dei valori nobili, sempre in prima linea per denunciare le mostruosità insite negli esponenti più disgustosi della razza umana.
Azzeccato si rivelò l’artwork di copertina, che vedeva il nostro pianeta quasi in rotta di collisione con un teschio gigantesco, che rappresentava al tempo stesso il declino a cui siamo destinati e la consistenza miserabile delle nostre esistenze. 'Individual Thought Patterns aggiunge varietà alla musica dei Death, basti pensare al fatto di aver lavorato con uno shredder come Andy, che ha fatto veramente un duro lavoro per quest'album. Spero che il disco trascini l'heavy metal ad una forma d'arte di livello superiore: con questo disco si dimostra che si può ottenere un suono pesante e melodico allo stesso tempo, anche senza abbassare del tutto l'accordatura delle chitarre. Inoltre ho cercato il rischio anche come cantautore: non mi ero prefissato alcun limite, ho abbandonato le strade già battute e conosciute perché la progressione é ciò che permette alla musica di rimanere emozionante. So che posso sembrare superbo, ma non ho intenzione di rimanere ancorato alla stessa formula per sempre. Sarebbe come avere un ristorante e servire in eterno lo stesso menu. Voglio che i Death si evolvano e non si pongano limiti. Ci sono band che, per far contenti i fans, continuano a suonare la stessa musica che li ha portati al successo, senza accorgersi che, così facendo, annientano la loro creatività. La musica che creo deve piacere a me per primo, e la tensione continua verso la ricerca della perfezione musicale è la mia motivazione principale. Oggi le persone ritengono che il death metal per essere tale debba essere per forza suonato a velocità supersoniche e con tematiche sataniche; oggi penso che bisogna scrivere cose in cui la gente possa identificarsi e questo non succede leggendo di uno zombie che mangia un braccio a qualcuno o cose del genere. Quindi ora mi piace affrontare le situazioni della vita reale. Ho trovato più semplice scrivere di questo e penso che essi facciano riferimento ad un sacco di persone. In questo mondo accadono un sacco di cose di cui vale la pena scrivere, tutto quello che devi fare é aprire un giornale o accendere la televisione. Io considero i Death una band metal, e ognuno é libero di classificarla come preferisce. Suoniamo heavy metal, so che suoniamo molto pesante, e questo é ciò che conta. Sono davvero stanco di ogni tipo di classificazione, credo che sia limitante. Questa scena si é evoluta partendo dal metal tradizionale, é lì che sono le mie radici'. Nessuno poteva più osare discutere il genio sopraffino e avanguardistico di Chuck Schuldiner. La musica dei Death continuava a riflettere in maniera decisa e aggressiva la visione del mondo e dei suoi 'simili' che Evil Chuck possedeva: i testi erano per lui una sorta di terapia, necessaria per sfogare tutte le rabbie represse a fronte di ingiustizie e tradimenti. Il mondo del music business veniva sistematicamente attaccato e colpito a fondo, così come puntualmente emergeva l’insofferenza del giovane chitarrista nei confronti della falsità umana, che l’aveva infastidito praticamente da sempre.
Rino Gissi, Metallized.it