DAL THRASH AI GIORNI NOSTRI

METALSTORY: LA NASCITA DEI SOTTOGENERI. Il thrash fu una risposta pesante al glam, ma bisogna dire che in Europa il metal era rimasto abbastanza serio per incutere rispetto e timore. Dall’Inghilterra, gli storici rocker Motorhead influenzarono non poche band che, come i Venom, diedero origine al movimento del Black Metal, scarno quasi come il punk e tremendamente lugubre, perfido, satanico. Dischi come ‘Welcome To Hell’ e ‘Black Metal’ ispirarono proprio le band della Bay Area: gli stessi Metallica sono cresciuti con la musica di Cronos e compagni, e il thrash nasce proprio dalle accelerazioni intuite dai blackster. Il filone black proseguì la sua evoluzione inasprendo la musica e le tematiche, supportato via via da alfieri come Bathory, Mercyful Fate, Marduk e Mahyem. Il thrash nel frattempo faceva passi da gigante. I Metallica, le stelle più brillanti, mettevano a segno colpi clamorosi con dischi immortali come ‘Ride the Lightning’ e ‘Master Of Puppets’, ritenuto da molti il platter definitivo per eccellenza del thrash e dell’heavy in generale. La band di Hetfield era praticamente sovrana della scena, ora con un repertorio più vario ed elaborato in cui potevano passare indifferentemente dalla velocità spaccaossa degli esordi a macigni ossessivi e potenti, da pezzi aggressivi e duri come rocce ad altri più dolci e melodici, analizzando tutti gli stati d’animo riscontrabili nella personalità umana. Purtroppo nel 1986 la perdita, in un incidente del tourbus, della mente e braccio Cliff Burton, segnerà un’escalation prepotente che già così, mozzata, resterà irripetibile. Mentre i canadesi Annihilator portavano alla massima esaltazione il discorso tecnico aperto dai Megadeth (‘Alice In Hell’, 1989), andava nascendo il figlio diretto del thrash, il death metal: ancora più furioso e caratterizzato da varietà e tecnica maggiori. I Death, i Morbid Angel, gli Obituary: sono i nomi e i programmi di band con i piedi immerse nella sofferenza e nella rabbia, da urlare al mondo (spesso e volentiri con un cantato growl) su uno spartito drammatico di morte e distruzione messe in musica. Sul finire degli Eighties, dopo essere sopravvisuto al punk e al glam, l’heavy metal stava andando incontro al decennio più difficile: gli anni ’90, aperti sotto il segno del grunge e del crossover, avrebbero segnato un lungo periodo di agonia. E pensare il modo stellare in cui si erano aperti: ‘Painkiller’ è il testamento dei padri fondatori Judas priest, tornati a troneggiare sull’olimpo del metallo con un album tellurico che è, da solo, la perfetta sintesi di un genere musicale, di un’ideologia di vita, la dimostrazione più elettrizzante di come si suonano le chitarre e di come una batteria può fare tremare il culo. L’ultimo sussulto dei Priest non bastò a evitare il peggio. I Metallica, proprio loro che il metal duro lo avevano fatto uscire dalla nicchia, lo affossarono con un successo commerciale di proporzioni enormi come il Black Album, un boom radiofonico che portò l’heavy metal nelle case di tutti. Identico il sentiero seguito dagli Iron Maiden (‘Fear Of The Dark’), che andarono anche incontro all’addio del vocalist Dickinson e ad un periodo di crisi nerissima. Quasi tutti i gruppi thrash sparirono dalla scena o iniziarono a produrre album patinati e radiofonici. Solo gli Slayer e i Testament sembrarono resistere, ma senza produrre lavori alla loro altezza. Death e Black erano ormai due blocchi inscalfibili e proseguirono sulla loro strada senza tentennamenti: grandi dischi e grandi band, ma la storia del metal sembrava non passare di lì. Qualcuno credette addirittura che potesse tornare in auge il fenomeno glam metal, grazie alla gloria fulminea ma travolgente di un gruppo grande e dannato come i Guns’n’Roses, che visse un periodo di massacrante splendore prima di affondare nei suoi stessi eccessi. La strada ora più luminosa sembrava quella nata in Germania negli ultimi anni degli Eighties. Se c’era stato chi aveva preso l’heavy dei Judas Priest e degli Iron Maiden portandolo all’estremizzazone urbana più grezza, c’era ora chi ne ereditava la melodia e la enfatizzava con galoppate fantasiose e piene di pathos, velocissime e tutt’altro che cupe, scandito da una doppia cassa mozzafiato. Gli Helloween e il power metal: storie e leggende, castelli e dragoni, magie e guardiani. Il power che si evolve tra ‘Walls Of Jericho’ e i due ‘Keeper of The Seven Keys’ getta le basi del filone che terrà il metal flebilmente in vita negli anni ’90. Il testimone passa dagli Helloween ai connazionali Blind Guardian, terribilmente più possenti e travolgenti con il loro epico muro del suono che giungeva direttamente dal medioevo. Tre album tellurici e poi una svolta ancor più melodica e di ambientazione fantastica, accentuata dall’introduzione di suoni e strumentazioni particolari che fanno dei Bardi tedeschi uno dei maggiori esponenti di un genere che annovera tra le sue fila anche i Gamma Ray e gli italiani Rhapsody Of Fire, col loro power barocco e rinascimentale davvero innovativo. I Guardian entrano nella leggenda col trittico ‘Somewhere far Behyond’- ‘Immaginations From The Other Sides’- ‘Nightfall On Middle Earth’. Nel frattempo erano rimasti solidamente sulla scena i True Defenders per eccellenza, i Manowar, che non sono power ma che con altri dischi eccellenti come ‘Kings Of Metal’ e ‘The Triumph Of Steel’ diedero fiato agli entusiasmi di chi ancora troppa sete di metallo puro aveva negli anni dell’avvicendamento tra gli ennesimi fenomeni di passaggio: prima il crossover, ora il nu-metal, l’impura contaminazione del Verbo con l’hip-hop e con sonorità di accordatura diversa e molto più fredda di quella tradizionale. Fortunatamente gli anni ’90 sono anche stati gli anni in cui i Dream Theater, musicisti di qualità sproporzionata, hanno definito ed evoluto il progressive metal: un genere tecnicissimo fatto di canzoni lunghissime e intricate, ricche di parti completamente diverse tra loro e capaci di andare oltre la semplice ripetitività di strofe e ritornelli. Un nome per tutti. ‘Images And Words’, capolavoro della band del super drummer Portnoy, dell’infinito singer LaBrie e del portentoso john Petrucci alla chitarra. Il prog metal ha sempre affidato a loro, e ai Queensryche, le proprie sorti. Una boccata d’ossigeno arrivò dal post-thrash moderno dei Pantera di Phil Anselmo e del grande chitarrista Dimbag Darrel, una band furiosa che nei Nineties ha tenuto in piedi il castello del metal incazzato ma non estremizzato (in pratica, del thrash). Grazie a ‘Cowboys From Hell’ , ‘Vulgar Display Of Power’ e ad altri dischi con le contropalle, i Pantera hanno goduto di pochi anni di frenesia che li hanno lanciati nelle enciclopedie del rock duro. Ma ancora una volta, soffocato dal nu metal di band come Slipknot e Linkin Park, o dalla nuova moda metalcore (figlio illegittimo del thrash, diviso tra voce growl e voce melodica emo), che impazzavano a fine anni ’90, il classic metal doveva rinascere. Ci hanno provato i Maiden, riabbracciando Dickinson e tornando a buoni livelli di dischi in studio; sembrano esserci riusciti i metalcorer Trivium, rispolverando in ‘Ascendacy’ e ‘The Crusade’ il thrash dei Metallica: improvvisamente iniziaronono a riunirsi tutte le grandi band, a fioccare i ritorni alle sonorità originarie, a riscoprire il gusto del passato: Megadeth, Testament, Metallica e compagnia organizzano un come back coi fiocchi e si riprendono la scena che è sempre stata loro di diritto. L’heavy metal è ancora qui, prepotentemente. Tutto il resto è passato: il metal non morirà MAI.

Nessun commento: