CAPITOLO PRIMO: DAL 1969 AL 1990
Judas Priest. L'Heavy Metal passa inevitabilmente dai Judas Priest! Se i Black Sabbath hanno dato il la al verbo del metallo, i Judas lo hanno definito e plasmato come meglio non potevano, diventando a tutti gli effetti i padri del genere. Il loro sound potente, imperniato sui riff al vetriolo e sugli assoli al fulmicotone dei melodici axemen Downing & Tipton è diventato la definizione più semplice di heavy metal, un Verbo forgiato con una serie lunghissima di album leggendari, potenti, tellurici e impregnati di una melodia esaltante come pochi altri sapranno fare. Alfieri della rivoluzione e orgogliosi capiscuola della nwobhm, i Judas Priest sono diventati nel corso dei decenni una vera icona di tutto il movimento heavy metal, di cui sono ritenuti i padri legittimi. La band fu fondata dal chitarrista KK Downing e dal bassista Ian Hill nel 1969, a cui si unirono il batterista John Ellis e il cantante Al Atkins. Fu lo stesso cantante a scegliere il nome Judas Priest dal titolo della canzone di Bob Dylan chiamata 'The Ballad of Frankie Lee and Judas Priest'. I Judas cominciarono quindi a suonare in vari locali inglesi, cambiando spesso batterista; nel 1973 si unì al gruppo Rob Halford, cantante degli Hiroshima e fratello di Susan Halford, fidanzata e in seguito moglie di Ian Hill. La band con questa formazione [alla batteria sedeva ora stabilmente John Hinch] faceva molte date da spalla a gruppi Hard rock dell'epoca, come Ufo e Thin Lizzy. Fu Proprio Halford a inventare il look del metallaro: all'inizio i Judas vestivano alla hippy, con camicette floreali e tessuti sgargianti, ma poi il grande singer iniziò a presentarsi sul palco vestito di pelle nera, borchie, catene, chiodi, ferraglie varie. Ben presto tutti i componenti della band spontaneamente lo imitarono, presto arrivò la passione per le motociclette e in poco tempo ogni singolo metallaro di questo mondo vestiva alla Judas Priest. Grazie alle ottime performance live, i quattro firmarono un contratto con la Gull Records e nel 1974, dopo aver arruolato Glenn Tipton come secondo chitarrista, i Judas Priest pubblicarono il loro primo album, 'Rocka Rolla', di stampo hard e progressive rock. Molto lontano, insomma, da quello che sarà il Priest style che tutti conosciamo. Del primo full length marchiato Priest si ricorda essenzialmente la title track, mentre gli altri pezzi appaiono abbastanza datati e poco dinamici; tuttavia la band stava levigando il proprio sound per definire una propria personalità. Già nel 1976 con 'Sad Wings Of Destiny' il gruppo inglese pone le basi dell'heavy metal, adottando sonorità più veloci e discostandosi dal progressive rock. Victim Of Changes, The Ripper e Tyrant sono le perle del disco, ancora tra le più amate dai fans. I Judas Priest iniziano un percorso devastante e inarrestabile di metallizzazione del loro sound, inserendo riffs rocciosi e una potenza maggiore sul tracciato già rock intrapreso fin dagli esordi. Ormai il dado era lanciato, e armati di una nuova energia stilistica i ragazzi di Birmingham si posero come ideale collante tra quanto i concittadini Black Sabbath avevano iniziato a fare già nel 1970 e quanto di buono verrà seminato in seguito dalla celebre NWOBHM, il movimento che sancirà i definitivi crismi di maturità dell'heavy metal britannico.

Il colosso d'acciaio era ormai pronto per scuotere le emozioni degli headbangers con l'heavy metal che li lancerà nella leggenda. 'Sin After Sin' [1977] segnò un punto di svolta, grazie ad un ulteriore potenziamento del sound. Il combo inglese, con una lunga serie di concerti in tour, portò un'incredibile novità nel panorama rock europeo, dovuta alla sua musica davvero potente. La band, sull'onda di questa crescita stilistica ed evolutiva, pubblicò nel 1978 'Stained Class', disco di grande successo che fece dei Judas Priest veri alfieri dell' heavy metal; Il disco presenta una marcia in più per quanto riguarda la potenza, con un uso insistito di doppia cassa: l'intro di Exciter ne è un esempio lampante ed il pezzo rappresenta uno dei primi esempi di speed metal. Caratteristica base del sound priestiano era l'abilità tecnica eccezionale dei chitarristi KK Downing e Glenn Tipton: riff al fulmicotone e assoli cristallini. I Judas Priest ormai avevano definitivamente adottato un'immagine fuori dagli schemi: un grande dispiego di cuoio, borchie, anfibi e moto. Pieni di ambigui sottintesi -tanto nei testi quanto nell'immagine- politici, sessuali e religiosi, più che mai oltraggiosi e pervertiti agli occhi della società conservatrice, i Judas Priest contribuirono a coniare infine anche l'iconografia visiva del metal, dal modo di vestire al culto per le moto. Dalla loro opera di metallizzazione, inoltre, deriva l'attitudine fedele con la quale i seguaci del genere si apprestano allo stesso: con i Black Sabbath non si era ancora toccato il carattere 'religioso' che il metal acquista invece con i Priest, divenendo una fede in cui credere ciecamente, uno stile di vita al quale dedicare inni e speranze. Nel corso della loro carriera, i Preti di Giuda inneggeranno all'heavy metal e ne incarneranno l'essenza stessa facendosi baluardi di personaggi immaginari e mitlogici, rivestiti d'acciaio e descritti come efferati messia capaci di solcare i cieli di un mondo infestato di falsità, corruzione ed ipocrisia: l'immaginario metallico basa i suoi principi su metafore e forme di ribellione contro una società claustrfobica, le nuove generazioni vi si aggrappano con riverenza e passione e il modo di concepire questo filone musicale cambia totalmente, con i suoi sostenitori capaci di organizzarsi in vere e proprie sette, bardati della divisa d'ordinanza [chiodo, catene, borchie, toppe] e fieramente attaccati alla propria musica e alla sconfinata cultura musicale che da essa deriva. Tra vari cambi di batterista, negli anni 80 si stabilizzò dietro le pelli Dave Holland. Nel 1979 uscì 'Killing Machine', sulla stessa linea di potenza, forte di un pezzo immortale come 'Hell Bent For Leather'. Il disco diventa presto una leggenda, da molti ritenuto il primo vero e proprio manifesto di heavy metal moderno: la coppia d'asce Downing-Tipton traccia melodie eccitanti, velocissime e rocciose, sulle quali si stagliano gli acuti del fenomenale Halford, capaci di riscrivere le regole della musica pesante con vigorose colate di acciaio fuso. LE ORIGINI DELL'HEAVY METAL

L'anno dopo toccò a British Steel, un nome che è tutto un programma: uno dei migliori lavori della band, e contiene canzoni-simbolo come Breaking the Law, Rapid Fire, Living After Midnight e Metal Gods. Il disco si colloca come quello della svolta: se 'Killing Machine' aveva segnato ufficialmente la nascita dell'heavy metal moderno, 'British Steel' è il manifesto ormai chiaro e definito dello stile intrapreso dalla band. L'acciaio cola dalle asce roventi dei due guitar heroes, gli acuti di Halford e le sue scorribande vocali, l'aggressività e la potenza sempre più in primo piano: non si tratta più di un sound in costruzione, da evolvere, ma di una realtà tremendamente definita e arrembante. Robert Halford, con la sua voce potente e il suo carisma innato divenne immediatamente il 'MetalGod' per eccellenza, fiera bandiera eletta a rappresentanza di tutto il Popolo dell'Acciaio. L'heavy metal dei Judas Priest si diffonde come qualcosa di unico, grazie alle tonnellate di riff che sgorgano dalle potenti chitarre elettriche di 'British Steel'; acciaio inglese allo stato purissimo, bollente e infarcito di fitte bordate e melodia avvolgente: una dichiarazione d'orgoglio con cui mettersi in testa a tutto il nascente e fervente filone della New Wave Of British Heavy Metal, e per dichiarare in maniera orgogliosa ed ufficiale la definitiva supremazia dell'heavy metal non solo sul punk, ma su tutte le correnti alternative e passeggere che da sempre tentano di contrapporsi ad esso. British Steel segnò anche l'inizio della decennale collaborazione col produttore Tom Allom; presto partì il tour di supporto al full length, in cui i Priest furono supportati dagli ancora non famosi Iron Maiden, promettentissimi ragazzi di Londra. Con le sue fruste, i ray-ban luccicanti, i bracciali borchiati e il completo di pelle nera, Rob Halford catalizzava su se stesso l’intera immagine dei Priest, e con umiltà ed orgoglio fa notare che ‘British Steel è stato uno dei dischi più semplici che abbiamo fatto. eravamo in un momento in cui tutti pensavamo la stessa cosa e, per la prima volta, Glenn, Ken e io abbiamo scritto assieme, guardandoci negli occhi e non in sedi separate. Allom ha preso la mia voce e l’ha portata oltre le colline e ancora più su! Il tappeto sonoro che avevamo creato insieme si è rivelato perfetto per la mia voce, ho potuto così usare gli acuti più alti del mio registro, che fino a quel momento erano stati nascosti da qualche parte’. KK Downing ne è orgoglioso ancora oggi: ‘E’ uno dei nostri dischi più venduti ed amati, ‘abbiamo suonato quasi per intero durante tutto il tour di supporto e, negli anni, quattro canzoni sono rimaste stabilmente in scaletta, anche quando Bob era fuori dalla band. Brani come ‘Metal Gods’ e ‘United’ hanno varcato i confini della band, per diventare veri e propri inni generazionali, non solo per gli amanti del metal’.

Nel 1981 i Judas fecero una breve escursione in un disco di sperimentazioni più commerciali, il non eccelso 'Point Of Entry' [comunque un buon album], ma la formazione tornò più in forma che mai nel 1982 con Screaming For Vengeance, un altro capolavoro ricco di bordate metalliche da delirio. Pezzi come Electric Eye, Bloodstone, la title track Screaming For Vengeance e You've Got Another Thing Coming sono i punti di forza di questo prodotto, che raggiunge gli altri superalbum della band sull'Olimpo dell'heavy metal. L'album vive in pieno del classico stile dei Priest: massiccio e potente, corredato da assoli al fulmicotone, con i celebri 'duelli' interattivi tra Tipton e Downing; le parti melodiche che ne scaturiscono sono assolutamente straordinarie: la proposta musicale dei Priest si basava su stacchi, ponti e punte dinamiche assolutamente innovative; di tutto questo ne sono prova le stupende canzoni qui contenute, che trasudano fede ed acciaio dal primo all'ultimo minuto. La stessa sezione ritmica, affidata come sempre a Ian Hill, accresce il suo peso e la sua robustezza. Oltre alle tostissime linee di chitarra, impegnate in riff taglienti e assoli dalla melodia folgorante, anche qui Halford è incontenibile nelle sue performances vocali e firma una della pagine più belle dell'esperienza nei Priest, toccando sempre toni alti in perfetta coerenza con l'infernale guitar-work delle asce duellanti Tipton e Downing: i due 'gemelli' affinano ancora di più il loro stile e le loro fenomenali capacità preludendo a un brillante futuro di grandi successi. Toni apocalittici e ridondanti scorrono fluidi e magniloquenti per tutta la durata del disco, trainato dalle prestazioni folgoranti dei singoli musicisti: Il Dio Corazzato di borchie e pelle usa le corde vocali come artiglieria pesante e colpisce senza pietà, cantando in screaming durante tutta la durata della maestosa titletrack, pezzo veloce e tonante; si associano a lui i due axe-man, armati di chitarre-squartatrici, formando un trio spaziale. La sezione ritmica è semplicemente devastante e letalmente precisa; la sola 'Screaming For Vengeance' merita l'acquisto dell'album. Un disco incredibile, vulcanico e assolutamente immancabile a chi vive per l'Heavy Metal oltre che obbligatorio per tutti coloro che vanno pazzi per l'acciaio britannico dei Judas Priest. L’artwork di copertina ritrae una sgargiante aquila predatrice, mentre la band crea nel platter la figura vendicatrice dell’Hellion, una sorta di eroe mitologico difensore della Sacra Fede Heavy Metal; impresse sul retro copertina, spiccavano le vibranti parole: ‘Da una terra sconosciuta e attraverso i cieli lontani è venuto un guerriero alato. Nulla è rimasto sacro, nessuno sarà al sicuro dal’Hellion quando verrà proferito il suo grido di battaglia’. Nel tour di supporto al disco, i Preti di Birmingham furono supportati dalle eminenze rock Uriah Heep, dai Krokus e dall’astro nascente della NWOBHM, gli Iron Maiden. Gli anni ottanta sorgevano sotto un profilo di grande fervore in ambito heavy metal: il genere andava incontro alla sua decade più gloriosa e produttiva, con decine di album epocali partorito da un numero sempre più crescente di band leggendarie. In Europa i Judas Priest guidavano la Milizia dall'alto del loro blasone, della loro classe e della loro esperienza, ponendosi in testa ad un plotoncino arricchito dalle galoppate ultra melodiche degli Iron Maiden [che con l'arrivo di Bruce Dickinson nel 1982 fanno il definitivo salto di qualità internazionale], dalla rabbia blasfema dei blackster Venom, dal fascino alcoolico dei Motorhead di Lemmy e dall'energia nuova di tutte le band della NWOBHM che stavano portando nuova linfa; oltreoceano, oltre all'Acciaio difeso con orgoglio epico dai Manowar, nasceva il filone prolifico del thrash metal, guidato dai Big Four Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax, che attecchì soprattutto nell'eccitante Bay Area di San Francisco.

Negli anni precedenti, la band inglese era giunta fino in America, conquistando addirittura il Nuovo Continente, che all’epoca era affollato di band colorate di marcata influenza hard rock, le frange del cosidetto glam metal; ‘Eravamo la prima band inglese a conquistare l’America’, puntualizza fieramente Rob Halford, ‘in tanti lo dimenticano, non noi. Ratt, Motley Crue, Dokken, Quiet Riot e le varie band con cui suonammo negli Usa erano ottime ma, se parli di heavy metal, quella è un’altra cosa. Noi siamo l’heavy metal’! Facendo vibrare i polsi e graffiando la schiena con un brivido di emozione, i bikers britannici non esitano a ribadire con orgoglio la propria appartenenza al genere, o meglio la loro seminale opera di creazione. ‘Essere protagonisti di quel periodo è stato gratificante’ ricorda il chitarrista Glenn Tipton. ‘Forse il momento più bello della nostra carriera, perché stavamo conoscendo per la prima volta il vero successo, quindi una cosa che acade una sola volta nella vita. E poi c’era tanta buona musica intorno, non si trattava solo di un traguardo personale ma dell’affermazione di un vero e proprio momento culturale legato alla musica. Eravamo lì, proprio nel momento in cui l’heavy metal diventava qualcosa di grande in tutto il mondo. Qualsiasi cosa potranno pensare di noi, i Judas Priest erano comunque in prima linea e hanno dato il loro contributo’. Dopo un anno di riposo, i Judas Priest ritornarono con Defenders of the Faith, un nuovo successo assoluto e un altro inno di appartenenza sfrontato alla legione del metal. Difensori della fede, dice il titolo: e non serve aggiungere altro alla potenza delle chitarre, melodiche e metalliche come non mai, e alla potenza vocale irraggiungibile di Halford, il Metal God. La produzione risulta piuttosto in linea con la corrente principale del tempo, enfatizzando molto la velocità dei riff, anziché la potenza della sezione ritmica; l'immagine autoritaria di Rob Halford, completamente cuoioborchiato e in sella alla sua Harley rombante, dona alla band un quid iconografico prepotente mentre lui, il Metal God, con la sua voce stellare e i vocalizzi disumani, detta le leggi basilari che diventeranno i canoni simbolo di tutto il panorama metal mondiale degli anni a venire, imitati da decine di gruppi cresciuti nel mito di un cantante straordinario e di un leader dal carisma innato. Al suo fianco, la scena sonora era catturata dalle scintillanti chitarre di Tipton e Downing, maestri assoluti che garantivano uno strepitoso repertorio di tecnica musicale, praticamente sterminato. Ad incarnare lo spirito e l’iconografia della band, dopo l’hellion, c’è stavolta il Metallian, una sorta di ibrido robotico tra un’ariete ed una tigre, armato di corna e fucili, che sferra il proprio attacco al pianeta terra: ‘sorgendo dall’inferno e dalle tenebre senza pietà, attraverso l’eco perenne delle grida di vendetta: solo coloro che conservano la fede fuggiranno all'ira del Metallian, Maestro di tutti i metalli’. Quelle note, quei dischi, consegnano i Judas Priest alla leggenda dell’heavy metal, innalzandoli ad icone insormontabili nell’immaginario popolare. Implacabili e insuperabili, i Judas Priest continuano a sfornare dischi leggendari con continuità e freschezza fuori dal comune, nel pieno degli anni '80: l'epoca d'oro dell'heavy metal. E' molto interessante analizzare l'aspetto visivo del five-pieces britannico: al di là dell'enorme influenza che il look di Rob Halford avrà su intere generazioni di giovani metallari, i Judas Priest si distinguono per un impatto scenico esplosivo e pirotecnico, rafforzato da una capacità unica e innata di rendere i propri spettacoli dei veri show a tutti gli effetti. Con la musica sempre al centro, e in maniera impeccabile e sfolgorante, elemento non troppo sottointeso in un mondo che oggi giorno tende a idolatrare pseudo artisti dal grandissimo impatto visivo ma che, musicalmente parlando, valgono ben poco. Judas Priest è marchio di grandezza, marchio di apocalittiche scorribande sulle sei corde: i duelli tra Tipton e Downing aprono sentieri scintillanti ultragodibili e altamente coinvolgenti, dando l'idea di una musica strutturata ed eclettica e sempre aggressiva, vivace, fresca.

Gli anni '80 procedevano con enfasi e ambizione in ambito heavy metal. Iron Maiden e Judas Priest erano i colossi assoluti del movimento europeo, ma tuttavia stavano per andare incontro a qualche noiosa ostilità esterna. Un notevole nucleo di perbenisti e benpensanti, composto soprattutto dalle mogli dei senatori degli Stati Uniti [ma non avevano niente di meglio da fare?] fondarono il pmrc, un ente con lo scopo di censurare i testi 'forti' del metal e la sua immagine rivoluzionaria, elementi che, a detta loro, traviavano le menti innocenti delle nuove generazioni. Anche i Priest furono coinvolti in accuse e processi, in particolare per il brano 'Eat me Alive', dai presunti riferimenti sessuali, ma la censura non fece che aumentare il fascino e la richiesta stessa di heavy metal brutale e genuino. Il 1986 fu un anno certamente leggendario per gli appassionati di heavy metal estremo, vista l'uscita negli States dei celebri 'quattro pilastri del thrash', ma segnò per i Priest il primo passo falso di una carriera ormai decennale. L'abum Turbo presentava tratti glam metal, genere tanto in voga in quegli anni quanto evanescente, commerciale e decisamente poco 'cattivo'. I fan non furono felicissimi, e laband cercò di risollevarsi nel 1988 con Ram It Down. La formazione inglese tentò un ritorno al passato, e il prodotto fu eccellente, nonostante non degno di essere considerato un capolavoro all'altezza dei grandi classici pubblicati in precedenza L'heavy metal, eroico e compatto esploso in questo album era un ulteriore passo avanti in potenza, e riprendeva il discorso interrotto con 'Defenders of The Faith': una manciata di ottime canzoni, riff esaltanti e assoli fulminanti, in aprticolare quello della titletrack. Eppure non tutti ne furono soddisfatti. L'album venne sottovalutato ed iniziarono a piovere critiche, e qualcuno bollò Halford e soci come finiti. Il giorno del Painkiller stava per giungere.


JUDAS PRIEST DISCOGRAPHY

1 commento:

GODZILLA - GMZ ha detto...

Ciao! Veramente complimenti per questo stupendo articolo ALLA BAND che piu' di tutte e' riuscita ad IMMORTALARE il metal nel firmamento musicale mondiale!
I Priest sono un icona intramontabile che hanno creato la vera matrice all HEAVY METAL piu' di ogni altro gruppo.
Ricordo che su una ristampa dei loro primi due album (Rocka Rolla e Sad wings of destiniy) si leggeva "...all inferno c'e' una stanza in cui questo album - sad wings- viene suonato PER SEMPRE ...spero di finire in quella stanza quando moriro'!!!!!!!!
up the priest !!!!!!!!!