I giovanissimi Black Tide si ispirano ai loro miti e confezionano un cd vivace e piacevole, anche se non troppo innovativo.
Destinati a dividere fin da subito: è ciò che spetta a quelle band di ragazzini che si lanciano nel mondo del music business riadattando ai tempi moderni le sonorità dei gruppi storici del genere. Questo è anche il caso dei Black Tide, e il risultato è quello di una band ricoperta di elogi su un fronte (quello delle case discografiche e delle riviste patinate) e additati come scopritori dell'acqua calda dall'altro (quello dell'ascoltatore medio e dei critici più obbiettivi). Come spesso accade la verità sta nel mezzo, e dunque ci ritroviamo tra le mani un combo di vivaci ragazzini (il cantante Gabriel Garcia ha 15 anni!) che rispolvera un heavy di stampo classico con lievi elementi thrash, infilando una serie di canzoni niente male ma sicuramente riconducibili alle influenze più ovvie: Metallica e Iron Maiden, su tutte. Il risultato è 'Light from Above', lavoro energetico e piacevole, con alcune canzoni davvero interessanti ma nel complesso molto simili tra loro e a qualche celebre "antenata". L'opener 'Schockwave' inizia con un riff accattivante che però assomiglia parecchio a quello di una certa 'Seek & Destroy'. Il pezzo è orecchiabile ed ha un ritornello travolgente, che ne fa la punta di diamante del disco. 'Shout' è un altro pezzo forte, una bella mescolanza di potenza e melodia che cattura col suo ritmo avvincente. In 'Warriors of Time' prevale l'epica, scandita da coretti curiosi. I tre pezzi che seguono sono carini, anche se non rappresentano nulla di trascendentale (anzi, 'Let Me' è fin troppo ripetitiva): si passa così direttamente ai rintocchi di campana che scandiscono 'Enterprise', più dura e matura. A questo punto l'album ha già detto quasi tutto. Delle cinque tracce finali meritano una citazione la title track, cadenzata e solenne prima di un ritornello appassionante, e la cover metallichiana 'Hit The Lights'. L'esecuzione di quest'ultima è però fin troppo certosina, e manca della rabbia necessaria che invece grondava dalle fauci dell'imberbe Hetfield. Nel complesso la prova dei quattro baby metallers si rivela positiva, nonostante si ecceda in pulizia e ordine. Garcia al microfono se la cava molto bene, anche se lascia percepire l'ancor giovane età. Molto buona l'impressione destata da certi riff chitarristici e dalla costanza non invadente di Steven Spence alla batteria. L'album sarebbe ancora più interessante se i nostri si servissero di spunti meno abusati, magari spruzzando un po' di cattiveria in un sound che di suo risulta già abbastanza piacevole e "colorato".
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