AMONG THE LIVING

ANTHRAX [1987], THRASH METAL
Non ha senso presentare gli Anthrax, dato che si tratta di una di quelle band talmente conosciute e apprezzate nell’ambito metal che qualunque cosa si possa dire su di essa, non sarebbe mai abbastanza. Ma dato che parliamo di Among The Living, ossia di uno dei dischi più importanti di tutta la storia del thrash metal, forse è il caso di spendere due parole quantomeno sugli anni in cui veniva pubblicato; credo che, per meglio sottolineare l’importanza del disco, basterà far notare come pressappoco nello stesso periodo venivano pubblicato autentici Mostri Sacri del genere come And Justice For All dei Metallica, The Legacy dei Testament e Reign In Blood degli Slayer; un periodo d’oro, senza ombra di dubbio: ma che genere di disco bisognava realizzare, all’epoca, per potersi far notare in mezzo a cotanti Capostipiti? La risposta la sapete già: un disco come Among The Living. Non esiste altro modo di descrivere Among The Living, dato che quest’album sprizza energia da tutti i pori! Un riffing esplosivo e tonante, ritmica martellante, potenza e vivacità, refrain vocali da urlo, headbanging dall'inizio alla fine. La stessa titletrack mette subito in evidenza quest’aspetto fondamentale della musica degli Anthrax, cioè la presenza di tanta, tantissima carica: parte l’arpeggio di chitarra e poi, con magnifica potenza, si aggiungono i restanti strumenti, scaldando pian pianino il motore di un’auto da corsa che è destinata a correre per circa cinquanta minuti. Le serratissime sezioni ritmiche costituiscono un inamovibile piano d’appoggio per i virtuosismi frequenziali di Joey Belladonna, che con la sua voce vola sempre più in alto senza mai mostrare l’intenzione di scendere; proprio le chitarre ritmiche, che qualcuno chiama riduttivamente “d’accompagnamento” –forse per mancanza di cultura, forse per eccessiva rigidità mentale– sono al centro di questo splendido disco: in brani come Caught In A Mosh o I Am The Law esse sono più che mai il fondamento di tutto, perché se togli quelle e non ti resta più niente. In altre occasioni sembra invece che l’obiettivo della band sia quello di spingere il piede sulla tavoletta come pochi altri riescono a fare: Efilnikufesin e A Skeleton In The Closet sono l’esatta rappresentazione di quello che si può fare di buono lavorando sodo con i tempi thrash. Poi, naturalmente, tutto il platter è pervaso da quell’aria tendenzialmente 'melodica' che già col precedente 'Spreading The Disease' aveva iniziato a concretizzarsi nella musica degli Anthrax - si veda, oltre alla titletrack, One World per un esempio reale di questa mia osservazione. Infine vorrei sottolineare un aspetto che ritengo importantissimo di questo disco: qui il thrash non c’è solo nell’aspetto, ma anche nella sostanza! Provate a leggere il testo della canzone conclusiva, Imitation Of Life, e poi sappiatemi dire se questi cinque ragazzi si limitano solo ad esibire un atteggiamento spavaldo o se credono veramente in quello che dicono: io sono convinto che il successo di gruppi come gli Anthrax sia stato in parte determinato anche dalle loro profonde convinzioni e non solo da un’estetica o da un insieme di riff accorpati l’uno all’altro 'tanto per far casino'; questa gente era così perchè credeva in quello che faceva e non si limitava, come moltissimi fanno oggi, ad imitare qualcun’altro, magari per questioni micro-sociali o d’ammirazione personale: insomma quella non era una posa, era il loro vero modo di essere. Da 'Metallized.it'

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