CAPITOLO SECONDO: DAL 1990 AD OGGI
I Judas Priest avevano fatto la storia dell'heavy metal, a cavallo tra anni settanta ed anni ottanta: colate di metallo, bordate al fulmicotone, duetti di chitarra da delirio, un genere creato, plasmato, rivoltato a piacimento, come un calzino, dalle sonorità eroiche e devastanti al look di pelle, borchie e catene introdotto da Rob Halford, lo screamer per antonomasia; eppure, il finale di decennio aveva portato una fisiologica flessione, coincisa con un paio di dischi meno fortunati. Chi dava pèer morta la band di Birmingham, però, sarebbe presto stata travolta da una nuova scarica di potenza straordinaria. Nel 1990 esce infatti l'album del prepotente ritorno dei bikers inglesi ai loro livelli massimi, 'Painkiller'. L'album mostra notevoli cambiamenti: le sonorità sono diventate nettamente più feroci e moderni rispetto a quelle dei capitoli precedenti, i riff di chitarra e gli assoli acquistano una grande potenza, la voce di Halford diventa più cattiva e stridula. Ma il fattore che ha distinto il nuovo corso del gruppo è il drumwork di Travis, che dona linfa vitale allo stile del quintetto con il suo uso sferzante di doppia cassa. Sebbene questa era anche usata negli album precedenti del gruppo, con Painkiller diventa un elemento molto marcato e, unita alle ottime capacità del batterista, dà un grande tocco a pezzi come l'apocalittica titletrack, o l'epica 'Night Crawler'. Restano immortali certi riff da follia tracciati come fulmini da Downing e Tipton, all'apice della loro evoluzione tecnica: i due chitarristi sono degli esecutori straordinari, come sempre, capaci di sferrare attacchi frontali di impatto e melodia deliranti e travolgenti nonostante l'elevatissimo fatturato qualitativo, attraverso la debordante prova d'orgoglio 'Leather Rebel' come nel tapping lancinante di 'Metal Meltdown'. Il disco desta grande entusiasmo, ed entra di diritto nei classicissimi dei Priest. La tournée dell'album venne intrapresa con Megadeth, Sepultura e Pantera. Terminato il tour, purtroppo, nel gruppo sorsero forti dissidi che culminarono con l'inaspettata uscita di Halford dal gruppo. Di ragioni ne sono state raccontate tante: si dice che abbandonò per le condizioni fisiche non buone , che andò via perché sconvolto dal suicidio di due fans dei Judas Priest, oppure che lasciò il gruppo perché stavano circolando troppe voci sulla sua omosessualità [che verrà rivelata, dallo stesso cantante, nel 1998]. L'uscita di Halford fu un grande cruccio per il gruppo e per i loro fans che erano ormai affezionati al suo carisma e alla sua voce e il cantante si dedicherà ad altri progetti musicali. Per circa cinque anni, i Judas Priest rimasero inattivi e non si è mai capito se si fossero sciolti o meno, in quanto il gruppo non rilasciò mai comunicati riguardanti questa situazione. Dopo un lungo periodo di smarrimento, i restanti membri decisero dopo varie audizioni di sostituire Halford con Ripper Owens. Il caso di 'Ripper' Owens rappresentò un episodio più unico che raro nel panorama musicale mondiale, essendo stato scelto dopo che Scott Travis assistette a un concerto della cover band di Owens, un tributo ai Judas Priest, e venne in possesso di un nastro demo. Da fan sfegatato a cantante della band, Owens non rapì il cuore dei fans come seppe fare Halford. Resta però il singer del cazzutissimo Jugulator, che tocca picchi di thrash metal: la musica è diventata ancor più aggressiva di quella contenuta in Painkiller e la struttura dei brani più lunga e complessa. Per molti, Owens seppe reggere ottimamente il paragone con Halford per ciò che concerne le doti vocali ma, nonostante ciò, il nuovo stile della band non venne apprezzato da tanti. Nel 2001 uscì Demolition, più molle e di poca incisività: ormai era al tramonto l'era Owens; The Ripper fece spazio senza problemi al ritorno di Halford, invocato dai fans a gran voce. I componenti del gruppo dichiararono in molte interviste che non si sarebbero più ricongiunti con lui ma, spinti probabilmente a recuperare i nostalgici del celeberrimo singer, annunciarono nel 2003 il suo ritorno nelle fila della band. Questo evento venne festeggiato con Metalogy, un cofanetto di 5 dischi che raccoglie i loro maggiori successi. Nel 2004 i Judas Priest intrapresero un tour europeo insieme ai celebri Scorpions di grande successo con il ritornato Halford e fecero da headliner all'Ozzfest dello stesso anno. Nel 2005, il gruppo diede alle stampe 'Angel of Retribution', che segna il ritorno dei Priest al suono più classico e che riscosse buoni pareri dalla critica, grazie al suo stile classicamente heavy, epico e melodico, caratterizzato da buoni riffs di chitarra e calde sezioni soliste.

L'uscita, nel 2008, del concept album Nostradamus, epico, solenne e orchestrale, dimostra che i Judas possono fare con successo qualsiasi cosa, abbandonando in parte l'heavy veloce e apocalittico per orientarsi su coordinate più riflessive, barocche. L'ennesima medaglia al petto di una band leggendaria, e che nell'inverno 2010, dopo quarant'anni di heavy metal, annuncia il tour d'addio: 'Dopo aver suonato per 40 anni e dopo aver portato l’heavy metal in ogni parte del globo, Judas Priest, una delle heavy metal band più influenti di tutti i tempi, annunciano che questo sarà il loro ultimo tour! Certamente, i grandissimi Judas Priest saranno più in forma che mai in occasione del loro tour mondiale d’addio che avverrà nel 2011. La band toccherà le città più grosse ed eseguirà i brani che hanno scritto la storia dell’heavy metal e che hanno reso Judas Priest sinonimo di leggenda! Con gli ampli al massimo e la forza che la contraddistingue, la formazione inglese regalerà ai suoi fans la possibilità di vederli per l’ultima volta in assoluto e di assistere ad una vera e propria esperienza nel nome del metal'. Eppure, il tanto atteso tour d'addio viene guastato in aprile da una notizia clamorosa: l'addio del chitarrista e co-fondatore KK Downing, che decide in modo iaspettato ed inspiegabile di ritirarsi nel momento più inopportuno, scatenando le ire e i dispiaceri dei fans che, giustamente, gli rimproverano questo gesto, probabilmente plateale, teso forse a smascherare qualche dissidio recente. Dalla band, invece, giungono esternazioni di amicizia e comprensione, tese a smorzare ogni polemica. E' Rob Halford a parlare. 'K.K. ha preso da solo la decisione di lasciare la band per le ragioni che ha reso pubbliche attraverso il suo sito. Ci siamo divertiti molto durante il tour di 'Nostradamus' ma K.K. ha la sua vita e non possiamo costringerlo a fare qualcosa che non vuole fare. Ci informò della sua decisione prima di Natale. Io ho pensato che potesse essere la fine. Dal punto di vista emotivo per me è stato molto, molto difficile. Quando K.K. disse che pensava di ritirarsi, Glenn fu il primo a mandargli una email per dirgli, 'Ken, spero tu sia OK. Se hai bisogno di qualcosa, fammi sapere'. Abbiamo tenuto aperta la porta per tutto questo tempo nel caso Ken cambiasse idea ma il tempo passava. K.K. è insostituibile, unico e non volevamo una sua copia. Richie Faulkner è andato a casa di Glenn per una jam e Glenn semplicemente mi ha detto che era fantastico'. La band calca dunque le assi dei palchi europei, compreso quello del Gods of Metal, dimostrandosi in gran forma e salutando i propri fans con prestazioni di livello nel quale viene rivisitata tutta la carriera, pescando brani da tutti gli album pubblicati, nel tripudio generale di adepti di ogni generazione. Non sarà, tuttavia, il vero epitaffio di una carriera memorabile: a sorpresa, e contrariamente a quanto annunciato, infatti, la band rinnova anche nell'anno successivo la sua attività live.

DISCOGRAFIA COMMENTATA

Discografia commentata. 1974 Rocka Rolla: Il debutto dei Judas Priest è un lavoro lontano da ciò che saranno in seguito i Metal Gods: un album più vicino al prog e al rock che non all'heavy metal. 1946 Sad Wings Of destiny: Il secondo album è un grande passo verso l'alba dell'heavy metal moderno: un classico ancora oggi ritenuto fondamentale nell'evoluzione del genere. 1977 Sin After Sin: Continua il percorso verso la creazione del sound tipico dell'heavy metal. Sin After Sin è un ulteriore irrobustimento che per l'epoca era davvero heavy! 1978 Stained Class: Stained Class è un album che ha plasmato la storia dell'Heavy Metal targato 'seventy', indiscussa pietra miliare per la carriera di una band che ha fatto la storia della nostra musica più di chiunque altri. 1979 Killing Machine: I Judas Priest fagocitano leggende di metallo in serie: gli anni '70 si concludono con Killing Machine, trainato dalla mitologica Hell Bent For Leather! 1980 British Steel: Il momento è caldo ed il combo è pronto a sferrare un colpo come British Steel, monumento all'acciao inglese e primo esempio di heavy metal moderno. Si guadagna in velocità e si sperimentano nuove soluzioni. 1981 Point Of Entry: Dopo il trionfo (British Steel), i Judas Priest si cimentano in sonorità più sperimentali e accessibili, sempre mantendendosi sui loro sentieri heavy. 1982 Screaming for vengeance: I mitici Judas Priest ci regalano un altro disco eccezionale, sia per il suo valore storico che per la freschezza e l'originalità delle canzoni; incredibile, vulcanico e assolutamente immancabile a chi vive per l'Heavy Metal. 1984 Defenders Of The Faith: Anche se l'energia dell'album non esplode come nel precedente 'Screaming For Vengeance', si tratta indubbiamente di un'altra perla della band inglese, che rimarrà negli annali della storia dell'Heavy Metal. Essenziale. 1986 Turbo: Svolta glam nella carriera dei Judas Priest, che sperimentano soluzioni diverse dal passato. Ma è solo una parentesi. 1988 Ram It Down: Abbandonate le novità glam di 'Turbo', i Judas ritornano al loro heavy classico. La carriera della band torna a lievitare verso lidi stellari pur con un album non eccezionale. 1990 Painkiller: È ritenuto uno degli album più rappresentativi della carriera del quintetto britannico, oltre che di tutto il movimento heavy metal. In questo disco è forse concentrato il significato stesso del movimento. Potentissimo, travolgente, heavy al diecimila per cento. 1997 Jugulator: Dopo l'addio di Halford i Judas Priest tornano con un sound completamente diverso dal classico Heavy a cui si era abituati: una svolta thrash con inserti eletronici. 2001 Demolition: Il secondo album dei Judas Priest con Owens alla voce non è all'altezza della band. E' arrivato il momento del ritorno del MetalGod! 2005 Angel Of retribution: Il ritorno del Metal Rob Halford nei Judas Priest segna anche un ritorno al vecchio caro stile della band. 2008 Nostradamus: Gli eterni Judas Priest si lanciano in un complesso concept album su Nostradamus: risultato di gran classe con diversi elementi di novità nella loro musica.


JUDAS PRIEST DISCOGRAPHY


PRIEST NEWS

PRIEST NEWS! I JUDAS AL GODS OF METAL 2008. Evento spettacolare che vede sul palco, oltre ai Priest, Testament, Slayer, Iron maiden e tanti altri! 'HALFORD E' SEMPRE IL MIGLIORE!' Il chitarrista dei Judas Priest, Glen Tipton, durante un’intervista con Classic Rock, ha risposto ad alcune domande sulla salute vocale di Rob Halford. PRIESTFEST 2009 (Milano, Italy). Gli anni passano inesorabilmente ma la passione per i Judas Priest riesce sempre a portare migliaia di fan ad ogni concerto della leggendaria band inglese. JP, ANNUNCIATO IL TOUR D'ADDIO. Dopo aver suonato per 40 anni e dopo aver portato l’heavy metal in ogni parte del globo, Judas Priest, una delle heavy metal band più influenti di tutti i tempi, annunciano che questo sarà il loro ultimo tour! Certamente, i grandissimi Judas Priest saranno più in forma che mai in occasione del loro tour mondiale d’addio che avverrà nel 2011. La band toccherà le città più grosse ed eseguirà i brani che hanno scritto la storia dell’heavy metal e che hanno reso Judas Priest sinonimo di leggenda! Con gli ampli al massimo e la forza che la contraddistingue, la formazione inglese regalerà ai suoi fans la possibilità di vederli per l’ultima volta in assoluto e di assistere ad una vera e propria esperienza nel nome del metal!!! GODS OF METAL 2011: EPITAPH TOUR [22 GIUGNO 2011]. E’ un Gods mono-giorno, che anticipa di poco il grande evento del Sonisphere e ne è forse surclassato in importanza, ma di certo l’evento dell’Epitaph Tour dei Metal Gods Judas Priest saprà richiamare un pubblico numeroso. 10 PUNTI PER CAPIRE I JUDAS PRIEST.


THE FINAL FRONTIER

IRON MAIDEN [HEAVY METAL], 2010
Gli Iron Maiden si sono fatti attendere per quattro lunghi anni prima di dare alla luce il successore del controverso 'A Matter Of Life And Death'. La svolta stilistica della band, che dalla reunion con Bruce Dickinson ha virato sempre più verso una ricetta composta da brani lunghi, epici e strutturati, infarciti da soluzioni al limite del progressive, ha spaccato a metà il giudizio dei fan, divisi tra sostenitori del nuovo corso ed irriducibili nostalgici dell’immediatezza dei fasti passati. Il nuovo 'The Final Frontier' non dà segni di ritorno al passato, ma prosegue quelle che sono le sonorità maideniane del nuovo millennio. Rispetto al predecessore si dimostra certamente meno cupo. L’intro 'Satellite 15' vede Bruce Dickinson in veste di narratore, accompagnato da potenti percussioni che sovrastano le chitarre per creare le giuste emozioni prima dell’opener vera e propria, la title track. Il sound del pezzo è ben lontano dal classico metal dei Maiden, riff e melodie gli conferiscono una veste più rock, quasi come se provenisse da uno dei vecchi dischi solisti dell’Air Raid Siren. Con 'El Dorado' arrivano le prime noti dolenti. La canzone scelta dalla band come singolo apripista si rivela una delle meno convincenti ed ispirate, l’energia sprigionata di assesta sui minimi storici della discografia maideniana [chi ricorda 'Angel And the Gambler'?] a causa di strofe fiacche ed un refrain assolutamente noioso, scontato e poco avvincente. Inoltre i sette minuti di durata sono davvero troppi, anche se la band ritrova il suo heavy metal sound tradizionale. Nonostante la partenza senza il botto, 'The Final Frontiers' si risolleva con 'Mother Of Mercy', un mid tempo che inizia con soavi linee vocali per poi esplodere al secondo minuto. La voce di Dickinson tuona in tutta la sua magnificenza e riesce a rendere appetibile anche il refrain abbastanza scontato. E’ sempre il cantante inglese a fare scintille su 'Coming Home', una ballad intensa ed epica dalle melodie vincenti che pare perfetta per la maestosa voce di Bruce. Il ritornello questa volta è irresistibile, accompagnato da un assolo squisitamente rock che lascia a bocca aperta, il pezzo si candida tra i meglio riusciti dell’intero lavoro. Finalmente con 'The Alchemist' ritroviamo gli Iron Maiden più classici, quelli dei brani veloci, delle cavalcate di basso e dei velocissimi assoli di Dave Murray. La canzone trasuda heavy metal e, seppur lontana dai capolavori della Vergine Di Ferro, scatena un’insana voglia di headbanging. Da questo punto in poi, c’è spazio solo per i brani lunghi, venati di progressive e dalla struttura più complessa, a cui i Maiden hanno tentato invano di abituarci negli ultimi anni. Episodi eccessivamente prolissi come 'Isle Of Avalon' e 'Starblind' lasciano fortunatamente spazio a canzoni più ispirate come 'Talisman' e 'When The Wild Wind Blows', che con i suoi undici minuti di durata scrive la parola fine su un altro disco destinato a far discutere. 'The Final Frontiers' non manca infatti di buone idee, ma spesso queste risultano sbiadite perché inserite all’intero di pezzi eccessivamente lunghi e prolissi all’inverosimile. Il nostro timore è che dal vivo le nuove canzoni non riusciranno a scatenare i fan vogliosi di heavy metal, che continueranno a preferire la cara, vecchia 'The Trooper'.
FORBIDDEN

BLACK SABBATH [HARD ROCK], 1995
Forbidden è il diciottesimo album in studio del gruppo heavy metal Black Sabbath, pubblicato nel giugno del 1995. In questo disco, più che in ogni altro della discografia dei Black Sabbath, è importante mettere in chiaro da subito la line up di musicisti che ne hanno curato la realizzazione. Questo perché il periodo che ha preceduto questo disco è stato forse, il più travagliato della storia della band di Birmingham. Facciamo un passo indietro, precisamente nel 1992, anno in cui i Black Sabbath, reduci dal successo mondiale del loro ultimo album, Dehumanizer, vennero a sorpresa invitati dal loro ex leader, Ozzy Osbourne, ad aprire gli ultimi due concerti del suo tour Californiano, a Costa Mesa. A questo punto, Ronnie James Dio, all’ epoca singer della band, si rifiutò di parteciparvi, per evitare di fare da spalla al madman, con cui non intratteneva affatto buoni rapporti. Subito Iommi e Butler, per evitare il flop completo dello show, decisero di portare con sé Rob Halford dei Judas Priest. Nel corso del finale della seconda serata, ci sarà addirittura il tempo per fare esibire i Black Sabbath e Ozzy insieme. Ciò avrebbe sicuramente portato a pensare alla possibilità di una inaspettata reunion, che però non arriverà mai, permettendo ai Black Sabbath di seguire la loro strada e di riprendersi un po’ della notorietà che si erano via via lasciati dietro, grazie a delle performances live di tutto rispetto. Intanto Ronnie James Dio e la sua spalla, Vinnie Apice, avevano definitivamente abbandonato la band, sostituiti da Tony Martin [vecchia conoscenza dei Black Sabbath, avendo già lavorato con la band nei dischi: The Ethernal Idol, Headless Cross e Tyr, dal 1987 al 90] alla voce, e da Bobby Rondinelli alla batteria. Passarono 2 anni e la band aveva rilasciato il suo successivo lavoro: Cross Purposes, facendo storcere la bocca ai critici, che già si erano resi conto che la situazione non era più come prima e che la band stava cambiando strada, passando ad un hard rock molto melodico e non più caratterizzato dai poderosi riffs e dai violenti colpi di cassa a cui ci avevano abituati, tipici di una band adoratrice del metallo puro. Da qui nacque, seppur fra mille difficoltà [culminate con l’abbandono di un altro dei fondatori della band, Geezer Butler, sostituito da Neil Murray], nel giugno del 1995, Forbidden, disco che già all’ apertura del booklet, ci fa rendere conto del cambiamento che la band stava attuando. Infatti Iommi si affidò, per curare alcune parti dell’ album, soprattutto per quel che riguardò la fase di mixaggio e di post-produzione, all’ aiuto di un famoso rapper dell’ epoca, Jay-T, creando ovviamente critiche e dubbi fra i fans, che a questo punto non sapevano più cosa aspettarsi dalla band. Così dunque, fu rilasciato sugli scaffali dei negozi, questo Forbidden, che fin dai primi trenta secondi di ascolto, ci convince del fatto che molte cose siano cambiate, principalmente per quanto riguarda l’aspetto squisitamente tecnico dei componenti della band. Tony Martin è un bravo cantante, ma la tenacia e la cattiveria che Ronnie James Dio aveva messo in Dehumanizer, ad esempio, non gli sono proprie, e quindi la sua voce risulta si più melodica, ma al contempo spenta e amorfa, impedendo all’ ascoltatore di carpire le emozioni che invece le dovrebbero essere proprie. Anche Powell, non si può dire che abbia compiuto una performance da tramandare ai posteri: mai puntuale nelle battute di cassa, che sembrano quasi buttate li a caso, difficilmente si riesce a trovare un nesso logico fra il suo modo di suonare e quello degli altri componenti della band, rendendo quindi tutto molto caotico e banalotto. Solo Tony Iommi, si può con sicurezza dire che si attesti sulla sufficienza piena, ma forse era interessato: doveva promuovere il suo album da solista, che sarebbe uscito un anno più tardi. Fatto stà, comunque, che i suoi riffs sono ancora molto precisi e denotano la sicurezza di un chitarrista che vuole dire la sua e far sentire al suo pubblico che anche lui c’è, eccome. In 'I won’t cry for you', ad esempio, si sente che Iommi ha molta voglia di far bene, e in particolare in questo pezzo, la sua performance è addirittura ottima. Veramente pregevoli sia i riffs di background che quelli in evidenza, peccato per la voce di Martin, che sembra oggettivamente troppo strozzata e coperta dal suono degli altri strumenti, principalmente dalla batteria. Il pezzo introduttivo di questo album, 'The Illusion Of Power' permette di descrivere anche la performance del quarto componente della line up, per questo disco, ovvero Neil Murray al basso. Infatti lungo tutta la durata del pezzo il suono del suo basso risulta maggiormente preponderante, rispetto alle altre, nel disco. Il suono che ne consegue non è affatto disprezzabile, il problema è che questo pezzo risulta essere una goccia in un deserto di anonimato che ha interessato anche Murray. Nel pezzo susseguente, 'Get a Grip', infatti, tutto tornerà alla canonicità, per questo disco, di un anonimato piuttosto marcato. In questa traccia poi, si fa addirittura fatica ad udire la voce di Tony Martin, coperta quasi per intero dalle voci degli altri componenti della band che, senza un vero e proprio filo conduttore, lasciano scorrere il pezzo con perfetta noncuranza inglese. Solo la title track si salva da tutto ciò, soprattutto per quanto riguarda il cantato, che qui è più in evidenza e Martin può far lavorare le sue corde vocali in modo più deciso, e soprattutto con più cattiveria, che gli era mancata invece, durante gli altri pezzi dell’ album. Onestamente non si può dire che questo sia un disco riuscito per i Black Sabbath, che qui registrano un netta battuta d’arresto nella loro discografia, decisamente ricca di successi, anche recenti, rispetto a questo disco. Ma come si sa, non si può pretendere che una band suoni sugli stessi standard per 30 anni consecutivi, e i Black Sabbath in particolare, ne sono riprova, avendo passato anche più di un periodo difficile, durante il corso della loro carriera, uscendone a volte, anche piuttosto malconci, e questo ne è decisamente il caso. Dai Black Sabbath però, dopo la serie di sventure capitate prima della realizzazione di questo disco, non si poteva chiedere onestamente di più di un disco di transizione, un disco che sicuramente la band non ricorderà fra i migliori mai composti, ma che comunque rappresenta il ricordo di un annata storta, che la band ha passato, e che probabilmente ne ha segnato profondamente la carriera futura. Truemetal.it
CROSS PURPOSES

BLACK SABBATH [HARD ROCK, 1994]
Il fatto che la reunion con Dio fosse solo frutto di un oculato calcolo monetario da parte della Vertigo, non è da nascondere. I Sabbath, dopo aver inciso Dehumanizer, sono nuovamente in pista ma il fato non ha proprio nelle sue grazie Iommi e perciò vede di assestare un colpo basso alla compagine del Sabba Nero nella forma del concerto d'addio di Ozzy (tour a supporto di No More Tears). I Sabbath vogliono partecipare, ma Dio non vuole sentire ragioni e, girando i tacchi, lascia il gruppo senza un cantante; problema risolto cercando prima l'usato sicuro [Tony Martin, che però non riesce ad andare in Costa Mesa a causa dei permessi per entrare in USA] e poi sull'usato contiguo, Rob Halford, che si offre come cantante per il concerto californiano, a cui partecipa anche Vinnie Appice. La formazione è per tre quinti quella presente sull'album Heaven and Hell (Iommi, Butler e Nicholls), a cui si aggiungono Tony Martin e il batterista ex Rainbow Bobby Rondinelli. L'album in questione, com'è? La domanda sorge spontanea dopo le 'durezze' proposte in Dehumanizer e il rientrante Tony Martin deve confermarsi quell'ottimo cantante qual'è, ma è il 1994 e i tempi sono particolari: il grunge è morto e il metal sta ritornando all'apice e i Sabbath escono con il loro 17° album in 24 anni di onorata carriera. A partire dalla cover art, molto bella, Cross Purposes si rivela fresco a ispirato, le tonalità più dure della chitarra di Iommi sono state mantenute e i brani scorrono perfettamente bilanciati fra pesantezza metallica e melodia vecchio stile. Le canzoni, a partire dalla veloce 'I Witness' [che sembra quasi provenire dalle session di Dehumanizer], hanno ottimo groove e una certa spigolosità arrotondata dalla voce melodica di Martin. Gli intrecci di chitarra ritornano preponderanti -l'intro acusticheggiante di Cross of Thorns e il suo andamento possente ma pregno di mood epico non potrà che far scendere una lacrima agli amanti di Children of the Sea- come anche le venature doom, aggiornate agli anni 90. Menzione speciale va a 'Psychophobia', sublime incrocio fra le tendenze precedentemente menzionate: la velocità e pulizia metallica, il groove e il sentimento tipicamente hard rock e la prova straordinaria di Martin. La ripetitività del riff base di Immaculate Deception, la cui linearità non stona, è volano necessario per lanciare gli intermezzi veloci in cui un Rondinelli sugli scudi tiene su la baracca mentre Iommi sguinzaglia la sua maestria. La traccia, forse, ha il solo difetto di apparire nella tracklist esattamente prima di 'Dying for Love'; avevamo già potuto apprezzare Martin alle prese con le ballad, ma in questo caso la premiata ditta Iommi-Martin ha creato una gemma. Il riff liquido che blandisce ma che sa anche pungere, le strutture discrete di Nicholls e, soprattutto, un Tony Martin mai così a suo agio dietro al microfono creano il brano a cui spetta uno dei primi posti nella discografia Black Sabbath con Martin. Da rimarcare ancora e ancora la prova di Tony Iommi. Dopo 'Dying For Love', arriva la redenzione più dura di 'Back to Eden', quindi gli incastri parti mellow-parti dure di 'The Hand That Rocks The Cradle', perfetti: non dispiace di sentire a distanza di breve due canzoni dalle tonalità più rilassate. L'unico momento in cui il sopracciglio si alza perplesso è all'altezza 'Cardinal Sin'. Il brano ha un omaggi di kashmiriana memoria nel tappeto di tastiere e il resto del brano non riesce ad essere all'altezza della qualità pura espressa in tutto Cross Purposes. Cardinal Sin non parte bene, si risolleva con il passare dei minuti, ma non riesce ad arrivare ad una sufficienza convincente. Il brano che chiude, idealmente, Cross Purposes è accreditato a Butler, Iommi, Martin ed Eddie Van Halen. Il solo iniziale, rapido e lancinante, è urlo d'intenti, e il suo gemello a centro canzone ne è la risposta orgogliosa; il resto di 'Evil Eye' staziona su un ottimo mid-tempo percussivo e con riff portante circolare e ripetitivo. Molto particolare l'effetto 'Heaven and Hell' che si crea subito dopo il solo centrale, con quella linea di basso di Butler e il cantato enfatico e sentito, mentre Iommi si cura dei fills in lontananza e poi sfocia in un lungo solo sempre nelle retrovie. L'edizione giapponese di Cross Purposes contiene la veloce What's the Use, dal tipico rifferama di Iommi. What's The Use è un ottimo brano e spiace che l'abbiano lasciato unicamente per l'edizione giapponese, meritava più fortuna e di finire nella tracklist ufficiale del disco. blackbloodysabbath.it
SPECIALE BAY AREA THRASH PART II
THRASHING LIKE A MANIAC!

EXODUS. Metallica ed Exodus erano indubbiamente i leader di tutto il movimento, le band più rispettate e temute per la loro potenza, la velocità e la furia delle loro composizioni. Phil Demmel dei Technocracy ricorda che 'gli Exodus avevano un pubblico capace di ammazzarti: se dicevi qualcosa contro di loro ti facevano a pezzi'. Teoria appoggiata dall'onnipresente Peterson: 'Ai concerti degli Exodus se nel pubblico c'era qualcuno con l'aria glam gli rompevano il culo. Lo pestavano a sangue'. La band capeggiata dal grintosissimo Paul Baloff, cantante dalla timbrica aspra e inconfondibile, si destreggiava con una serie di pezzi abrasivi impreziositi dalla presenza alla chitarra solista del riccioluto Kirk Hammett, ragazzino metà irlandese e metà filippino che si era fabbricato il primo amplificatore con una scatola di scarpe. Il quesito è eterno e irrisolvibile: chi ha iniziato prima ad eruttare thrash metal dalle proprie cantine, i Metallica o gli Exodus? Le frequenti testimonianze del 'decano' Peterson rendono molto attendibili i suoi ricordi, pertanto ci affidiamo a lui per stendere una sorta di cronologia del thrash americano: Metallica in primis, incalzati a Los Angeles dagli integerrimi Slayer e a Frisco dagli Exodus, appunto, prima dell'arrivo di Possessed, Death Angel e Legacy, futuri Testament. La furia con la quale gli Slayer suonavano nella città del glam era qualcosa di assurdo e sovrumano, un'escalation di violenza istigato dal confronto con i Metallica; che sulle pagine di una fanzine venivano definiti 'la band più veloce d'America'; ascoltata la band di Ulrich su Metal Massacre, gli Slayer sbottarono: 'Ma che cazzo, possiamo fare roba molto migliore e molto più dura di questa merda'! e si ispirarono proprio agli Exodus, supportati con tre date nei club a San Francisco: 'Ecco cosa dobbiamo fare per suonare come cazzo si deve'. La band di Tom Araya e Kerry King pubblicò nel 1983 il terrificante Show No Mercy, ma questo arrivò sul mercato solo alcuni mesi dopo di Kill'Em All, il tambureggiante debut dei Metallica: le liriche infervorate, i riff martellanti, gli assoli orgasmici e la velocità incisa trai solchi del platter lo investono della leggendaria fama di primo, seminale disco di thrash metal finito sugli scaffali, prima, e sulle enciclopedie dopo. Gravemente danneggiante fu, per gli Exodus, il passaggio del loro guitar hero Hammett proprio nelle fila dei futuri Four Horsemen: nel combo di Hetfield si era ormai arrivati alle mani con l'indolente Dave Mustaine, che fu licenziato e tempestivamente sostituito con l'ingaggo di Hammett, fatto volare appositamente fino a New York per le imminenti registrazioni del disco d'esordio!

EVOLUZIONE. Su Kill'Em All Hammett suona le parti scritte da Mustaine, ma il suo apporto diventa fondamentale per l'escalation della band, assieme a quello geniale di Cliff Burton: già con l'imponente secondo album Ride The Lightning (1984), i Metallica iniziano a discostarsi al thrash tradizionale della Bay Area, stratificandosi in una produzione più tecnica, melodica e poliedrica. Evolvendosi al di fuori dell'underground circoscritto della Baia, i Four Horsemen escono in parte dalla scena per puntare al resto del mondo, anche se torneranno fedelmente alla Metallica Mansion per distendere i nervi dopo ogni impresa per tutto il corso degli anni '80, tristemente segnati dalla tragica fine di Cliff Burton in un incidente del tour di Master Of Puppets (1986). Intanto, in quel di Frisco, era proseguita l'avventura degli Exodus, che orfani di Hammett devono ritardare fino al 1985 il loro debutto-capolavoro, il sanguinolento Bonded By Blood, una furiosa galoppata mozzafiato capace di portare l'adrenalina a livelli di guardia grazie alle vocals acide di Paul Baloff. Gli Exodus avevano iniziato nel 1979, con alcune cover della NWOBHM, e in breve tempo si erano fatti capipopolo della thrash metal revolution: la lineup storica era completata dai chitarristi Rick Hunolt e Gary Holt, dal bassista Rob Mc Killog e dal drummer Tom Hunting. Bonded By Blood ebbe problemi di distribuzione per l'immagine di copertina ritenuta eccessiva, e in seguito le difficoltà per questa band tanto travagliata proseguiranno con il passaggio di Baloff agli Hirax, sostituito dall'ex Legacy Steve 'Zetro' Souza per una serie di ottimi dischi che però saranno scalzati dalle uscite delle nuove leve. Decine di band importanti stavano uscendo da quella fucina di riff impazziti che era la Bay Area: i Possessed, per esempio, passeranno alla storia come fondatori del genere death metal grazie al loro Seven Churches, che però è intriso di thrash pur se a sfondo satanico; il combo di Jeff Becerra splendeva per una tecnica notevole nelle parti veloci e negli intricati assoli, il tutto in un selvaggio mix di violenza sonora ancor più thrasheggiante nel successivo Beyond The Gates; i Death Angel erano quattro giovanissimi cugini di origine filippina 'scoperti' da Kirk Hammett e giunti al debutto nel 1986 con The Ultra Violence, esempio fulgido di trame intricate che permetteranno alla band di acaparrarsi un notevole seguito di fans anche in Europa. Dei Legacy c'è poco da dire, per loro parla la storia: solo con il moniker Testament riescono ad arrivare all'agognato debutto nel 1987 col superbo The Legacy, sapiente miscela della devastante foga degli Slayer con la tecnica e la melodia tipica dei Metallica, elemento garantito dal funambolico chitarrista Alex Skolnik e decisamente ribadita nel successivo The New Order (1988). Il thrash iniziava a crescere, sopratutto dal punto di vista della tecnica, con chitarriti come Hammett, Skolnik e Hunolth pronti a prendere lezioni dal Maestro Joe Satriani; le strutture compositive si facevano più ricercate ed elaborate, iniziando ad originare sottosettori come il technical thrash e il progressive thrash (Heaten, Forbidden, Evil, Defiance). In questa ottica crebbe rapidamente la fama dei Megadeth, creatura generata dalla costola dei Metallica in quanto nuova band dell'inarrestabile Dave Mustaine: dal grezzo debut Killing Is My Business... And the Business Is Good (1985) al memorabile Peace Sells, l'evoluzione e notevole e culminerà nel 1990 con il tecnicissimo Rust In Peace, dopo innumervoli cambi di line-up e problemi di droga e alcool per il solito Dave e i suoi compari. I Megadeth avevano il loro quartier generale a Los Angeles e non facevano propriamente parte della scena della Bay Area, però erano indubbiamente un prodotto della tanto produttiva scena musicale di San Francisco.

BANDS. Tra le formazioni storiche da citare ad ogni costo ci sono i Sadus, formatisi ad Antioch (California) e dotati di uno dei migliori bassisti metal di sempre, quello Steve Di Giorgio che militerà in seguito con giganti come Death, Iced Earth, Testament e Control Denied; il loro debutto Illusioned (1988) è un thrash molto articolato, come quello dei Forbidden, capaci di concentrare in un unico pezzo una mole enorme di riff, mescolandoli ad irruenti acclerazioni e cambi di tempo, privi di melodia e autori di due perle come Forbidden Evil e Twisted Into Form; l'unica sfortuna dei Forbidden fu quella di essere arrivati troppo tardi su una scena che, con l'avvento dei Nineties, stava per essere attaccata anch'essa dal fenomeno grunge. Le molteplici influenze musicali dei Blind Illusion, nati nel 1979 come band progressive, plasmarono invece il thrash progressive di The Sane Asylum, cambio di rotta imposto dai frequenti cambi di formazione e dall'insoddisfazione perenne del leader mark Biedermann (chitarra). Di tutt'altra caratura, tecnicamente inferiore, erano invece i Vio-Lence, rozzi contraltari dei mostri sacri con il loro suono monocorde tutto impostato sulla percussione martellante. Amatissimi dagli headbangers erano i Laaz Rockit, che pubblicarono album molto apprezzatii come City's Gonna Burn e No Stranger To Danger. Le band che uscivano dai pub e dalle cantine erano veramente tantissime, ed è forse impossibile menzionarle tutte: i Mordred, per esempio, fusero il Testament sound con quello che verrà chiamato 'crossover', genere inaugurato dai Dirty Rotten Imbecilles, giunti dal Texas e padrini del genere con un album dal titolo eloquente (Crossover, appunto, 1987). Il loro bassista, Harald O sarà anche fotografo dei Metallica e testimone dell'evoluzione del thrash della Baia, al pari di altre personalità come Brian Slagel, ragazzino che aprì con pochi quattrini e qualche socio (John Kornarens) la sua etichetta personale, la Metal Blade, o Ron Quintana, fanzinaro che suggerì involontariamente a Lars Ulrich il moniker Metallica, che avrebbe voluto utilizzare per la sua rivista Metal Mania. La scena era animata dalla passione e dall'entusiasmo dei gestori dei locali, dei promotors e naturalmente degli headbanfer, fieri rivali della pacchianissima scena glam di Los Angeles, verso la quale esisteva un disprezzo folcloristico molto sentito.

NUOVO DECENNIO. Ormai il thrash metal era diventato grande. A metà anni '80, Metallica e Megadeth furono affiancati da Slayer ed Anthrax tra i cosiddetti 'Big Four', uno schieramento capace di produrre album epocali come Master Of Puppets, Peace Sells, Reign In Blood, Among The Living; la scintilla si diffuse rapidamente fino in Canada, dove maturò una band come gli Annihilator, ed in Europa, nella Germania della 'Triade', un devastante ensamble di band come Kreator, Sodom e Destruction, capaci di rendere ancor più tellurico il thrash made in Frisco. Nemmeno il declino degli anni '90, con gran parte dei pionieri ridottisi a sfornare album commerciali e radiofonici, ha fermato l'inarrestabile rincorsa di quei riff impazziti, che rivivono grazie alle schitarrate di Municipal Waste, Mantic Ritual, Vektor, Abadden e compagnia; chi indossa ancora oggi una t-shirt degli Exodus sotto un gilè in jeans coperto di toppe, inevitabilmente, non potrà non riservare un nostalgico ricordo ai ruggenti anni della Bay Area!
SPECIALE BAY AREA THRASH
THRASHING LIKE A MANIAC!

SAN FRANCISCO. Più forte, più veloce: 'to thrash', percuotere, scuotere, portare all'estrema esasperazione psicofisica la musica dei ribelli. Un piccolo locale buio e puzzolente, sudore e toppe, gli amplificatori a volume disumano, fiumi di birra e l'immancabile moshpit: benvenuti nel tremendo mondo del thrash metal, laddove l'headbanging è la regola, laddove la violenza sonora impazza a velocità incontrollata, trascinata da riff stoppati, ripartenze al fulmicotone, stacchi e accelerazioni repentine e masturbatorie. L'heavy metal inglese della NWOBHM non era più sufficiente a scaricare le tensioni delle giovani Milizie di adepti, che a nei primi anni '80 iniziarono ad avere sete di violenza ulteriore, qualcosa di abrasivo capace di soppiantare la melodia epica di Judas Priest e Iron Maiden: e la scintilla scoccò nella soleggiata California, nella florida Baia di San Francisco, giunto tramite l'intricatissima rete dello scambio di cassette provenienti dal vecchio continente. Fu infatti la commistione tra metal e punk adoperata dai Venom a muovere le prime scosse di un terremoto che partorirà presto degli autentici giganti della musica dura; e San Francisco era il luogo migliore per far nascere la rivoluzione nei confronti della 'frangia nemica', la godereccia fazione glamster di Los Angeles, capitale del metal comemerciale e dedito al culto dell'immagine, colorata e cotonata oltre i limiti della decenza. I ragazzini incazzati volevano musica incazzata, e l'hair metal forniva tutto fuorchè una valvola di sfogo per la generazione dei nuovi disadattati americani, che a Frisco si riunivano nelle cantine e nei pub legandosi come fratelli, in un rito effervescente e dilagante che riempiva le giornate di centinaia di imberbi capelloni coi gilè in jeans e le scarpe da basket alte. L'esistenza di pub luridi e dimenticati dalla luce del sole consentì l'attecchire del morbo, cosa impossibile in una Los Angeles troppo raffinata nella quale le band potevano esibirsi in grandi teatri patria del rock: e l'elemento geografico risulta determinante nella storia di questo filone feroce che nel corso degli anni diverrà presto il principale sottogenere dell'heavy metal mondiale.
ORIGINI. Il morbo parte da Newcastle, nelle sataniche rime suonate alla meno peggio nella polverosa cantina dei Venom, band oltraggiosa che suonava riff rapidissimi su un'unica corda stoppata col palmo della mano, tecnica affiancata ad una sezione ritmica martellante e a delle linee vocali furiose come mai si sarebbe potuto sentire nei gruppi della NWOBHM; canzoni come Witching Hour sono ritenute la primordiale genesi del genere, che potrebbe essere condivisa dai primi lavori di altri gruppi europei come Mercyful Fate e Bathory: le tematiche sataniste legavano queste band coraggiose, la cui musica arrivò fin'oltreoceano grazie allo scambio di cassette, nel quale era pienamente immerso Lars Ulrich, ragazzino di origine danese trasferitosi con la famiglia a Los Angeles. Dall'incontro con l'incazzatissimo adolescente James Hetfield, Ulrich aveva creato quella che a detta di molti è la prima, vera band thrash metal della storia. I Metallica. Con il mite Ron McGouvney al basso e lo schizofrenico funambolo Dave Mustaine alla chitarra solista, i Metallica si lanciarono alla ricerca di un sogno suonando più veloce di qualsiasi altra band losangelina, forse a causa dell'iperattività di Ulrich alla batteria, che trascinava i compagni all'accelerazione con il suo perenne nervosismo. In realtà, un altro fattore del cambio di marcia repentino adoperato dal giovane quartetto derivò dallo stare chiusi in sala prove per ore e ore, ogni giorno, a fare e rifare quei dieci pezzi composti tra 1981 e 1982: il grande feeling e la sicurezza sovrumana che i quattro mostravano on stage, pur all'azione con pezzi talmente urticanti e iperveloci, fece arrivare la loro fama anche in altre città del Paese, mentre nella Los Angeles dei glamster la loro foga rabbiosa faceva davvero fatica ad attecchire. Ricorda il giornalista Borivoj Krgin: 'Ho sentito per la prima volta i Metallica nel 1983, prima dell'uscita di Kill'Em All. Era la prima volta che una band suonava ultraveloce senza tirare fuori semplicemente rumore: anzi, le parti di chitarra erano intricate e precisissime. E in più avevano una produzione assai potente e raffinata, senza esserte troppo puliti, e questo rendeva ancora più efficace la loro musica. Rispetto a band come Venom e Motorhead, i Metallica risultavano molto più preparati musicalmente e avevano un suono meno punk'.

AMBIZIONE. Dopo alcune date losangeline con i glamster Ratt e Stryper, i Metallica si esibirono a Frisco il 18 settembre 1982 per la 'Metal Massacre Night', un evento organizzato dalla fanzine di Brian Slagel che aveva ospitato anche il debutto discografico della band col brano Hit The Lights, incluso in una compilation che diede il nome alla serata stessa; i Metallica dovevano solo sostituire i Cirith Ungol, che si erano tirati fuori all'ultimo minuto, ma infiammarono la serata proponendo le sette canzoni inedite già presenti sul loro demo No Life 'Till Leather (Hit The Lights, The Mechanix, Motorbreath, Seek & Destroy, Metal Militia, Jump In The Fire, Phantom Lord) più due cover dei loro idoli inglesi Diamond Head. Il pubblico si scatenò, letteralmente, sorprendendo la band stessa, che mai aveva assistito ad una reazione tanto veemente ai propri show! Il ritorno a casa coincise con lo sfociare di vecchi attriti col bassista McGouvney, sfruttato e bistrattato dai compagni che ora avevano indirizzato la loro attenzione su un axeman di San Francisco, tale Cliff Burton. Fu proprio Slagel a suggerire il bassista dei modesti Trauma ai Metallica: Hetfield e Ulrich tornarono a Frisco per vedere da vicino quel ragazzo, che si stava stufando dello scarso profilo della sua compagine, e se ne innamorarono: 'Eravamo rimasti assolutamente impressionati da questo bassista fricchettone che faceva headbanging', ricorda James. 'Ulrich avvicinò Burton, e iniziò un corteggiamento insistente che portò ad ottimi frutti. La chiave di volta fu proprio San Francisco: Burton odiava la scena poser di Los Angeles e non ne voleva sapere di cambiare città, così chiese ai Metallica di portarsi da lui. Nella band, la voglia di Frisco cresceva vertiginosamente: vi si esibirono nuovamente il 18 ottobre di spalla ai Laaz Rockit e la gente impazzì (probabilmente Burton era nel pubblico), parola di Eric Peterson, storico chitarrista e compositore dei Testament: 'I Metallica fecero uscire il demo No Life 'till Leather e aprirono ai Laaz Rockit, che da queste parti erano una band tra le più amate. Era una vera figata e tutte le band gli sono sono andate dietro . Appena ho sentito i Metallica ho capito che tipo di musica volevo fare con la mia band. Quadrava tutto'.

AVVENTURE. San Francisco li vide all'opera ancora il 29 novembre all'Old Waldorf, assieme agli Exodus, una band cittadina autrice di una musica altrettanto violenta e frenetica: la slamdancing del pubblico fu tremenda e inquadrava alla perfezione l'effetto che il nascente movimento thrash esercitava su quel pubblico. L'indomani, al Mabuhay Gardens, fu un'altra serata riuscita, l'ultima con McGouvney: i ragazzi avevano deciso di accettare le proposta di Burton e si trasferirono in città, anche grazie all'ospitalità di un giovane amico che studiava da fonico e aprì le porte del suo appartamento al 3132 di Carlson Boulevard, Mark Whitaker: 'Ci sistemammo a casa di Mark. Ovviamente le stanze non bastavano, per cui Lars e io ce ne dividemmo una. Dave lo abbiamo piazzato dalla nonna di Mark, nello scantinato' -ricorda Hetfield- 'Che periodo assurdo! Tutt'un tratto ci eravamo trasferiti su a San Francisco, senza un posto fisso dove stare nè altro. Una figata'! I Metallica si ambientarono presto in città ed erano presenti a qualsiasi concerto, ogni sera: andavi a vedere i Whiplash e li trovavi nella sala, assieme ai Possessed, agli Exodus, ai Dark Angel; i musicisti erano tutti amici, e i futuri Four Horsemen prediligevano le esibizioni dei Possessed. Mentre il loro status cittadino e il rispetto degli altri gruppi lievitava irrefrenabilmente, i Metallica si trasferirono in un appartamentino che prese il nome di Metallica Mansion e che divenne il cuore pulsante dei bagordi degli headbangers cittadini, come ricorda Jeff Becerra; storica voce degli stessi Possessed: 'Di solito andavamo da loro e facevamo un casino della madonna; la gente si divertiva da pazzi! Se qualcuno si ricorda davvero quello che succedeva là dentro, allora vuol dire che non c'era'! La casetta era proprio un gioiellino, come testimonia James Howard, un vecchio amico di Cliff: 'Tutto il pentolame e il vasellame della cucina era stato usato e a nessuno passava per la testa di lavarlo: mangiavano nei piatti sporchi. In sala c'era un tavolino di vetro con pezzi rotti per tutto il pavimento.. un pane di burro calpestato sul tappeto, pezzi di carta disseminati qua e là, lattine di birra vuote vicino ai mobili, immondizia dappertutto'! La città era ormai centro operativo del combo losangelino, che nelle interviste parlava dell'affetto nutrito per Frisco e sul palco sfoderava prestazioni sempre oltre il limite della follia. Come garantiva Peterson, tutte le band locali andarono dietro ai Metallica ed accelerarono i loro ritmi: 'C'era senz'altro qualcosa nell'aria. Non si sapeva cosa sarebbe successo in futuro ma era veramente una figata'. La conferma arrivava direttamente da James Hetfield, voce e chitarra ritmica del fenomeno Metallica, la banducola giunta da Los Angeles e capace di accendere un ordigno che attendeva solo di esplodere: 'La scena era decisamente migliore, c'era un'altra aria. La gente capiva quello che facevamo, al contrario di Los Angeles, dove invece si faceva vedere solo per atteggiarsi con drink e sigarette'. Più forte, più veloce! l'incalzante rincorrersi dei riff stoppati, il 'tupa-tupa' martellante scandito dalla sezione ritmica, le vocals super esaltanti che tracimavano di foga ormonale, gli assoli fulminanti: l'ascesa del thrash metal nella Bay Area era implacabile, e Jeff Becerra spiega perchè quel connubio geografico-musicale fu tanto speciale: 'La Bay Area è un posto perfetto per un musicista. C'erano un sacco di ottime band in giro, e tutti volevano esserne parte in causa. Nascevano i primi eroi locali e insieme arrivavano il prestigio, la fica e la birra gratis. Io volevo diventare una rockstar e la Bay Area era il posto giusto per mettersi alla prova. Tra le band della Bay Area c'era collaborazione, eravamo tutti amici in quel periodo'.
THRASH STYLE. Tutti abbracciati sotto il palco, tutti sfrenatamente intenti in maratone di headbanging scavezzacollo, tutti pronti a pogare durante l'assalto martellante dei riff perforanti scanditi dalle chitarre: la tesi è confermata dal buon Peterson, un vero baule dei ricordi per quanto riguarda la genesi del thrash: 'A Los Angeles c'era la scena dei poser, in cui ci sentivamo fuori posto perchè eravamo più giovani. Non eravamo splendidi nè muscolosi. In quella scena andavano tutti a letto uno con l'altro, mentre da noi c'era più amicizia e lealtà. Là si pugnalavano tutti alle spalle, e si fregavano a vicenda. Così pareva, almeno'. I Testament si esibivano inizialmente sotto il moniker Legacy, e fecero una fatica enorme a trovare un contratto discografico; furono costretti a cambiare moniker per diritti di copyright e a cambiare vocalist, passando da Steve 'Zetro’ Souza al gigantesco nativo indiano Chuck Billy, e si affermarono on the road molto prima che su disco: il debutto in studio, infatti, arriverà solo nella seconda metà degli Eighties. Il termine 'thrash metal' non nacque subito: inizialmente lo chiamavano 'speed' o 'power', e molti attribuiscono l'origine dello stesso alla canzone dei newyorkesi Anthrax Metal Thrashing Mad. Certamente il termine veniva già utilizzato nel 1984 dalla rivista 'Kerrang!', in alcune recensioni che riguardavano proprio gli Anthrax e gli Exiter. Una delle band più rispettate del circuito della Bay Area erano gli Hirax, guidati dal vocalist colored Katon DePena, autori nel 1985 di un disco scoppiettante come Raging Violence; 'San Francisco è una città davvero speciale per l'heavy metal e sempre lo sarà'- testimonia De Pena- 'E' uno dei posti più belli del mondo per suonare, c'è un pubblico pazzesco cazzo, li adoriamo'! Nella Bay Area i musicisti si esibivano in un circolo di locali divenuti leggendari, dei veri e propri covi dove celebrare il rito del thrash metal. Il Warfield, per esempio, era un teatro dal nobile passato caduto in declino e abbandonato alla sua stessa decadenza, ma che era divenuto l'equivalente californiano del Soundhouse Bandwagon di Kingsbyry per la NWOBHM, a Londra; nel quartiere di Berkeley tuonavano potenti gli amplificatori del Keystone e del Ruthie's Inn, in pratica l'altra casa di Cliff Burton; ad accomunare tutti questi posti mitologici, l'olezzo acre del sudore dei ragazzi che li riempivano e li sconquassavano a forza di pogo, l'allegria della birra consumata con tanti amici, l'intenso odore del cuoio borchiato di tanti chiodi serrati sopra le immancabili magliette a tema, che riprendevano le copertine degli album più amati, oltretutto riprodotte in decine di poster appesi alle pareti. Il locale per eccellenza era lo Stone, l'infuocata tana dove lo stesso Burton debuttò nella line up dei Metallica; tuttavia erano numerosi anche i concerti all'aperto nella Bay Area dell'apoca, i cosiddetti Day On The Green che si svolgevano all'Outdoor Coliseum e attiravano la solita masnada di headbangers scatenati.











DEHUMANIZER

BLACK SABBATH [1992], HEAVY METAL
Correva l’ormai lontano anno 1992, quando Geezer Butler, l’allora bassista dei Black Sabbath, dopo aver assistito a una performance live di Ronnie James Dio, decise che la ventata di aria nuova che stava cercando per rinvigorire la sua band, dopo anni di opaco grigiore, sarebbe potuta arrivare solo reinserendo questo portentoso artista nella sua line up. Infatti Dio possedeva già dei trascorsi nella band, come diretto successore di Ozzy Osbourne, all’ inizio degli anni 80. La sua prima esperienza come singer dei BS fu molto breve a causa della grandissima attrattiva che il suo personaggio esercitava sul pubblico, lasciando in ombra i due leader della band, il già citato Geezer Butler e Tony Iommi, che rendendosi conto di quanto accadeva, resero la vita a Dio molto, molto difficile, costringendolo infine all’ abbandono. I problemi che seguirono il suo rientro, non furono pochi, le divergenze passate non rappresentarono un facile ostacolo da abbattere, ma due uomini intelligenti e lungimiranti come Butler e Dio, riuscirono a rimettere tutto in gioco e a ricominciare da capo la loro avventura con i Sabbath. Fu da questa loro nuova unione che nacque Dehumanizer, album dalle caratteristiche veramente affascinanti e particolareggiate. La canzone cui preme parlare fin da subito è 'Time Machine', diventato un vero cult dell’ hard rock e dell'heavy metal anni 90, con un refrain che resta impresso a caratteri cubitali, fin dal primo ascolto: orecchiabile e intenso, riffs eccelsi e dalle sonorità sempre diverse e accattivanti. Questo è forse il pezzo che ha regalato nuova linfa vitale a questi artisti e che ha fatto invaghire di nuovo di fans dei Sabbath, che avevano perso attrattiva nei confronti della band, dalla fine degli anni 80 in poi, e che improvvisamente si ritrovarono con un gruppo di musicisti esperti, motivati e galvanizzati dalla pace fatta con un vecchio amico, e pronti a rilanciarsi sui palcoscenici di tutto il mondo. Non a caso, successivamente la band scelse di girare anche un video musicale, dedicato a questa straordinaria canzone. Altro pezzo molto importante per descrivere in maniera precisa questo disco è sicuramente 'I', caratterizzato dalla voce di Ronnie che scandisce e mette in chiaro in maniera egregia cosa ci aspetta se si continuerà ad ascoltare il pezzo. Incalzante, poderoso, aggressivo: con questi tre aggettivi proviamo a descrivere quello che si prova ascoltando questo fantastico singer eseguire questo pezzo, ma sarebbe ingiusto oltre che superficiale. Soprattutto nei confronti degli altri membri della band, Butler in primis, che qui esegue dei giri di basso strepitosi, sempre puntuali e penetranti. Unitamente ad 'I', un'altra canzone degna di nota è 'Computer God'. Tony Iommi, chitarrista dalla indubbie qualità, si esprime qui in tutta la sua classe e personalità, detta i tempi, conduce, da il là agli altri strumenti, mostra una sicurezza veramente rimarchevole. Grande amico e partner inseparabile di Ronnie James, oltre che abilissimo drummer, Vinnie Appice sarà il quarto componente dei Black Sabbath per questo Dehumanizer. Eseguirà, oltretutto, una performance di tutto rispetto, suonando in maniera impeccabile pezzi anche molto difficili, come 'TV Crimes' e 'Buried Alive', dimostrando comunque di avere mestiere e carattere da vendere. Questo album ci fa rendere conto di come siano importantissime, per una band, la convinzione nei propri mezzi, la costanza e l’unità d’intenti, e che sia possibile anche superare ostacoli apparentemente invalicabili, grazie soltanto alla forza di volontà: i Black Sabbath, componendo un disco così affascinante e completo, hanno veramente dimostrato che la sola tecnica, nella musica, porta veramente a poco, se non c’è convinzione e unione fra i musicisti che vi lavorano. Truemetal.it