THE FINAL FRONTIER

IRON MAIDEN [HEAVY METAL], 2010
Gli Iron Maiden si sono fatti attendere per quattro lunghi anni prima di dare alla luce il successore del controverso 'A Matter Of Life And Death'. La svolta stilistica della band, che dalla reunion con Bruce Dickinson ha virato sempre più verso una ricetta composta da brani lunghi, epici e strutturati, infarciti da soluzioni al limite del progressive, ha spaccato a metà il giudizio dei fan, divisi tra sostenitori del nuovo corso ed irriducibili nostalgici dell’immediatezza dei fasti passati. Il nuovo 'The Final Frontier' non dà segni di ritorno al passato, ma prosegue quelle che sono le sonorità maideniane del nuovo millennio. Rispetto al predecessore si dimostra certamente meno cupo. L’intro 'Satellite 15' vede Bruce Dickinson in veste di narratore, accompagnato da potenti percussioni che sovrastano le chitarre per creare le giuste emozioni prima dell’opener vera e propria, la title track. Il sound del pezzo è ben lontano dal classico metal dei Maiden, riff e melodie gli conferiscono una veste più rock, quasi come se provenisse da uno dei vecchi dischi solisti dell’Air Raid Siren. Con 'El Dorado' arrivano le prime noti dolenti. La canzone scelta dalla band come singolo apripista si rivela una delle meno convincenti ed ispirate, l’energia sprigionata di assesta sui minimi storici della discografia maideniana [chi ricorda 'Angel And the Gambler'?] a causa di strofe fiacche ed un refrain assolutamente noioso, scontato e poco avvincente. Inoltre i sette minuti di durata sono davvero troppi, anche se la band ritrova il suo heavy metal sound tradizionale. Nonostante la partenza senza il botto, 'The Final Frontiers' si risolleva con 'Mother Of Mercy', un mid tempo che inizia con soavi linee vocali per poi esplodere al secondo minuto. La voce di Dickinson tuona in tutta la sua magnificenza e riesce a rendere appetibile anche il refrain abbastanza scontato. E’ sempre il cantante inglese a fare scintille su 'Coming Home', una ballad intensa ed epica dalle melodie vincenti che pare perfetta per la maestosa voce di Bruce. Il ritornello questa volta è irresistibile, accompagnato da un assolo squisitamente rock che lascia a bocca aperta, il pezzo si candida tra i meglio riusciti dell’intero lavoro. Finalmente con 'The Alchemist' ritroviamo gli Iron Maiden più classici, quelli dei brani veloci, delle cavalcate di basso e dei velocissimi assoli di Dave Murray. La canzone trasuda heavy metal e, seppur lontana dai capolavori della Vergine Di Ferro, scatena un’insana voglia di headbanging. Da questo punto in poi, c’è spazio solo per i brani lunghi, venati di progressive e dalla struttura più complessa, a cui i Maiden hanno tentato invano di abituarci negli ultimi anni. Episodi eccessivamente prolissi come 'Isle Of Avalon' e 'Starblind' lasciano fortunatamente spazio a canzoni più ispirate come 'Talisman' e 'When The Wild Wind Blows', che con i suoi undici minuti di durata scrive la parola fine su un altro disco destinato a far discutere. 'The Final Frontiers' non manca infatti di buone idee, ma spesso queste risultano sbiadite perché inserite all’intero di pezzi eccessivamente lunghi e prolissi all’inverosimile. Il nostro timore è che dal vivo le nuove canzoni non riusciranno a scatenare i fan vogliosi di heavy metal, che continueranno a preferire la cara, vecchia 'The Trooper'.

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