ENDGAME

MEGADETH [2009], THRASH METAL
Le aspettative, quando in ballo c'è un grande nome, uno di quelli che ha fatto la storia di un genere musicale, sono sempre contrapposte. C'è l'immarcescibile ottimista che si aspetta un capolavoro dalla grande band di turno, e c'è l'eterno sfiduciato che ritiene ormai finita la medesima, ragion per cui non attende altro che spalare fango sulla nuova uscita. La posizione giusta, inutile dirlo, sarebbe quella intermedia, ovvero quella imparziale e pronta a giudicare un disco, o una qualsiasi altra forma d'arte, semplicemente per quello che esprime, non lasciandosi condizionare da elementi esterni, ed è questo il modo col quale si tenterà di formulare un giudizio su Endgame, dodicesimo studio album della creatura di Dave Mustaine, Megadeth. Anticipato dalla terremotante Head Crusher, Endgame vede il debutto in formazione di Chris Broderick (ex di Jag Panzer e Nevermore), chitarrista tecnicamente eccelso il cui ruolo si dimostrerà di assoluta importanza nell'economia del disco. L'apertura è affidata a un pezzo strumentale, Dialectic Chaos, caratterizzato da un giro melodico trascinante e dalle prime schermaglie tra la chitarra di Mustaine e quella di Broderick, duelli che costituiscono uno dei punti di forza dell'intero platter. Il tappeto ritmico intessuto dall'intro sfocia in This Day We Fight!, brano dal riffing nervoso alla Take No Prisoners e con una linea vocale rabbiosa anche se un pò piatta. Una partenza fulminante, immediatamente frenata dal mid-tempo 44 Minutes, che mette in evidenza le altre caratteristiche dei Megadeth del 2009: tempi cadenzati, linee vocali poco convincenti e refrain melodici spesso stucchevoli o poco incisivi. E' già tempo di riprendere a correre a gran velocità con l'adrenalinica 1,320, col suo travolgente riff d'apertura e la ritmica semplice ma irresistibile. Encomiabile il duello finale di assoli, dove ancora una volta risalta l'eccellente lavoro svolto in fase di composizione ed esecuzione da parte di Chris Broderick, perfettamente calato nel nuovo ruolo. Onde evitare uno sterile track-by-track, è il momento di fare ordine ed evidenziare ciò che in sostanza hanno da offrire i circa 45 minuti di Endgame. Innanzitutto, se proprio si vuole fare un confronto con la passata produzione dei Megadeth, esso va fatto in relazione alle ultime due uscite, in quanto le coordinate stilistiche sono pressapoco le stesse. Inutile quindi rimpiangere i fasti di 'Peace Sells But Who's Buying?', il thrash tecnico ed ispirato di 'Rust In Peace', la freschezza acerba di 'Killing Is My Business And Business Is Good', o ancora la svolta melodica ma qualitativamente soddisfacente di Countdown To Extinction. Il nuovo lavoro dei Megadeth contiene richiami a tutte le loro epoche: This Day We Fight! poteva trovarsi su RIP; la bella ed elaborata Endgame su Countdown To Extinction o Youthanasia, per citare due esempi- ma per valutarlo è bene riferirsi a The System Has Failed e United Abominations, dischi molto più vicini in quanto a stile ed attitudine. Endgame non solo esce a testa alta da tale confronto, ma ne esce vincitore, per diversi motivi. Se è vero che il suo più grande difetto è una non chiara direzione musicale (ormai una costante per i Megadeth), è innegabile come il riffing tipicamente megadethiano sia riscontrabile in tutti i brani proposti; sebbene l'alternanza tra brani più marcatamente thrash, heavy e mid-tempo dia una varietà forse esagerata al platter, il tutto è reso omogeneo da una produzione favolosa, potente, pulita, opera dell'esperto Andy Sneap e di Dave Mustaine. Soprattutto, il nuovo parto discografico di MegaDave gode di un'ossatura di brani -le già citate This Day We Fight!, 1,320, la title-track, Head Crusher- che lo rendono un ascolto piacevole, anche per via della buona disposizione delle canzoni nella tracklist. Trova spazio anche una malinconica ballad, The Hardest Part Of Letting Go Sealed With A Kiss, che dopo una prima parte acustica prende il via con tanto di accompagnamento tastieristico dalle reminiscenze addirittura power. Infine, finalmente soddisfacente il lavoro dietro le pelli di Shawn Drover, che offre una prova dinamica ed encomiabile nelle partiture. Endgame non è un capolavoro -su questo non ci piove- ma un album onesto e ben confezionato. Un deciso passo in avanti rispetto al precedente United Abominations, che riporta la band su coordinate stilistiche esplicitamente techno-thrash come ai tempi di Rust In Peace ma non disdegna citazioni da ognuno dei vari capolavori dell'act californiano.

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