KILLERS: I TESTI
RINO GISSI, METALLIZED.IT
Ad un anno dal debut, gli Iron Maiden si rifanno sotto con un secondo disco di [street] heavy metal aggressivo e poliedrico, che conferma quanto di buono lasciato intuire dal predecessore e annovera alcune perle di valore autentico, oltre a una serie di brani che lasceranno una traccia meno evidente. Il disco si apre con la strumentale Ides of March che, come Transylvania sul record precedente, prevedeva inizialmente un testo ma si é poi rivelata azzeccata anche solo grazie alle sue pregevoli trame musicali; nel disco stesso sarà bissata da Genghis Khan, marziale e roboante traccia il cui incedere imita l'avanzare delle truppe del grande condottiero mongolo. Irrompe dunque il celebre riffone di basso, corposo e infuocato subito da un assolo di chitarra, dell'aggressiva Wratchild, forse il brano più conosciuto del platter; un ragazzo carico di rabbia, figlio di una prostituta e che mai ha conosciuto il padre, cerca il suo 'uomo' per eliminarlo e compiere il suo destino, trovando finalmente la felicità: Sono nato in un mondo di ira e avidità, di sopraffazione e persecuzione. Mia madre era una regina, mio padre non l’ho mai visto, non sarei mai dovuto nascere. Passo il tempo a cercare dappertutto, un uomo impossibile da trovare. Non mi fermerò finche non lo troverò, troverò il mio uomo, viaggerò ovunque, perché sono figlio del furore, si, sono figlio del furore, yeah, sono figlio del furore. Dici che non ha importanza, che non c' è nulla che possa cambiare il corso del mio destino: so che devo davvero trovare la tranquillità mentale, altrimenti impazzirò. Questi versi lasciano filtrare uno stato di insicurezza ed ansia perenne, un dolore insito nel dna e in un destino di continuo peregrinare alla ricerca di qualcosa che forse nemmeno si troverà mai: per quanto semplice e schietto, dunque, il brano cela tematiche già più mature e profonde che sul disco precedente. Intimistico é anche il testo di Another Life, uno dei pezzi meno ricordati del platter: anche qui siamo su coordinate molto rockegianti, mentre il testo, brevissimo, tratta il tema del suicidio e il desiderio di andarsene e farla finita per sempre: Ma c'è una sensazione che è dentro me, che mi dice di andarmene; ma sono così stanco di vivere, potrei anche morire oggi. Murders In The Rue Morgue mescola le storie di strada di Iron Maiden ai riferimenti letterari che diverranno tipici della band: ispirata dall'omonimo romanzo di Edgar Allan Poe [I delitti della Rue Morgue, 1841, che fu il primo romanzo poliziesco della letteratura internazionale] e aperta da un'intro solenne, che sfocia poi in una tambureggiante esibizione di hardrock energico e scoppiettante, la canzone narra di un individuo che si aggira di notte per le strade di Parigi: afferma di aver sentito un urlo femminile e di essere accorso sul posto, trovando due ragazze fatte a pezzi; la polizia giunge sul luogo del delitto e, vedendolo sporco di sangue, inizia a inseguirlo, e tutta la canzone prende l'andamento rapido di una vera e propria fuga, tra riff veloci ed un brillante assolo di chitarra, lasciando dubbi sul misfatto: forse era stato lo stesso protagonista, affetto da disturbi della personalità, a trucidare le due donne, affermando poi di essere innocente senza rendersi conto di ciò che ha fatto. Lo ricordo come fosse il chiarore del giorno, sebbene sia successo nell'oscurità della notte, canta Paul Di Anno calandosi nelle vesti del protagonista: Passeggiavo per le strade di Parigi, faceva freddo e iniziò a piovere, dopo ho sentito un grido lacerante e sono accorso sulla scena del crimine, ma tutto quello che era rimasto erano i corpi macellati di due ragazze affiancate. L'uomo chiama egli stesso la polizia, ma subito la gente lo addita come artefice dell'omicidio e lui non può che darsela a gambe: C'è della gente che scende per strada, alla fine c'è qualcuno che ha sentito il mio richiamo; non riesco a capire perché mi puntano, non ho mai fatto nulla a nessuno, ma ho del sangue sulle mie mani, ecco perché tutti mi urlano contro! Non so parlare francese, così non posso spiegare, e come uno stupido inizio a correre lontano. E ora devo fuggire dalle armi della legge, tutta la Francia mi sta cercando, devo cercare la mia strada dall'altro lato del confine per sicurezza giù nel sud per l'Italia. Innocent Exile, che poi é il primo brano del disco che racconta un episodio nato dalla fantasia di Harris e soci, narra di un fuggitivo, che si lamenta di non aver nessuna ragione per vivere dopo essere stato accusato ingiustamente di aver ucciso una donna: La mia vita è così vuota, nulla per cui vivere; la mia mente è confusa, perchè ho sfidato la legge. Dicono che ho ucciso una donna, sanno che non è vero. Stanno cercando di incastrarmi, ed è tutta colpa tua. La splendida titletrack, Killers, aperta dai celebri rintocchi di basso e dalle raggelanti urla di Di Anno, é uno degli episodi più completi e trascinanti del disco, una zampata sinitra, maestosa e dal riffing incandescente. Liricamente é un viaggio nella mente di un serial killer e nella situazione di terrore creata nelle sue vittime: Cammini nella metropolitana, i suoi occhi ti fanno un buco nella schiena, un passo dietro di te, si prepara ad attaccare; grida di misericordia, lui ride mentre ti guarda sanguinare, un assassino dietro di te, la sua voglia di sangue resiste ad ogni sua necessità. Le mie innocenti vittime sono state massacrate con collera e disprezzo, la finta religione dell'odio che brucia nella notte. La canzone si lancia, tra atroci risate, in un paio di guitar solos affilatissimi e da puro delirio, mentre i versi che seguono lasciano trasparire anche una sottile metafora con la vita del metallaro medio, individuo solitario e che ripudia la società e la massa in cui é immerso, cibandosi del suo unico Credo, al quale si aggrappa strenuamente: Non ho nessuno, sono obbligato a distruggere tutta questa avidità, una voce dentro di me mi obbliga a soddisfarmi. Capisco a cosa serva un coltello, e tu non saprai mai come io sia riuscito a prevedere. La fede in cui credo è più forte della vita e degli ostacoli, con il barlume del metallo è arrivato il mio attimo per colpire. Si alza la chiamata della morte, un grido rompe la tranquillità della notte, un altro domani, ricordati di camminare nella luce! Ti ho trovato, e ora non hai un posto in cui scappare, sento l'eccitamento dentro di me, oh Dio cosa ho fatto?! Ooh si, l'ho fatto! Abbastanza contorto é il tema di Prodigal Son, un arpeggio struggente ultra melodico in cui il protagonista invoca l'aiuto di Lamia [regina libica della mitologia greca, divenuta un demone divoratore di bambini]: al di là di questo particolare indecifrabile, sia nel testo che nel titolo la traccia sembra affrontare il tema del pentimento [ovvero del 'figliol prodigo']: Mi sento irrequieto, so di aver sbagliato, ho fatto dei casini, cose mistiche e magiche per troppo a lungo. Sento che la sto pagando con questi incubi dentro di me, il diavolo occupa la mia anima e non mi lascerà libero. Sono in ginocchio, oh aiutami per favore. Anche Purgatory, prototipo dei brani speed metal, é criptico: fa riferimento ad un sogno, a posti mai visti e a ricordi di un corpo fluttuante. Twilight Zone narra dello spirito di un uomo, morto da tre anni, che si lamenta perché non riesce a farsi vedere dalla sua amata nonostante abbia cercato di portarla a vedere dove lui si trova: é uno dei pezzi musicalmente minori del full length, mentre la conclusiva Drifter presenta maggiori spunti per quanto concerne riff e liriche. Pur se vaghe, infatti, le strofe sono ottimiste e quasi allegre, e creano un'atmosfera di speranza per un nuovo giorno.