RISK
MEGADETH [1999], HEAVY METAL-HARDROCK
Può un colosso del thrash metal piegarsi al declino e alle leggi del mercato fino al punto di ritrovarsi a suonare poprock melodico privo di potenza, velocità e struttura minimamente più profonda di quella che ci propongono centinaia di gruppi da MTV ogni giorno? Evidentemente sì, e i Megadeth sno una delle tante risposte che giganti come Metallica, Anthrax, Kreator e Testament hanno saputo fornirci nei dolorosissimi anni '90. Cè chi si è dato all'hard rock-blues come i Four Horsemen di Load, chi si è buttato sul crossover (gli Anthrax) o l'industrial (i Kreator) e chi, dopo il proprio disco melodico di turno (immancabile) ha provato la direzione opposta, quella del death, intrapresa dai Testament; chi però si è trovato nella condizione peggiore, a quanto pare, sono proprio i Megadeth dell'attaccabrighe Dave Scott Mustaine, uno dei personaggi più irascibili e interessanti del metalrama mondiale: il declino dopo Countdown To Extinction, il corrispondente megadethiano del Black Album, è coinciso in una propensione melodica sempre più marcata in Youthanasia (1994) e Cryptic Writings (1997). Ma ogni limite è stato superato con Risk, nel 1999, un disco che già nel titolo (rischio) si annunciava un flop clamoroso: i padri del thrash ultratecnico e melodico di Rust In Peace spariscono sotto canzoncine frivole e bidimensionali. Da sempre Mustaine ha cercato di imitare e superare l'opera degli invidiati Metallica, nel bene e nel male, a costo di strafare: e questo è accaduto anche con Risk, perchè il chitarrista non si è fermato dinnanzi al colossale fallimento di Load e Reload, ma lo ha ripreso e amplificato portandolo a livelli ancor più dozzinali tesi a monetizzare quasi due decenni di headbanging e sudore. L'album si apre con Insomnia, dal riff orientaleggiante successivamente riproposto in una versione più esasperata. Un buon pezzo, nulla di eccezionale, e soprattutto privo non solo dei classici elementi thrash 'storici' della band californiana, ma nemmeno di quelli più semplicemente heavy sperimentati in dischi quali Countdown To Extinction e Youthanasia; Megadave è uno che sa come attirare le sue prede, e lo fa bene già col secondo pezzo, la misteriosissima Prince Of Darkness, il migliore estratto del platter: oscuro e sinistro come un vicolo buio, il pezzo si apre con la voce bassa di Dave che per quasi due minuti sussurra la sua rabbia in un'atmosfera cupa, che cresce fino al secco riffone portante: allora la canzone lievita piacevole e maligna, con un refrain accattivante e circondata da un alone di misticità che suscita timore e rispetto. Prince Of Darkness resta un episodio piuttosto isolato: Risk si articola immediatamente in una serie di canzoni dalle melodie vocali piacevoli ma troppo radiofoniche, praticamente innocue e senza mordente. Ritmi bassi, rock da classifica, quasi svogliato: song modeste come Wanderlust, Seven e Time: the End vengono solo in parte salvate dagli assoli melodici di Marty Friedman, uno che ci sa fare, sia con l'heavy che col pop, come dimostrerà nel proseguio di carriera a caratteri nipponici; nulla di paragonabile al passato, ovviamente, ma è l'unico appiglio al quale aggrapparsi per non spegnere direttamente lo stereo. In un contesto tale, di un rock molle e da classifica, è quasi automatico che i pezzi migliori siano quelli più commerciali di tutti. Breadline, per esempio: uno degli apici pop del platter, quasi delicata nell'arpeggio, danzereccia nel refrain, dolce nell'intensità del suo ritornello colorato, patinato; qualche elegante riff melodico qua e là, tanto per mettere la parola 'rock' sulle bocche dei nuovi aficionados che inizieranno a indossare t-shirt di Vic Rattlehead senza neanche conoscere Killing Is My Business... (tanto per dirne uno, tra i tanti)! Ma sforziamoci di chiudere gli occhi, pensare di avere a che fare con una band qualsiasi e non con un ex pilastro del thrash metal: se ci riuscite, potrete apprezzare la melodia ritmata e le vocals radiofoniche di I'll Be There, nella quale tutto è ben curato, preciso, orecchiabile, emozionante addirittura, prevedibile probabilmente, ma tutto sommato un riuscito pezzo di poprock. Se ci riuscite, a cancellare il ricordo di un combo d'assalto che una volta furoreggiava ai Clash Of The Titans, potreste anche ritrovarvi a muovere la testolina a tempo ascoltando Ecstasy, la terza hit da MTV in un dischetto gradevole e che potrebbe piacere anche alla nonna, alla zia e alla vicina di casa. Direte voi, meglio qualche canzoncina fischiettabile che la noiosissima solfa di The Doctor Is Calling! Ma qui stiamo parlando dei Megadeth, ragazzi, una costola dei Metallica, e allora non ci sono scuse che tengono, il troppo è troppo. Il passo falso capita a tutti, gli anni '90 sono stati difficili per qualsiasi thrash band a stelle e strisce (e non solo): per i Megadeth Risk rappresenta il fondo del bicchiere, un passo indietro quando già si credeva di aver toccato il pedice. Il fatto è che se in Cryptic Writings i fans avevano criticato un approccio troppo semplice e ammiccante all'heavy sound dei propri beniamini, in Risk non si può fare questo discorso, per il semplice motivo che il tentativo di Mustaine è stato giusto l'opposto: dare un taglio lievemente rock a pezzi pop, nei quali la batteria ha un ruolo irrilevante, nei quali la chitarra di un mostro come Friedman è relegata ai margini, nei quali le melodie vocali diventano principali ma perdono tutta la furia e l'acidità che aveva sempre contraddistinto le prestazioni del rosso attaccabrighe, ora convertito ad una nuova vita fatta di valori e belle parole per tutti. Dove sono finiti i cari vecchi Megadeth? Per questa volta, fuori dallo studio di registrazione: la risalita sarà lenta e prevederà qualche capitolo di espiazione non del tutto riuscito negli anni a venire, sfiorerà lo scioglimento ma alla fine porterà all'emersione dell'animo più puro di questa storica formazione. Tutto è bene quel che finisce bene. Da Metallized.it

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