BRAVE NEW WORLD
IRON MAIDEN [2000], HEAVY METAL
La pazienza si sa, è la virtù dei forti e
per ascoltare nuovamente un disco da studio degli Iron Maiden con alla
voce Bruce Dickinson ce n’è voluta veramente tanta: otto anni
d’attesa. Questo è stato infatti il periodo che abbiamo
aspettato perché Bruce prestasse nuovamente la sua ugola alla Vergine di Ferro e si
riappacificasse con Steve Harris, a discapito del fin
troppo bistratto Blaze Bayley, che finita
l’avventura coi Maiden ha intrapreso la carriera solista. A ritornare
all’ovile non è stato solo il mitico vocalist: anche Adrian Smith ha
seguito le stesse orme, affiancandosi così a Dave Murray e Janick Gers e
dotando i Maiden di ben tre chitarre, che produrranno un disco maestoso, epico e ricco di arrangiamenti, melodie e armonizzazioni degne dei tempi gloriosi. Il disco é un incredibile manifesto del tipico Miden sound, e riporta in auge la storica band inglese, finalmente alle prese con sonorità fiammanti e trame emozionanti, tradizionalmente ispirate ad argomenti storici, profondi, letterari, onirici: la miglior releases dai tempi di Seventh Son, un altro classico degno della storia, come neppure il più ottimista dei fans poteva aspettarsi. La produzione è toccata a Kevin Shirley, convocato dallo stesso
Harris dopo che aveva sentito il suo lavoro con i Silverchair. La titletrack 'Brave New World' parafrasa un racconto del guru psichedelico Aldous Huxley,
quasi a voler introdurre l’ascoltatore in una nuova e colorata visione
musicale, abitata dal mostriciattolo Eddie. La prima cosa che farà ogni
buon fans è cercare di paragonare queste dieci canzoni con il repertorio
precedente; in effetti sforzandosi si potrebbero trovare dei paragoni
tra 'Brave New World' e la passata discografia, ma sicuramente questo
nuovo lavoro si potrebbe collocare idealmente tra 'Somewhere in Time' e 'Seventh Son'. Dickinson è in piena forma e la sua estensione vocale
raggiunge gloriose vette, mai raggiunte in 'Fear of the Dark” e “No prayer for the Dying': toni epici, duelli ed insegumenti tra voce e
chitarre, galoppate di basso: sono questi i fondamentali di 'Brave New World'. Il primo singolo estratto corrisponde anche alla prima traccia 'The Wickerman', una canzone semplòice e veloce, per certi versi classica nel suo stile da opener diretta ed immediata,
così come la battagliera 'The mercenary' e la intensa 'The Fallen Angel'. 'Ghost of Navigator', prolungata ed intricata, forse il vero capolavoro del platter, e 'Out of the Silent Planet' possiedono toni molto
epici, mentre 'Brave New World' mischia il classico Maiden-style con un suono prog-rock. 'Blood Brothes', maestosa, struggente e da pura pelle d'oca, è arricchita da strumenti classici, un’opera di Harris
che ha voluto ricordare così il proprio padre recentemente scomparso; 'Dream of Mirrors' e 'The Nomad' con i loro nove minuti di lunghezza
producono un effetto quasi ipnotico: la prima esalta il possente e tellurico lavoro di Nico Mc Brain col doppio pedale, mai così tosto su un album dei maiden, mentre la seconda fa sfoggio di trame labirintiche e sofisticate sonorità orientali tutte da gustare. La conclusiva 'The Thin Line Between Love and Hate' è forse la meno esaltante dell’intero disco, ma è anche quella più complicata da comprendere. La conclusione non può essere che una, di fronte ad un disco così fresco ed ispirato: grande
Dickinson e grandi Iron Maiden, come sempre.
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