Il tour di supporto ad Individual thought Patterns vide il ritorno di LaRoque alla band madre, sostituito nella prima porzione da Ralph Santolla e da Craig Locicero dei Forbidden nella seconda leg della calata europea, quella postuma all’uscita dell’album. I Death misero a ferro e fuoco Germania, Olanda, Austria e Belgio, e volarono successivamente negli States, esibendosi per ventisette date consecutive prima di una nuova traversata europea; tra le altre, memorabile la data londinese, nella quale venne ammutolito l’Asthoria Theatre. Dopo Olanda, Belgio, Germania, Francia e Spagna fu anche la volta dell’Italia, con l’esibizione fiorentina nella quale il pubblico continuò a bersagliare di sputi gli opener Anacrusis: la situazione stava rasentando il 'caso politico', con Schuldiner che minacciava di ritirarsi dal palco al primo sputo ricevuto. Non ce ne fu bisogno: la folla inneggiante aggrediva gli Anacrusis soltanto per dimostrare la fanatica devozione nei confronti dei Death, e la spasmodica attesa per la loro performance. Il tour si concluse con un nuovo ritorno in terra olandese, mentre Schuldiner iniziava a rilasciare dichiarazioni secondo le quali avrebbe voluto completare il proprio spettro musicale con un progetto parallelo dotato di una voce più tipicamente heavy metal: un sogno a cui dedicherà parecchio interesse, fino a coronarlo qualche anno più tardi col nome di Control Denied. Al termine del tour, il 1994 scivolò via in sostanziale calma, con la partecipazione di Schuldiner al progetto Voodoocult, una band thrash che prevedeva anche la presenza di Mille Petrozza e Dave Lombardo: un’estemporanea fuga dalla routine, giusto il tempo di registrare qualche riff per l’album Jesus Killing Machine ed attirare le attenzioni dei fans più sfegatati. Il ragazzo, tuttavia, manteneva la sua consueta umiltà: 'E’ meglio che io resti sempre vigile. I pezzi grossi, nei loro palazzi lussuosi, sono sempre pronti a rubare anche l'ultimo centesimo dalle tasche delle band. Non capisco perché si comportino così: non hanno nient'altro da fare? Sembra una dichiarazione estrema, lo so, ma non invento storie. Quello che dico nei miei testi é la mia opinione personale sulle persone con cui ho avuto a che fare nel mondo degli affari, ve lo posso assicurare. Ogni band, del resto, può confermare questa mia tesi, e lo penso da lungo tempo, fin da quando ho registrato i primi demo e suonavo nei piccoli pubs. Abbiamo fatto sempre ciò che volevamo, nessuno ci ha limitato, ma quando si pubblicano degli album la vita cambia, gli uomini d'affari vogliono decidere del tuo futuro e pretendono che tu faccia la rockstar ventiquattro ore su ventiquattro. E' orribile. Mi piace tenermi il più lontano possibile da quel circo, per vivere la mia vita: starmene in casa, guardare un film, andare a fare una passeggiata o nuotare'. Il nuovo album dei Death, registrato nei celebri Morrisound Studios per la nuova etichetta Roadrunner, stava venendo fuori sotto una luce nuova, più atmosferica e melodica dei due devastanti predecessori, infarciti di tecnicismi, velocità e cambi di tempo. Si chiamava Symbolic ed era un disco rivoluzionario soprattutto perché poneva le trame musicali progressive ad un livello superiore rispetto alla veemenza esecutiva, riflettendo lo stato d’animo più rilassato e positivo di Schuldiner, che finalmente aveva trovato un equilibrio, la serenità forse: caratteristica che si sentiva anche nel vocalism, meno primitivo del solito, quasi ‘umano’ nell’approccio. Anche dal punto di vista economico, per la prima volta dopo dodici anni di musica, Chuck, poteva mantenersi da solo, pagandosi l’affitto di un appartamento e le relative bollette. Non che il disco fosse più morbido, anzi: pezzi tellurici come Mysantrophe e 1.000 Eyes ribadivano il concetto di devastazione ipertecnica tipica dei Death, mescolandosi sontuosamente alle numerose sfumature armoniche e liriche delle altre tracce. Era tempo di voltarsi indietro, rimpiangere l’innocenza dell’infanzia con il testo toccante della titletrack ed accorgersi di essere passati da fiumi di dolore ad oceani colmi di speranza; ed allora ecco uno Schuldiner più pacato e riflessivo, che parla di serenità, di sogni, di domande eterne sulla nostra esistenza ed il nostro destino, oltre che delle consuete tematiche realiste [come la violazione sempre più accentuata della privacy, concomitante con il proliferare di telecamere e schedature assortite in ogni luogo sociale]. La line-up viene ritoccata per metà, a causa dei molteplici impegni di DiGiorgio e LaRoque: il basso viene affidato a Kelly Conlon, la chitarra a Bobby Koelble, il logo viene ancora ritoccato, e perde la 't' a forma di croce rovesciata a favore di una più moderata croce celtica. Del resto, mai i Death erano stati una band di stampo 'satanico', nemmeno in maniera irrisoria, e l’ateo Chuck riteneva ormai infantile continuare a sfoggiare un simbolo anti-religioso per il mero gusto della provocazione. Il chitarrista era una persona dal cuore nobile e dai valori altissimi, tanto da partecipare ad un concerto di beneficienza contro la sclerosi multipla organizzato dalla BETA, un’organizzazione benefica nella quale era coinvolta anche la madre; fu lui stesso a confermare l’avvenuta maturazione della sua persona, attraverso interviste sempre più interessanti e significative: 'La gente ha modo di leggere nella mia vita. Penso che molte persone si rendano conto di questo e mi dicono che i miei testi sono molto profondi, e sembrano essere dolorosi, talmente da far toccare a loro stessi quel dolore. La vita non é perfetta: ho momenti in cui mi sento sul tetto del mondo, e altri in cui mi sembra di avere il peso del mondo sulle mie spalle. Depressione, felicità, siamo tutti sulla stessa barca. Sono meno arrabbiato di un tempo. Ho imparato ad interagire meglio con le persone, anche con quelle da cui subisco un torto, e sono più sereno e riflessivo. Ho deciso di far tesoro delle esperienze, per cercare di guardare alla vita con altri occhi. Sarebbe bello se esistesse una droga che ci potesse far ritornare all’innocenza di quando eravamo bambini, quando guardavamo il mondo da un’altra angolatura'. Non bisogna illudersi, però, che la strada fosse ora del tutto in discesa: Schuldiner entrerà presto in contrasto con la Roadrunner, accusata di scarsa promozione nei confronti dell’album a causa della sua errata visione della musica dura: per la label, sosteneva Chuck, il metal erano i Korn, dei quali si cercava, dunque, dei cloni. La persona più sbagliata a cui sbattere in faccia questa assurdità era proprio un defender of the faith come il ragazzo di Orlando, che dunque fece armi e bagagli e si accasò alla Nuclear Blast, continuando peraltro la ricerca di musicisti per il progetto parallelo di stampo heavy del quale aveva accennato tempo indietro.
Dopo le prime attività, però, emerse in Chuck il bisogno di riprendere in mano il destino dei Death, che era rimasto temporaneamente in standby: fu in quei due anni di pausa sostanziale che il musicista avvertì tangibilmente l’amore e l’attesa che il pubblico metallico nutriva nei confronti della sua creatura principale. Vennero ingaggiati dunque dei musicisti pressochè sconosciuti, ma tutti molto preparati tecnicamente e di base in Florida, cosa fondamentale al fine di semplificare il lavoro di squadra: Shannon Hamm alla chitarra, Scott Clendenin al basso, Richard Christy alla batteria. The Sound of Perseverance esce nel 1998 e, per l’ennesima volta, rivoluziona il tipico Death-sound, affinando l’eccellenza e lasciando tutti ammutoliti. Le trame progressive si intricano oltre l’inverosimile, i toni apocalittici tuonano possenti, tra riff statuari, assoli folgoranti, sfuriate assassine alla velocità della luce ed uno screaming vocale distantissimo dal growling dei primi dischi. Nelle tracce incise si sfiora una sorta di rassegnazione inesorabile di fronte ai mali del mondo e dell’essere umano, raffigurato come una sorta di frantumatore di spiriti nella sublime Spirit Crusher, o come uno sciacallo che si nutre del dolore altrui nell’imponente opener Scavenger of Human Sorrow, una delle migliori canzoni mai composte da Schuldiner ed esempio magistrale del sound compatto, devastante ed ipertecnico insito in questo disco, che godeva di altre gemme succulente come l’elaboratissima The Flesh And the Power It Hold, densa di cambi di tempo e accelerazioni letali, o la strumentale Voice of Souls, una struggente nenia accarezzata dalla melodia di tre chitarre, cucite con toccante sentimento dalle dita emotive del grande chitarrista floridiano. Il disco può essere considerato un perfetto mix tra la potenza, la rapidità di Individual Thought Patterns e la melodia raffinatissima di Symbolic: si candidava pertanto al ruolo di disco definitivo della band americana, una stupefacente istantanea della crescita vertiginosa avvenuta dai tempi del death-gore ed un’eredità preziosa dell’inarrivabile capacità compositiva e tecnica di Schuldiner. In un’epoca in cui il nu metal viveva il proprio periodo di gloria, Evil Chuck ribadiva con orgoglio quale fosse il vero suono dell’heavy metal, e proprio in questa fede fortissima nelle sonorità classiche e nelle proprie radici si trovava la perseveranza che il musicista sottolineava nel titolo dell’opera. L’artwork di copertina, raffigurante una montagna da scalare, a volte cadendo, spesso rialzandosi, era metafora di ciò che per Schuldiner acquisiva un’importanza seminale: possedere un sogno, un obiettivo, e lottare senza mai arrendersi per raggiungerlo. Le ripartenze a rotta di collo e le sfuriate travolgenti sconvolgono una tracklist ancora una volta priva di punti deboli; in ottica lirica, come visto, i testi si fanno più criptici e astratti: si parla di dolore, sofferenza da cacciare, esperienze vissute, perdono e riflessioni, in maniera quasi profetica e visionaria. Il genio del guru Schuldiner, unanimemente riconosciuto ormai da diversi anni, veniva ora proiettato in una dimensione ancora più allucinata e sorprendente, oggetto di rispetto e venerazione. Lui aveva creato il death metal, lui lo aveva trascinato sui territori impareggiabili della tecnica e della profondità, lui ora lo rendeva ancora più personale, evoluto oltre la soglia di raggiungibilità ed emulazione, senza perdere un grammo di violenza, impatto, affilatezza. Nelle interviste del tempo, Schuldiner appariva molto orgoglioso della sua ultima pubblicazione, ribadendo con convinzione i propri ideali: 'E' una vecchia storia, ma lo dico ancora una volta. In America il metal fa fatica, e mi riferisco al vero metal e non alla musica dei Korn, che non ha nulla a che fare col metal, anche se viene venduta come “nuova generazione metal”. E' solo un gioco sporco delle grandi case discografiche, lanciano tendenze da seguire in modo rapido per poter fare un sacco di soldi veloci. Uccidi la musica vecchia e spingi qualcosa di nuovo per i kids. I Death insistono ancora, nonostante tutta l'opposizione di chi sostiene il business, le nuove tendenze ed altre stronzate. Ho perseverato! Il metal è parte della mia vita, è la musica che ascolto da quando avevo dieci anni, non è mai stata scavalcata; dicono che band come i Death sono passate di moda. Una tendenza è sinonimo di qualcosa di temporaneo, come camminare insieme senza essere coinvolti in un vero amore. Non fraintendetemi, non ho nulla contro i Korn: sono bravi in quello che fanno, ma non venite a venderli a me come band metal degli anni novanta! Chi come me ha una carriera di quindici anni nel metal si è sentito offeso. Il mio nuovo disco è una dichiarazione: ascolta, questo è l’heavy metal degli anni novanta! Il mio amore per l’heavy metal è eterno'. L’amore per il metal classico e tutto il materiale indimenticabile pubblicato dalle amatissime band degli anni ottanta viene ossequiato attraverso la cover di un pezzo immortale e tradizionalissimo come Painkiller, nella quale Schuldiner canta in maniera atipica e duetta col leggendario Rob Halford, mettendo davvero la pelle d’oca; la scaletta proposta live era più completa che mai, capace di spaziare dal death più primordiale ed efferato a quello via via più curato e stratificato degli anni novanta. La band partì in tour con gli Hammerfall ed on the road Schuldiner si confermava una volta di più ragazzo amabile e disponibile, fermandosi a chiacchierare coi fans o autografando loro dischi e magliette. Dichiarava di fare una vita normale, amava i suoi gatti e il suo nipotino, preferiva suonare musica di notte perché di giorno doveva sobbarcarsi le interviste e il lato affaristico e, come se non bastasse, continuava a cullare il sogno di una band di heavy classico: al termine del tour, rimise i Death in standby e si rituffò nei Control Denied, affermando di non volersi assolutamente concentrare in due progetti contemporaneamente.
I Control Denied erano la naturale prosecuzione di quanto fatto con i Death e infatti quando uscì finalmente il debut album The Fragle Art of Existance erano riconoscibilissimi i riff e gli assoli tipici di Chuck. L’opera era curatissima e soddisfacente e godeva di un suono tipicamente heavy accentuato dalle vocals epiche di Tim Aymar. Sarebbe stato tutto fottutamente perfetto, il coronamento di un sogno, la gloria, la possibilità di vivere finalmente della propria arte, la stima perpetua dei fans e della critica. Ma il male più bastardo di tutti era all’angolo. La Morte, la bieca mietitrice, stava affilando la falce ed aveva scelto la preda: era proprio quel ragazzo mite e amante dei barbecue, che per tanti anni aveva sfacciatamente affrontato il destino utilizzando un moniker sotto il quale nascondere i tormenti per la perdita dell’adorato fratello. Nella primavera del 1999, poco prima del completamento del disco targato Control Denied, il musicista rilasciò un comunicato stampa a dir poco sconcertante, nel quale dichiarava di essere affetto da un tumore al cevello: 'Verso la fine del nostro periodo in studio ho iniziato ad avvertire un dolore al collo, che inizialmente reputavo fosse dovuto allo schiacciamento di un nervo o delle parti muscolari interessate. Dopo aver completato la registrazione ho consultato un chiropratico, un massaggiatore ed un agopuntore, che mi ha consigliato una risonanza magnetica. Beh, avevo ragione sul nervo schiacciato, ma purtroppo è stato causato da un tumore al tronco encefalico. Sono nella mia quarta settimana di radioterapia, con alcuni dei medici più stimati del settore. Sono aiutato dall'amore immenso e dal supporto della mia famiglia e dei miei amici, che é una componente molto grande per poter ottenere qualcosa in una simile battaglia. Parlare di ciò in parole semplici é ovviamente difficile, ma lasciatemi dire questo: è un'esperienza di mente, fusione di anima e corpo. Il trattamento sta andando bene, e con questo tipo di radiazioni molto aggressive la prognosi é buona, ci vuole pazienza. Qualcosa che ho imparato a gestire nei miei quattordici anni di vita musicale, ora é tempo di padroneggiare ulteriormente l'arte della pazienza nella mia strada verso la guarigione. Ho sempre sentito un legame personale tra la musica e gli appassionati e gli amici che la sostengono. Sono un grande sostegno, che va al di là della musica in sé e lo apprezzo con tutto il mio cuore e la mia anima. Mi hanno detto che questo tipo di tumore compare da piccoli, ce l’ho con ogni probabilità da anni e l’idea di averlo avuto nel mio corpo da tempo mi fa impazzire. Penso che forse lo sforzo nel cantare come cantavo io, quasi urlando, la pressione sul palco e lo stress che ho accumulato in tutti questi anni hanno contribuito negativamente'. Le attestazioni di supporto dei fans e del mondo del metal furono immediate e numerose, fu anche istituito un fondo medico per aiutare la famiglia Schuldiner a sostenere le ingenti spese che le cure richiedevano. Di fronte all’impossibilità di effettuare pagamenti anticipati, la famiglia si vide sbattere in faccia i vergognosi rifiuti dei maggiori centri ospedalieri. Naturalmente decise di perseverare, utilizzando i risparmi di tutta una vita. Di tanto in tanto, il chitarrista aggiornava i fans sulle sue condizioni, affermando che i trattamenti duravano solo dieci minuti, ma erano molto intensi e debilitanti; circondato dagli affetti familiari, Evil Chuck guardava ora la vita da un’altra prospettiva, anche se i medici preferivano rimandare l’operazione a causa della locazione delicata del cancro nel cervello. Erano tuttavia ottimisti e incoraggiavano lo stesso Chuck a mantenere un atteggiamento positivo, cosa che il ragazzo non esitò a fare, in perfetta coerenza col suo carattere combattivo e determinato. Tra diversi temporeggiamenti e rifiuti dovuti allo squallore del teatrino sanitario americano, agli inizi del 2000 si venne a conoscenza di una tecnica chirurgica sperimentale, molto costosa e rischiosa, che avrebbe potuto aiutare Schuldiner. Valeva la pena tentare. L’intervento andò a buon fine, parte del tumore venne rimossa e il musicista fu dimesso ed indirizzato ad un periodo di riabilitazione. La lontananza dalla chitarra aveva fiaccato sempre di più il ragazzo, che non esitò a riabbracciare quanto prima il suo strumento per scrivere un paio di nuove canzoni, affermando di sentire ancora il metallo scorrere vivo nelle proprie vene e non perdendo occasione per ringraziare tutti i fans che continuavano a supportarlo. Riallacciò anche i rapporti con James Murphy, ma l’illusione durò poco, perché in primavera il male tornò ancora più acuto e devastante. L’operazione, stavolta, era ancora più delicata e costosa ed il dramma minacciava impietosamente giorno dopo giorno. Furono organizzati dei concerti di beneficienza a favore di Schuldiner e Chuck Billy, cantante dei Testament che proprio in quei giorni soffriva a sua volta di un tumore: la gara di solidarietà vide impegnate band come i Pantera, gli stessi Korn, Kid Rock, i Testament [nella formazione di Legacy] e Marylin Manson. Prima di tentare la via rischiosissima del laser, i medici sottoposero il leader dei Death ad una cura molto dura, effettuata tramite un farmaco chiamato VinCristine: la lotta tra la vita e la morte proseguì per tutto il 2001, con qualche segnale di miglioramento a novembre; ma Chuck era talmente debilitato che un’infezione ai polmoni lo costrinse ad un nuovo ricovero, dal quale non sarebbe più uscito. La madre rimase al suo capezzale fino all’ultimo: Chuck Schuldiner si spense nel pomeriggio di giovedì 13 dicembre 2001, un'ora circa dopo il suo ritorno dall'ospedale alla casa di Altamonte Springs. Un tramonto agghiacciante poneva ora il silenzio laddove avevano imperato i decibel. Calava il sipario sulla leggenda dei Death. Chuck Schuldiner era un genio ed è diventato una sorta di profeta, un messia, utilizzando la propria musica e la propria coscienza come un vangelo da tramandare ai posteri. Esso ha dato la voce ai senza voce, ha fatto parlare i cuori prosciugati dalla sofferenza, ha combattuto fino all'ultimo istante di vita contro la falsità, gli stereotipi, le ingiustizie. E forse, quel maledetto giovedì 13 dicembre, ha smesso di soffrire. Era un essere umano, Chuck Schuldiner, e amava le cose semplici della vita: resterà indimenticabile una delle ultime frasi pronunciate prima della malattia, in riferimento alla prossima pubblicazione dell’album dei Control Denied: 'La vita è fragile, sopravvivere è un’arte. Bisogna superare le avversità, metabolizzare le esperienze negative, realizzare i propri sogni. La vita è una sfida per ognuno di noi, perché non è facile, è una battaglia continua. Ci sono stati tanti momenti terribili nella mia vita, ma non vorrei mai cancellarli. Voglio portarli con me per sempre, perché la vita è fatta di momenti belli e di momenti brutti e sono proprio le esperienze peggiori, le più negative, a farti comprendere meglio la vita, e a insegnarti come affrontarla'. Scorrono i titoli di coda, accarezzati dalle note commoventi di Voice of Souls, su un artista che, in realtà, mai se ne è andato e mai se ne andrà. I suoi dischi echeggiano potenti ora come allora, il ricordo vivido di quel ragazzo gentile e determinato è fresco come se quel cancro bastardo non fosse mai sorto: l’affetto, la riconoscenza e la venerazione di un popolo intero, quello bardato di cuoio e metallo, è la più grande consacrazione di immortalità che un uomo possa immaginare. Il 13 dicembre 2011 saranno dieci anni dalla sua scomparsa, volati d’un soffio, eppure così densi da sembrare secoli. Milizie di fedeli ancora scuotono il capo, fibrillando di fronte alle sue gemme: Suicide Machine o Overactive Imaginations, Torn to Pieces o Scavenger of Human Sorrow, indistintamente dall’album, dall’umore, indipendentemente da tutto. Armate di seguaci continuano a perseverare, si affidano a quei testi per affrontare gli ostacoli, generazione dopo generazione, riflettendosi negli scritti di un giovane saggio, che non ha mai avuto la pretesa di parlare per gli altri ma, al tempo stesso, ha avuto il dono di rispecchiare le emozioni di legioni intere di affezionati. Spetta al vecchio manager Eric Greif regalarci un ultimo ricordo, un’ultima emozione per celebrare la grandezza di una persona magnifica ed un artista insuperabile. Riposa in pace, fratello. 'Un momento particolare continuerà a vivere per sempre nella mia mente: eravamo in viaggio nel nostro tourbus, da qualche parte tra le nevi della Svezia; credo che fossimo gli unici ancora svegli e ci siamo seduti vicino alla cabina di guida, affrontando una conversazione profonda sulla nostra vita, il nostro futuro, quello della band. Ero molto giù per il modo in cui stavano andando le cose: Chuck mise il braccio sulla mia spalla e indicò le stelle che brillavano nel cielo. Mi disse che non dovevo avere paura di nulla e che le cose sarebbero andate a finire come avrebbero dovuto. Chuck era così, ci sono stati momenti di pura profondità, onestà e convinzione, e queste erano le sue caratteristiche che si soffermeranno per sempre nella mia mente'. Rino Gissi, Metallized.it
Dopo le prime attività, però, emerse in Chuck il bisogno di riprendere in mano il destino dei Death, che era rimasto temporaneamente in standby: fu in quei due anni di pausa sostanziale che il musicista avvertì tangibilmente l’amore e l’attesa che il pubblico metallico nutriva nei confronti della sua creatura principale. Vennero ingaggiati dunque dei musicisti pressochè sconosciuti, ma tutti molto preparati tecnicamente e di base in Florida, cosa fondamentale al fine di semplificare il lavoro di squadra: Shannon Hamm alla chitarra, Scott Clendenin al basso, Richard Christy alla batteria. The Sound of Perseverance esce nel 1998 e, per l’ennesima volta, rivoluziona il tipico Death-sound, affinando l’eccellenza e lasciando tutti ammutoliti. Le trame progressive si intricano oltre l’inverosimile, i toni apocalittici tuonano possenti, tra riff statuari, assoli folgoranti, sfuriate assassine alla velocità della luce ed uno screaming vocale distantissimo dal growling dei primi dischi. Nelle tracce incise si sfiora una sorta di rassegnazione inesorabile di fronte ai mali del mondo e dell’essere umano, raffigurato come una sorta di frantumatore di spiriti nella sublime Spirit Crusher, o come uno sciacallo che si nutre del dolore altrui nell’imponente opener Scavenger of Human Sorrow, una delle migliori canzoni mai composte da Schuldiner ed esempio magistrale del sound compatto, devastante ed ipertecnico insito in questo disco, che godeva di altre gemme succulente come l’elaboratissima The Flesh And the Power It Hold, densa di cambi di tempo e accelerazioni letali, o la strumentale Voice of Souls, una struggente nenia accarezzata dalla melodia di tre chitarre, cucite con toccante sentimento dalle dita emotive del grande chitarrista floridiano. Il disco può essere considerato un perfetto mix tra la potenza, la rapidità di Individual Thought Patterns e la melodia raffinatissima di Symbolic: si candidava pertanto al ruolo di disco definitivo della band americana, una stupefacente istantanea della crescita vertiginosa avvenuta dai tempi del death-gore ed un’eredità preziosa dell’inarrivabile capacità compositiva e tecnica di Schuldiner. In un’epoca in cui il nu metal viveva il proprio periodo di gloria, Evil Chuck ribadiva con orgoglio quale fosse il vero suono dell’heavy metal, e proprio in questa fede fortissima nelle sonorità classiche e nelle proprie radici si trovava la perseveranza che il musicista sottolineava nel titolo dell’opera. L’artwork di copertina, raffigurante una montagna da scalare, a volte cadendo, spesso rialzandosi, era metafora di ciò che per Schuldiner acquisiva un’importanza seminale: possedere un sogno, un obiettivo, e lottare senza mai arrendersi per raggiungerlo. Le ripartenze a rotta di collo e le sfuriate travolgenti sconvolgono una tracklist ancora una volta priva di punti deboli; in ottica lirica, come visto, i testi si fanno più criptici e astratti: si parla di dolore, sofferenza da cacciare, esperienze vissute, perdono e riflessioni, in maniera quasi profetica e visionaria. Il genio del guru Schuldiner, unanimemente riconosciuto ormai da diversi anni, veniva ora proiettato in una dimensione ancora più allucinata e sorprendente, oggetto di rispetto e venerazione. Lui aveva creato il death metal, lui lo aveva trascinato sui territori impareggiabili della tecnica e della profondità, lui ora lo rendeva ancora più personale, evoluto oltre la soglia di raggiungibilità ed emulazione, senza perdere un grammo di violenza, impatto, affilatezza. Nelle interviste del tempo, Schuldiner appariva molto orgoglioso della sua ultima pubblicazione, ribadendo con convinzione i propri ideali: 'E' una vecchia storia, ma lo dico ancora una volta. In America il metal fa fatica, e mi riferisco al vero metal e non alla musica dei Korn, che non ha nulla a che fare col metal, anche se viene venduta come “nuova generazione metal”. E' solo un gioco sporco delle grandi case discografiche, lanciano tendenze da seguire in modo rapido per poter fare un sacco di soldi veloci. Uccidi la musica vecchia e spingi qualcosa di nuovo per i kids. I Death insistono ancora, nonostante tutta l'opposizione di chi sostiene il business, le nuove tendenze ed altre stronzate. Ho perseverato! Il metal è parte della mia vita, è la musica che ascolto da quando avevo dieci anni, non è mai stata scavalcata; dicono che band come i Death sono passate di moda. Una tendenza è sinonimo di qualcosa di temporaneo, come camminare insieme senza essere coinvolti in un vero amore. Non fraintendetemi, non ho nulla contro i Korn: sono bravi in quello che fanno, ma non venite a venderli a me come band metal degli anni novanta! Chi come me ha una carriera di quindici anni nel metal si è sentito offeso. Il mio nuovo disco è una dichiarazione: ascolta, questo è l’heavy metal degli anni novanta! Il mio amore per l’heavy metal è eterno'. L’amore per il metal classico e tutto il materiale indimenticabile pubblicato dalle amatissime band degli anni ottanta viene ossequiato attraverso la cover di un pezzo immortale e tradizionalissimo come Painkiller, nella quale Schuldiner canta in maniera atipica e duetta col leggendario Rob Halford, mettendo davvero la pelle d’oca; la scaletta proposta live era più completa che mai, capace di spaziare dal death più primordiale ed efferato a quello via via più curato e stratificato degli anni novanta. La band partì in tour con gli Hammerfall ed on the road Schuldiner si confermava una volta di più ragazzo amabile e disponibile, fermandosi a chiacchierare coi fans o autografando loro dischi e magliette. Dichiarava di fare una vita normale, amava i suoi gatti e il suo nipotino, preferiva suonare musica di notte perché di giorno doveva sobbarcarsi le interviste e il lato affaristico e, come se non bastasse, continuava a cullare il sogno di una band di heavy classico: al termine del tour, rimise i Death in standby e si rituffò nei Control Denied, affermando di non volersi assolutamente concentrare in due progetti contemporaneamente.
I Control Denied erano la naturale prosecuzione di quanto fatto con i Death e infatti quando uscì finalmente il debut album The Fragle Art of Existance erano riconoscibilissimi i riff e gli assoli tipici di Chuck. L’opera era curatissima e soddisfacente e godeva di un suono tipicamente heavy accentuato dalle vocals epiche di Tim Aymar. Sarebbe stato tutto fottutamente perfetto, il coronamento di un sogno, la gloria, la possibilità di vivere finalmente della propria arte, la stima perpetua dei fans e della critica. Ma il male più bastardo di tutti era all’angolo. La Morte, la bieca mietitrice, stava affilando la falce ed aveva scelto la preda: era proprio quel ragazzo mite e amante dei barbecue, che per tanti anni aveva sfacciatamente affrontato il destino utilizzando un moniker sotto il quale nascondere i tormenti per la perdita dell’adorato fratello. Nella primavera del 1999, poco prima del completamento del disco targato Control Denied, il musicista rilasciò un comunicato stampa a dir poco sconcertante, nel quale dichiarava di essere affetto da un tumore al cevello: 'Verso la fine del nostro periodo in studio ho iniziato ad avvertire un dolore al collo, che inizialmente reputavo fosse dovuto allo schiacciamento di un nervo o delle parti muscolari interessate. Dopo aver completato la registrazione ho consultato un chiropratico, un massaggiatore ed un agopuntore, che mi ha consigliato una risonanza magnetica. Beh, avevo ragione sul nervo schiacciato, ma purtroppo è stato causato da un tumore al tronco encefalico. Sono nella mia quarta settimana di radioterapia, con alcuni dei medici più stimati del settore. Sono aiutato dall'amore immenso e dal supporto della mia famiglia e dei miei amici, che é una componente molto grande per poter ottenere qualcosa in una simile battaglia. Parlare di ciò in parole semplici é ovviamente difficile, ma lasciatemi dire questo: è un'esperienza di mente, fusione di anima e corpo. Il trattamento sta andando bene, e con questo tipo di radiazioni molto aggressive la prognosi é buona, ci vuole pazienza. Qualcosa che ho imparato a gestire nei miei quattordici anni di vita musicale, ora é tempo di padroneggiare ulteriormente l'arte della pazienza nella mia strada verso la guarigione. Ho sempre sentito un legame personale tra la musica e gli appassionati e gli amici che la sostengono. Sono un grande sostegno, che va al di là della musica in sé e lo apprezzo con tutto il mio cuore e la mia anima. Mi hanno detto che questo tipo di tumore compare da piccoli, ce l’ho con ogni probabilità da anni e l’idea di averlo avuto nel mio corpo da tempo mi fa impazzire. Penso che forse lo sforzo nel cantare come cantavo io, quasi urlando, la pressione sul palco e lo stress che ho accumulato in tutti questi anni hanno contribuito negativamente'. Le attestazioni di supporto dei fans e del mondo del metal furono immediate e numerose, fu anche istituito un fondo medico per aiutare la famiglia Schuldiner a sostenere le ingenti spese che le cure richiedevano. Di fronte all’impossibilità di effettuare pagamenti anticipati, la famiglia si vide sbattere in faccia i vergognosi rifiuti dei maggiori centri ospedalieri. Naturalmente decise di perseverare, utilizzando i risparmi di tutta una vita. Di tanto in tanto, il chitarrista aggiornava i fans sulle sue condizioni, affermando che i trattamenti duravano solo dieci minuti, ma erano molto intensi e debilitanti; circondato dagli affetti familiari, Evil Chuck guardava ora la vita da un’altra prospettiva, anche se i medici preferivano rimandare l’operazione a causa della locazione delicata del cancro nel cervello. Erano tuttavia ottimisti e incoraggiavano lo stesso Chuck a mantenere un atteggiamento positivo, cosa che il ragazzo non esitò a fare, in perfetta coerenza col suo carattere combattivo e determinato. Tra diversi temporeggiamenti e rifiuti dovuti allo squallore del teatrino sanitario americano, agli inizi del 2000 si venne a conoscenza di una tecnica chirurgica sperimentale, molto costosa e rischiosa, che avrebbe potuto aiutare Schuldiner. Valeva la pena tentare. L’intervento andò a buon fine, parte del tumore venne rimossa e il musicista fu dimesso ed indirizzato ad un periodo di riabilitazione. La lontananza dalla chitarra aveva fiaccato sempre di più il ragazzo, che non esitò a riabbracciare quanto prima il suo strumento per scrivere un paio di nuove canzoni, affermando di sentire ancora il metallo scorrere vivo nelle proprie vene e non perdendo occasione per ringraziare tutti i fans che continuavano a supportarlo. Riallacciò anche i rapporti con James Murphy, ma l’illusione durò poco, perché in primavera il male tornò ancora più acuto e devastante. L’operazione, stavolta, era ancora più delicata e costosa ed il dramma minacciava impietosamente giorno dopo giorno. Furono organizzati dei concerti di beneficienza a favore di Schuldiner e Chuck Billy, cantante dei Testament che proprio in quei giorni soffriva a sua volta di un tumore: la gara di solidarietà vide impegnate band come i Pantera, gli stessi Korn, Kid Rock, i Testament [nella formazione di Legacy] e Marylin Manson. Prima di tentare la via rischiosissima del laser, i medici sottoposero il leader dei Death ad una cura molto dura, effettuata tramite un farmaco chiamato VinCristine: la lotta tra la vita e la morte proseguì per tutto il 2001, con qualche segnale di miglioramento a novembre; ma Chuck era talmente debilitato che un’infezione ai polmoni lo costrinse ad un nuovo ricovero, dal quale non sarebbe più uscito. La madre rimase al suo capezzale fino all’ultimo: Chuck Schuldiner si spense nel pomeriggio di giovedì 13 dicembre 2001, un'ora circa dopo il suo ritorno dall'ospedale alla casa di Altamonte Springs. Un tramonto agghiacciante poneva ora il silenzio laddove avevano imperato i decibel. Calava il sipario sulla leggenda dei Death. Chuck Schuldiner era un genio ed è diventato una sorta di profeta, un messia, utilizzando la propria musica e la propria coscienza come un vangelo da tramandare ai posteri. Esso ha dato la voce ai senza voce, ha fatto parlare i cuori prosciugati dalla sofferenza, ha combattuto fino all'ultimo istante di vita contro la falsità, gli stereotipi, le ingiustizie. E forse, quel maledetto giovedì 13 dicembre, ha smesso di soffrire. Era un essere umano, Chuck Schuldiner, e amava le cose semplici della vita: resterà indimenticabile una delle ultime frasi pronunciate prima della malattia, in riferimento alla prossima pubblicazione dell’album dei Control Denied: 'La vita è fragile, sopravvivere è un’arte. Bisogna superare le avversità, metabolizzare le esperienze negative, realizzare i propri sogni. La vita è una sfida per ognuno di noi, perché non è facile, è una battaglia continua. Ci sono stati tanti momenti terribili nella mia vita, ma non vorrei mai cancellarli. Voglio portarli con me per sempre, perché la vita è fatta di momenti belli e di momenti brutti e sono proprio le esperienze peggiori, le più negative, a farti comprendere meglio la vita, e a insegnarti come affrontarla'. Scorrono i titoli di coda, accarezzati dalle note commoventi di Voice of Souls, su un artista che, in realtà, mai se ne è andato e mai se ne andrà. I suoi dischi echeggiano potenti ora come allora, il ricordo vivido di quel ragazzo gentile e determinato è fresco come se quel cancro bastardo non fosse mai sorto: l’affetto, la riconoscenza e la venerazione di un popolo intero, quello bardato di cuoio e metallo, è la più grande consacrazione di immortalità che un uomo possa immaginare. Il 13 dicembre 2011 saranno dieci anni dalla sua scomparsa, volati d’un soffio, eppure così densi da sembrare secoli. Milizie di fedeli ancora scuotono il capo, fibrillando di fronte alle sue gemme: Suicide Machine o Overactive Imaginations, Torn to Pieces o Scavenger of Human Sorrow, indistintamente dall’album, dall’umore, indipendentemente da tutto. Armate di seguaci continuano a perseverare, si affidano a quei testi per affrontare gli ostacoli, generazione dopo generazione, riflettendosi negli scritti di un giovane saggio, che non ha mai avuto la pretesa di parlare per gli altri ma, al tempo stesso, ha avuto il dono di rispecchiare le emozioni di legioni intere di affezionati. Spetta al vecchio manager Eric Greif regalarci un ultimo ricordo, un’ultima emozione per celebrare la grandezza di una persona magnifica ed un artista insuperabile. Riposa in pace, fratello. 'Un momento particolare continuerà a vivere per sempre nella mia mente: eravamo in viaggio nel nostro tourbus, da qualche parte tra le nevi della Svezia; credo che fossimo gli unici ancora svegli e ci siamo seduti vicino alla cabina di guida, affrontando una conversazione profonda sulla nostra vita, il nostro futuro, quello della band. Ero molto giù per il modo in cui stavano andando le cose: Chuck mise il braccio sulla mia spalla e indicò le stelle che brillavano nel cielo. Mi disse che non dovevo avere paura di nulla e che le cose sarebbero andate a finire come avrebbero dovuto. Chuck era così, ci sono stati momenti di pura profondità, onestà e convinzione, e queste erano le sue caratteristiche che si soffermeranno per sempre nella mia mente'. Rino Gissi, Metallized.it
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