CERTEZZA BACKYARD BABIES- Svezia, reparto scan-rock: per una band che se ne va (The Hellcopters), ce n'è subito un'altra pronta a confermare il proprio inossidabile stato di grazia. Sto parlando ovviamente dei Backyard Babies, ridente quartetto che ha vissuto in prima linea l'intera genesi del movimento rock'n'roll scandinavo, per poi fulminare mezza Europa dando alle stampe, nel lontano '98, il colossale 'Total 13'. I nostri da allora hanno sempre giocato sul sicuro, sbagliando poco e rischiando ancora meno, forti di una line-up indistruttibile e di una formula semplice quanto poco dispendiosa in termini di impegno creativo (così almeno sembra). Arriviamo prontamente a oggi: 'Backyard Babies'. Con un titolo del genere, era lecito aspettarsi un disco cocciutamente identitario, un best-of di inediti che non si discostasse troppo dal sentiero tracciato negli ultimi dieci anni da Dregen e soci. Niente di tutto ciò. Sembra infatti che in quel di Stoccolma tiri un'aria nuova, e che le correnti d'oltreoceano abbiano in qualche modo condizionato la genesi del sesto pargolo di casa Backyard. E i risultati, concedetemelo, hanno dello stupefacente. Prendete ad esempio 'Abandon', di gran lunga la miglior traccia del lotto: qui i richiami al romantic-punk a stelle e strisce sono fortissimi (e guai a chi storce il naso!), in un pezzo che ammalia già dalla partenza soft, per poi esplodere in uno di quei ritornelli semplici e cantabili, un'autentica manna dal cielo per gli amanti di certe melodie pop/rock. La presenza dietro al mixer di uno come Jacob Hellner (Rammstein) avrà in qualche modo influito su questo piccolo, quanto gradito, cambio di rotta? Chi lo sa. Nel dubbio io mi godo dei suoni a dir poco perfetti e le melodie solari e mai così scanzonate di 'Come Undone' e 'Nomadic'. Niente male anche il rock stradaiolo di 'Degenerated', certe atmosfere à la Sunset Boulevard ('Back On The Juice') e il tributo ai compagni Hellacopters che si materializza, quasi per caso, sulle note di 'Voodoo Love Bow'. Nell'album più eterogeneo e ben confezionato della storia dei Backyard, c'è spazio anche per il lentone finale, sicuramente non a livello del suo corrispettivo in 'People Like...' ('Roads') ed un paio di passi, peraltro piuttosto riusciti, verso un'eventuale riavvicinamento allo spirito di 'Total 13' ('Where Were You', 'Zoe Is A Weirdo'). Toppato invece il primo singolo, 'Fuck Off And Die', lasciato alle cure vocali di Dregen, quando invece Nicke Borg ha dimostrato di essere in forma come non mai. Le potenziali hit-single non mancano, quindi poco male. Magari la prossima volta partite direttamente da 'Abandon', e chi s'è visto s'è visto.
RECENSIONE/BACKYARD BABIES
CERTEZZA BACKYARD BABIES- Svezia, reparto scan-rock: per una band che se ne va (The Hellcopters), ce n'è subito un'altra pronta a confermare il proprio inossidabile stato di grazia. Sto parlando ovviamente dei Backyard Babies, ridente quartetto che ha vissuto in prima linea l'intera genesi del movimento rock'n'roll scandinavo, per poi fulminare mezza Europa dando alle stampe, nel lontano '98, il colossale 'Total 13'. I nostri da allora hanno sempre giocato sul sicuro, sbagliando poco e rischiando ancora meno, forti di una line-up indistruttibile e di una formula semplice quanto poco dispendiosa in termini di impegno creativo (così almeno sembra). Arriviamo prontamente a oggi: 'Backyard Babies'. Con un titolo del genere, era lecito aspettarsi un disco cocciutamente identitario, un best-of di inediti che non si discostasse troppo dal sentiero tracciato negli ultimi dieci anni da Dregen e soci. Niente di tutto ciò. Sembra infatti che in quel di Stoccolma tiri un'aria nuova, e che le correnti d'oltreoceano abbiano in qualche modo condizionato la genesi del sesto pargolo di casa Backyard. E i risultati, concedetemelo, hanno dello stupefacente. Prendete ad esempio 'Abandon', di gran lunga la miglior traccia del lotto: qui i richiami al romantic-punk a stelle e strisce sono fortissimi (e guai a chi storce il naso!), in un pezzo che ammalia già dalla partenza soft, per poi esplodere in uno di quei ritornelli semplici e cantabili, un'autentica manna dal cielo per gli amanti di certe melodie pop/rock. La presenza dietro al mixer di uno come Jacob Hellner (Rammstein) avrà in qualche modo influito su questo piccolo, quanto gradito, cambio di rotta? Chi lo sa. Nel dubbio io mi godo dei suoni a dir poco perfetti e le melodie solari e mai così scanzonate di 'Come Undone' e 'Nomadic'. Niente male anche il rock stradaiolo di 'Degenerated', certe atmosfere à la Sunset Boulevard ('Back On The Juice') e il tributo ai compagni Hellacopters che si materializza, quasi per caso, sulle note di 'Voodoo Love Bow'. Nell'album più eterogeneo e ben confezionato della storia dei Backyard, c'è spazio anche per il lentone finale, sicuramente non a livello del suo corrispettivo in 'People Like...' ('Roads') ed un paio di passi, peraltro piuttosto riusciti, verso un'eventuale riavvicinamento allo spirito di 'Total 13' ('Where Were You', 'Zoe Is A Weirdo'). Toppato invece il primo singolo, 'Fuck Off And Die', lasciato alle cure vocali di Dregen, quando invece Nicke Borg ha dimostrato di essere in forma come non mai. Le potenziali hit-single non mancano, quindi poco male. Magari la prossima volta partite direttamente da 'Abandon', e chi s'è visto s'è visto.
BACKYARD BABIES
I Backyard Babies sono un gruppo glam punk svedese, formato nella città di Nässjö nel 1987. Originalmente il cantante era Tobbe, il chitarrista Dregen, il bassista Johan Blomqvist ed il batterista Peder Carlsson. Dopo la registrazione del primo demo, e qualche esibizione nei locali, nel 1989 Tobbe venne allontanato dal gruppo e sostituito con il cantante attuale Nicke Borg; seguirono 2 demo, con un tour nazionale e nel 1991 esordirono col primo EP Something to Swallow. Firmarono con l'etichetta svedese Megarock nel 1993, e l'anno seguente pubblicarono il loro primo full lenght, Diesel & Power, prima che il chitarrista Dregen formasse un gruppo parallelo, gli Hellacopters. Il loro rock scanzonato e melodico si articolava su brani scritti da Nicke all'età di 14 anni. Nel 1997, il gruppo si riformò per l'album Total 13,ritenuto il loro piccolo grande capolavoro. In esso, come da pieno stile BYB, si trovano canzoni aggressive ed altre più allegre e strafottenti, emiozionanti ballate e schitarrate istintive e dirette. Un punk sound piacevole ed orecchiabile, capace di coinvolgere al primo ascolto. Making Enemies is Good, nel 2001, segna la definitiva e prepotente ascesa di questo gruppo, peraltro 'amico' dei connazionali Hardcore Superstar. La title track è un esempio lampante del loro rock senza fronzoli, trascinante e vivace. Stockholm Syndrome (2003) ha un pò cambiato il loro stile, ammodernandolo e rinfrescandolo. Pezzi come Minus Celsius sono dei cavalli di battaglia entusiasmanti per i fan del gruppo svedese. Non mancano anche i soliti brani lenti e introspettivi. Il 'ritorno alle origini' arriva con People Like Us nel 2006. Un altro grande album per i Backyard, che sembrano non sbagliare un colpo: sugli stessi livelli è infatti anche il nuovissimo Backyard Babies.
RECENSIONE/ ALL HOPE IS GONE (SLIPKNOT)
GRUPPO: SLIPKNOT
ANNO DI USCITA: 2008
TITOLO: All Hope Is Gone
GENERE: Crossover/Numetal ANNO DI USCITA: 2008
Se agli Slipknot mancava davvero qualcosa per accrescere ulteriormente la loro già numerosa schiera di fans, sicuramente questo ‘All Hope Is Gone’ darà il push definitivo al combo di Iowa per entrare di diritto nell’olimpo del metal. E devo dire che a priori qualche preoccupazione c’era: il rischio di un altro fiasco in stile ‘Iowa’ era pur sempre dietro all’angolo, così come la rapida ascesa al successo degli Stone Sour aveva posto più di un dubbio sul reale interesse di Corey Taylor e Jim Root a realizzare questo nuovo disco con la band mascherata. Però, a prodotto finito, non possiamo che tirare un sospiro di sollievo e preparaci al ritorno della Slipknot-mania. L’inizio del disco è devastante, con una ‘Gematria (The Killing Name)’ veloce e diretta al punto giusto e una ‘Sulfur’ che stilisticamente richiama il disco d’esordio dei nove di Des Moines e che sicuramente diventerà uno dei pezzi di punta del platter. Anche il singolo ‘Psychosocial’ è dannatamente azzeccato, e alla lunga con il suo groove eccellente batte il pur bello ma un po’ scontato ‘Duality’ che aveva aperto il precedente ‘Vol 3’. Non mancano anche le influenze degli Stone Sour, progetto parallelo di Corey Taylor e Jim Root, come ad esempio nel caso di una discreta ‘Dead Memories’ o del lento ‘Snuff’ che, con i suoi suoni molto progressivi, si dimostra fin dai primi ascolti ben scritto e coinvolgente. I capitoli più pesanti come ‘Butcher’s Hook’, ‘ This Cold Black’ e la titletrack ‘All Hope is Gone’ sono delle vere manne piovute direttamente dal cielo, in cui la band dimostra di aver perfettamente assimilato le influenze core del momento e di saperle usare in maniera esemplare per incattivire ancora di più il sound che rimane pur sempre in piena matrice Slipknot. Particolare plauso va a ‘Wherein The Lies Continue’, pezzo che mescola in maniera magistrale melodia e cattiveria, forse la vera gemma del disco. Il lavoro perde qualche colpo solo in un paio di pezzi, ‘Gehenna’ e ‘Vendetta’, che risultano a tratti un po’ contorti e poco brillanti, ma del resto è poca cosa se messa a confronto a tutto quello che c’è di buono in questo ‘All Hope Is Gone’. In conclusione si tratta di un ritorno col botto per i mascherati dell’Iowa che invaderanno prepotentemente la classifiche di vendita di mezzo mondo. Ascoltando il disco in anteprima mi aveva lasciato un’ottima impressione; ora a prodotto uscito il giudizio è confermato: ‘All Hope Is Gone’ è un gran disco, da acquistare anche a scatola chiusa da tutti i fans degli Slipknot e del metal americano.
E' ARRIVATO! DEATH MAGNETIC!!
DEATH MAGNETIC. GENERE: Thrash VOTO: 85/10. TRACKLIST: That Was Just Your Life, The End Of The Line, Broken Beat & Scarred, The Day That Never Comes, All Nightmare Long, Cyanide The Unforgiven III, The Judas Kiss, Suicide & Redemption, My Apocalypse.
LA RECENSIONE DI TRUE METAL.IT
DEATH MAGNETIC. I quattro cavalieri cavalcano fianco a fianco, compatti e solenni nel loro incedere fiero, col petto ricoperto di medaglie e qualche cicatrice. Li avevamo lasciati tanti, troppi anni fa, con quel 'Black Album' che sembrava destinato ad essere in eterno l'ultima cartuccia di energia sparata da una band che con i vari 'Kill'Em All' e 'Master Of Puppets' aveva scolpito la leggenda dell'heavy metal. Man mano che gli anni passavano, ci si rendeva sempre più conto di come l'inesorabile declino avesse ormai tagliato le gambe ai quattro di Frisco, e le speranze di un ritorno a livelli accettabili si riducevano sempre più a fioche illusioni. Ma certe volte i vecchi fuochi tornano a soffiare, e quella stessa scossa che generò i Metallica nel lontanissimo 1981 deve aver fatto di nuovo il suo corso. 'Death Magnetic' si infila nello stereo in un misto di curiosità morbosa e timore di trovarsi per le mani un'altra bufala. Ma non è il caso: l'esplosione di potenza che si sprigiona sin dalla prima canzone cancella in un colpo unico anni di critiche, delusioni, accuse e sentenze. Soprattutto, seppellisce sotto una montagna di riff arroventati i vari 'Load', 'Reload' e 'St Anger', trasportando l'ascoltatore allibito indietro di un ventennio. La tecnica feroce che corre sui riff taglienti scaglia in faccia la netta impressione di un bollente incrocio tra la foga di 'Kill'Em All' e la perizia di 'And Justice...'. Sono tornati: questa frase vi tornerà spesso in mente, ascoltando e riascoltando il nuovo classico del combo californiano. I corsi e ricorsi storici che fanno tanto sussultare i fan più accaniti dei 'Tallica si fanno sentire da subito, con l'opener 'That Was Just Your Life' che si apre introdotta da lenta melodia prima di un'allucinante scarica tellurica. Per capirci, proprio come le tracce d'apertura dei dischi capolavoro compresi tra il 1984 e il 1988. La canzone si delinea su decise e potenti accelerazioni ben accompagnate da un drum mai così presente. Ricorda 'Blackned' ed è impreziosita da un assolo isterico da restarci secchi: l'inizio è già di per se un viaggio nel paese delle meraviglie, per chi da tempo fagocitava nelle sue fantasie il tanto chiacchierato ritorno alle origini. La conferma della ritrovata grandeur non tarda ad arrivare. 'The End Of The Line' ha il riff di una di quei pezzi che ogni tanto i Metallica propinavano in sede live, con il titolo di 'New Song' o 'The Other New Song'. Irrobustita, completamente trasformata, la canzone che nasce da quelle note è un'altra prova di forza dei Thrashers della Bay Area. Rallentamenti e ripartenze battenti si susseguono e anticipano 'Broken, Beat & Scarred', la terza traccia del disco. Ancora più trascinante forse, e sempre intrisa dello stile dei Metallica degli esordi. Dopo le tre micce iniziali, arriva il singolo, 'The Day That Never Comes'. Traccia numero 4, lenta e melodica con le rullate, le ripartenze e i picchi rabbiosi che la accendono nel finale: altro amarcord, proprio come 'Fade To Black', 'Welcome Home' e 'One'. Proprio quest'ultima è molto vicina all'attuale discendente, date le tematiche relative al ruolo dell'elemento umano nel contesto drammatico di una guerra. La metà dell'album coincide col capolavoro, 'All Nightmare Long', un qualcosa di straordinario che va a piazzarsi da subito al fianco degli storici cavalli di battaglia. L'introduzione misteriosa è presto arroventata dai riff laceranti che vengono esplosi a velocità disarmante, con l'incalzare di cambi di tempo e atmosfere. Prestazione fantastica dell'inossidabile James, che ci regala una song davvero travolgente. Una song che ha sprazzi di 'Damage Inc', ancora pregna dei classici riff spezzati, e della foga martellante di un Lars Ulrich mai così completo e dedito alla doppia cassa! La successiva 'Cyanide' mantiene alti gli standard dell'album, con un ritornello accattivante e un mega assolo piazzato a fine brano. 'The Unforgiven III' è il sequel delle due celebri ballate degli anni'90. Ma se i primi due capitoli della saga erano musicalmente molto simili tra loro, questo ultimo episodio se ne discosta alquanto, pur senza perdere in emotività e passione, scaturite più dalla prova di HetfieldGod che dalla musica. Rabbia e cattiveria si esaltano irrefrenabili anche nelle conclusive 'The Judas Kiss' e 'My Apocalypse', inframmezzate da una buona strumentale ('Suicide & Redemption') che, come ai tempi di 'Orion' e compagne, è scandita da un tosto refrain iniziale successivamente alternato ad una vertiginosa parte melodica centrale. In particolare 'My Apocalypse' esprime una furia ed una potenza devastanti, stagliate con ferocia schizofrenica su un velocissimo spartito di riffs e martellate debordanti. Il pregio più bello di quest'album è quello di scatenare un headbanging naturale fin dal primo ascolto: come se fosse già intrinseco nel dna di chi fa dei Metallica la propria bandiera, 'Death Magnetic' viene assimilato all'istante da questi ultimi, andandosi ad affiancare ai classici immortali del combo americano. Finalmente tornano a farla da padrone assoli di livello assoluto, che Kirk Hammett sforna con una maestria ed una partecipazione forse ancor più elevate rispetto agli anni d'oro; di certo la batteria oscena sentita su 'St Anger' è stata depennata, a scapito di uno stile assolutamente devastante rispetto agli antichi canoni del buon Lars. L'opera è completata dalla partecipazione di Robert Trujillo (al primo studio album con la band) e, ovviamente, dalla solita grandissima performance di James e della sua voce inconfondibile. Il voto all'album merita una considerazione: è un'opinione a se stante, non vuole dire che è meglio o peggio di questo o quel vecchio lavoro della band. I Metallica sono dunque tornati, e quando i Maestri scendono in campo non ce n'è più per nessuno!
LA RECENSIONE DI TRUE METAL.IT
PINO SCOTTO
PINO SCOTTO. Spiegare un personaggio come Pino Scotto non è facile. Ci sono talmente tante cose da dire che si rischia di tralasciarne troppe. Innanzitutto si può distinguere la Scottologia in tre grossi capitoli. Il primo, la musica: quando l'heavy metal muoveva i primi passi in Inghilterra e i Metallica (per dirne uno a caso) ancora dovevano pubblicare Kill'Em All, Pino Scotto portava in Italia questo genere musicale suonandolo con i suoi Vanadium. Cosa assurda visti i tempi, e considerato che ancora oggi in Italia il metal è genere di nicchia, sconosciuto se non censurato. Visto con ignoranza e distacco, nel paese dove Little Tony e Pappalardo campano cent'anni con una canzone, nel paese dove furoreggiano le hit dei bimbiminkia (i Finley, i Dari!!) e dove la musica sembra basarsi esclusivamente sui testi e le voci, tenendosi ben distanti dalla vasta dimensione creata e creabile dagli strumenti, dai riff, da composizioni un pochino più complicate da suonare e da amare. Pino ha creato il metal italiano, cantando in inglese e portando con orgoglio la bandiera tricolore nel mondo del metallo. Il secondo capitolo riguarda il personaggio in quanto tale: perchè dopo i Vanadium e la carriera solista, Pino è diventato una vera icona dei rockettari nostrani sparando a zero su tutto ciò che è finto, che è 'mondo di plastica', che è 'musica di merda' ma non solo, esponendosi su Rock TV come santone capace di distribuire commenti per tutto e tutti con uno stile tutto suo. Uno stile aggressivo e capace di fa sbellicare dalle risate, diretto e orgoglioso, senza mezzi termini, per diventare portabandiera del popolo di metallo ma anche di chi subisce ingiustizie e con la musica non c'entra nulla (feroci le sue strigliate ai pedofili). Ormai sono storici i suoi intercalari: 'hai capito?' ripetuto a dismisura, 'allucinante' attribuito associato ad ogni sostantivo, 'datevi fuoco' e 'vaffanculo' vari contro i 'coglioni' da detestare. Il terzo capitolo è un breve viaggio nella biografia di Pino, per ripercorrere i fasti di quello che resta soprattutto un grandissimo cantante. Ci aiuta, a riguardo, Wikipedia.
Giuseppe Scotto Di Carlo, conosciuto come Pino Scotto (Monte di Procida, 11 ottobre 1949) è un cantante heavy metal italiano, noto per aver militato nei Vanadium, per la sua carriera solista e per essere l'attuale cantante e frontman dei Fire Trails. Parallelamente alla sua carriera musicale, è noto per le sue opinioni, spesso condite da un linguaggio colorito ed esplicito, con cui Scotto si scaglia contro la politica italiana, il mondo dello spettacolo e l'industria musicale, rivolgendosi a tutti quegli artisti che, a parer suo, si fanno corrompere per ottenere un facile successo. Viene spesso paragonato ad Ozzy Osbourne data una certa somiglianza fisica, sebbene lui non gradisca questo accostamento. Influenzato marcatamente dal blues, comincia la sua carriera verso la fine degli anni '70, quando incide il primo 45 giri con i Pulsar; poco tempo dopo diviene il frontman del gruppo heavy metal Vanadium, con i quali incide otto album e con cui intraprende regolarmente tour italiani ed esteri. Il debutto, Metal Rock (1982), che risente dell'influenza dei Deep Purple, riscuote buon successo di critica e di vendite, come il seguente, A Race With the Devil (1983). Con Game Over (1984) la band raggiunge la cifra record di 54.000 copie vendute solo in Italia. In seguito al fallimento della loro etichetta, il gruppo vede interrompere bruscamente la scalata verso il successo dell'ultimo lavoro in studio Corruption of Innocence (1987, ma riesce ugualmente a riprendersi dando alla luce l'album Seventheaven, orientato sul versante del rock americano, molto in voga in quel periodo. In questo lavoro Pino addolcisce notevolmente il timbro della sua voce. La distribuzione e la promozione di questo LP, però, risentono dello scarso supporto offerto dalla nuova etichetta. Dopo quest'ultima esperienza la band decide di prendersi una pausa: fra il 1990 ed il 1992 Pino Scotto realizza il suo primo album solista in lingua italiana, Il Grido Disperato di Mille Bands ed intraprende un tour con il suo Jam Roll Project, che lo vede ospite anche sul palco del Monsters of Rock, dove divide la scena, fra gli altri, con Black Sabbath, Megadeth, Iron Maiden, Pantera e Testament. Successivamente, nell'ambito della rassegna "Spazio D'Autore" gli viene consegnato il Grammy per l'album e la credibilità del personaggio. Nel 1993 inizia a collaborare con con cui forma il "Progetto Sinergia" e realizza un album omonimo nel 1994. Nel 1995 pubblica un nuovo disco insieme ai Vanadium, Nel Cuore del Caos, cantato in italiano. Nel 2000 pubblica l'album Guado, articolato in undici pezzi, in cui l'artista si avvale della collaborazione di Zoia, di membri di band come Extrema e Timoria e di artisti di livello internazionale come la cantante Aida Cooper ed il sassofonista Claudio Pascoli. È stato presentato in anteprima, insieme al Singolo & Videoclip Come noi pezzo a cui hanno partecipato J-Ax e gli Extrema, il 21 marzo 2008 l'ultimo album solista Datevi fuoco (lo Scotto da pagare) che contiene, oltre a 12 brani in italiano, la biografia di Scotto stesso: 180 pagine scritte e curate graficamente da Norman Zoia. Nel mese di settembre 2009 è stato rilasciato il primo DVD dedicato a Pino Scotto, Outlaw - Now 'n Ever, contenente un intero concerto live registrato in aprile, una video intervista con Elena Di Cioccio e foto-video promozionali. In occasione del sessantesimo compleanno dell'artista, Tsunami Edizioni ha pubblicato Fottetevi Tutti! La vita e il rock di Pino Scotto di Cristiano Canali, un libro-intervista che ripercorre la vita, la carriera, i pensieri e le critiche del rocker italiano, con il contributo di numerosi artisti e personaggi celebri dello spettacolo. Nel 2003, Pino Scotto torna sulle scene creando un nuovo gruppo, i Fire Trails. Con questa nuova band ha pubblicato due album: Vanadium Tribute (2002) e, nel 2005, Third Moon. Pino Scotto collabora con la rivista specializzata "Hard!", su cui tiene la rubrica "Way to rock" in cui esprime le proprie opinioni riguardo al mercato della musica ed altri argomenti di attualità. Ogni martedì partecipa gratis (stando alle sue dichiarazioni) come conduttore al programma TV "Database", in onda su Rock TV. Durante la trasmissione, una voce sintetizzata legge gli sms inviati dagli spettatori, i quali chiedono a Pino opinioni riguardanti il mondo della musica: una buona percentuale di questi riguarda artisti lontani dal mondo del rock, oppure appartenenti a questo genere ma 'colpevoli di alcuni comportamenti controversi, che si spera scatenino i commenti al vetriolo del conduttore. E' proprio grazie a questa trasmissione che il suo ruolo di opinionista ha ottenuto una fama, parallela, se non superiore, a quella di cantante, grazie alla diffusione di questi spezzoni su Youtube, che ne ha permesso la visione anche a chi non possiede la piattaforma Sky. Ad esempio ha ottenuto grandissima notorietà il video in cui Pino Scotto insulta pesantemente i Tokyo Hotel, che ha suscitato l'ira delle loro fans e l'apprezzamento di chi invece non ama la band.
Le opinioni di Pino, pur riguardando in gran parte il mondo del rock, non vanno considerate alla luce di una sua presunta chiusura mentale verso gli altri generi: egli infatti non esita riconoscere la bravura o l'importanza di artisti che, anche se appartenenti a generi lontani dal suo, hanno realizzato buona musica o comunque hanno avuto grande importanza. Tuttalpiù, molto umilmente, il cantante ammette di non conoscerli a sufficienza per poterli giudicare o di non apprezzarne particolarmente la musica per questione di semplici gusti personali, ma non per questo si sente di sminuirne la qualità. Le accuse che Pino lancia verso il mondo del music business, sono rivolte in parte ai discografici che lo manovrano, ma soprattutto a quegli artisti che, pur di ottenere il successo, si rendono complici di questo sistema, rinunciando alla qualità della musica o rinnegando quella delle loro origini. Tuttavia, talvolta Pino sembra cadere in contraddizioni abbastanza pesanti, bollando negativamente comportamenti di cui lui stesso sembra rendersi partecipe, come le reunion o collaborazioni con artisti lontani dal mondo del rock ritenuti "commerciali". Altre sembra voler criticare per il solo gusto di farlo e alimentare quindi quello che è il suo personaggio. Un altro bersaglio del cantante sono gli artisti che ritiene creati a tavolino (i già citati Tokio Hotel, ma anche Mika o My Chemical Romance), oppure artisti come Manowar o Marilyn Manson, per via dei loro atteggiamenti eccessivamente appariscenti che, oltre a mettere in ridicolo il mondo del rock, puntano principalmente sulla loro immagine rispetto alla musica. Ovviamente rientrano nelle sue critiche anche artisti italiani come Vasco Rossi e Ligabue, accusati di aver raggiunto il successo attraverso un sacco di compromessi e "colpevoli" di non aver mai provato la fatica di andare a suonare alla sera dopo aver passato la giornata a lavorare duramente, oppure di "non aver mai preso una posizione" come invece ha fatto lui. Pino attacca quasi completamente le ‘reunion’, soprattutto se di band private di elementi fondamentali (Queen, Guns’n’Roses) e ancor più se avvenute, a suo giudizio, per esclusivi motivi commerciali e in seguito a diverbi pesanti, come per gli Iron Maiden. Addirittura Pino parla di scazzottate e aneddoti non raccontabili sugli Iron Maiden tra Harris e Dickinson. Non mancano le sue piccanti opinioni sulla politica, la pedofilia e l’opulenta vita di plastica che la tv vuole spacciarci come felice realtà: da studio aperto a ‘lucifero’, Pino non risparmia fuoco per i vip costruiti (Briatore, le donnine ai programmi di calcio, i calciatori velinari, i frquentatori del Bilionaire, i programmi dementi come ‘Buona Domenica’ e tutta la spazzatura nei canali nazionali) e per chi offende e deride i suoi ascoltatori, colpevoli di essere amanti di un tipo di musica ritenuto marginale e ‘tossico’ dalla massa. Le sue dichiarazioni, cariche di parolacce ed espressioni gergali, lo hanno reso un personaggio molto amato, ma anche molto contestato. Per via delle sue continue critiche a 360°, spesso gli ascoltatori scrivono alla sua trasmissione sms carichi di critiche e insulti (parafrasando il suo tipo di linguaggio), probabilmente anche solo per vedere la sua reazione. PINO SCOTTO LIVE!
Le opinioni di Pino, pur riguardando in gran parte il mondo del rock, non vanno considerate alla luce di una sua presunta chiusura mentale verso gli altri generi: egli infatti non esita riconoscere la bravura o l'importanza di artisti che, anche se appartenenti a generi lontani dal suo, hanno realizzato buona musica o comunque hanno avuto grande importanza. Tuttalpiù, molto umilmente, il cantante ammette di non conoscerli a sufficienza per poterli giudicare o di non apprezzarne particolarmente la musica per questione di semplici gusti personali, ma non per questo si sente di sminuirne la qualità. Le accuse che Pino lancia verso il mondo del music business, sono rivolte in parte ai discografici che lo manovrano, ma soprattutto a quegli artisti che, pur di ottenere il successo, si rendono complici di questo sistema, rinunciando alla qualità della musica o rinnegando quella delle loro origini. Tuttavia, talvolta Pino sembra cadere in contraddizioni abbastanza pesanti, bollando negativamente comportamenti di cui lui stesso sembra rendersi partecipe, come le reunion o collaborazioni con artisti lontani dal mondo del rock ritenuti "commerciali". Altre sembra voler criticare per il solo gusto di farlo e alimentare quindi quello che è il suo personaggio. Un altro bersaglio del cantante sono gli artisti che ritiene creati a tavolino (i già citati Tokio Hotel, ma anche Mika o My Chemical Romance), oppure artisti come Manowar o Marilyn Manson, per via dei loro atteggiamenti eccessivamente appariscenti che, oltre a mettere in ridicolo il mondo del rock, puntano principalmente sulla loro immagine rispetto alla musica. Ovviamente rientrano nelle sue critiche anche artisti italiani come Vasco Rossi e Ligabue, accusati di aver raggiunto il successo attraverso un sacco di compromessi e "colpevoli" di non aver mai provato la fatica di andare a suonare alla sera dopo aver passato la giornata a lavorare duramente, oppure di "non aver mai preso una posizione" come invece ha fatto lui. Pino attacca quasi completamente le ‘reunion’, soprattutto se di band private di elementi fondamentali (Queen, Guns’n’Roses) e ancor più se avvenute, a suo giudizio, per esclusivi motivi commerciali e in seguito a diverbi pesanti, come per gli Iron Maiden. Addirittura Pino parla di scazzottate e aneddoti non raccontabili sugli Iron Maiden tra Harris e Dickinson. Non mancano le sue piccanti opinioni sulla politica, la pedofilia e l’opulenta vita di plastica che la tv vuole spacciarci come felice realtà: da studio aperto a ‘lucifero’, Pino non risparmia fuoco per i vip costruiti (Briatore, le donnine ai programmi di calcio, i calciatori velinari, i frquentatori del Bilionaire, i programmi dementi come ‘Buona Domenica’ e tutta la spazzatura nei canali nazionali) e per chi offende e deride i suoi ascoltatori, colpevoli di essere amanti di un tipo di musica ritenuto marginale e ‘tossico’ dalla massa. Le sue dichiarazioni, cariche di parolacce ed espressioni gergali, lo hanno reso un personaggio molto amato, ma anche molto contestato. Per via delle sue continue critiche a 360°, spesso gli ascoltatori scrivono alla sua trasmissione sms carichi di critiche e insulti (parafrasando il suo tipo di linguaggio), probabilmente anche solo per vedere la sua reazione. PINO SCOTTO LIVE!
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