SIGN OF THE HAMMER

MANOWAR [1984], HEAVY METAL
Fin dal principio, il Verbo fu nobile messaggio da tramandare ai più valorosi, un'eredità avvolta dal mistero, che solo i più fieri guerrieri avrebbero potuto insegnare a coloro i quali avessero dimostrato di comprenderne il significato e di abbracciarne il Culto. Ridano pure i detrattori, i saccentoni che fanno la morale, che parlano del realismo come propria bandiera, che credono di demolire con la loro superficialità i sogni, le speranze e gli ideali di centinaia di ragazzi per i quali il Verbo scorre nelle vene come fosse sangue! Basta il sigillo della storia, Manowar, per far tremare i polsi. Li hanno derisi e vessati, accusati di essere maschilisti e guerrafondai, hanno umiliato i loro valori, il loro look, la costanza e la cocciutaggine con la quale oggi come trent'anni fa Joey DeMaio ed Eric Adams hanno lottato per quello in cui hanno sempre creduto. E provi chiunque a negare che ogni giorno siamo condannati a combattere la nostra battaglia, che trovare davvero un Fratello che vive e pensa come noi è assai raro, che l'orgoglio del sentirsi distaccati dalla plastificata realtà dell'apparire e dell'avere è virtù di pochi! Epica, valori e coraggio esplodono solenni in ognuno dei leggendari dischi che questo ensemble americano sorto nel 1980 ci ha regalato negli Eighties, da Battle Hymns e Into Glory Ride fino al binomio d'acciaio datato 1984: Hail To England; sentito canto in onore della Terra natia del metallo, e Sign Of The Hammer, oggetto di questa recensione e incoronazione, ultimo graffio del 'vecchio' stile manowariano, quello classicheggiante e arcaico che dopo le sperimentazioni rock di Fighting The World lascerà spazio ad un ibrido epic-power speed implacabile in dischi quali Kings Of Metal e The Triumph Of Steel. 'Sign of The Hammer' è una sintesi sublime dei differenti sound esplorati nei dischi precedenti. alle marce solenni, pompose e cadenzate di 'into Glory Ride', infatti, vengono affiancati i brani più dinamici uditi su 'Hail to England', per un possente connubio di pathos, epicità, riffoni granitici, potenza e diverse velocità. I Manowar decidono di aprire questo entusiasmante capitolo con il riff monolitico e l'assolo contorcente di un brano lento e cadenzato come All Man Play On, dal ritornello non particolarmente travolgente ma che lascia presagire la portata rocciosa del sound del quartetto: molto più dinamica, Animals è un proclama selvaggio che denuda l'heavy metal sacro, classicissimo, epico e travolgente della compattissima macchina da guerra coperta di pelle nera. L'energia divampa già negli urlacci introduttivi e nel refrain, successivamente centuplicato da cori ed escalations tambureggianti, prima che un assolo concluda il brano e lasci terreno alla mitologia gloriosa di Thor [The Powerhead], scandita dal drum martellante di Scott Columbus. La musica e le vocals emozionanti di Eric Adams, strepitoso cantore d'eroiche gesta, creano un'atmosfera pregna di onore, culminante nell'implacabile ed imponente accelerazione-assolo finale, davvero orgasmica. Manco a dirlo, il pezzo è un'ode al dio Thor, beniamino di ogni true defenders, che col suo Martello distrugge gli Infedeli nel nome di Odino: la fantasia e la metafora si fondono in un delirio di emozioni al quale gli headbangers più accaniti non potranno resistere, scatenandosi in moshpit eccitanti e innalzando al cielo il proprio spadone! Qui i Manowar rallentano e piazzano un solenne lamento eroico, un lento mozzafiato intriso di malinconia come Mountains. I prodi guerrieri osservano le alture rocciose all'orizzonte e le paragonano all'uomo, perchè 'la grandezza spetta a coloro che provano' ad arrampicarsi laddove nessuno sembra poter riuscire; nenia dolce e stratificata, la canzone incede intensa procurando brividi freddi lungo la schiena, con una stellare prova dell'inimitabile Adams al microfono. Quando il cuore è ormai sufficientemente intriso di passione è l'ora della battaglia: irrompe la scala di riff esagerati della titletrack, Sign Of The Hammer, a tracciare il sentiero dell'orgoglio, tronfio di enfasi. Canzone non devastante, che punta più sulla solennità ma che è innervata da un altro assolo di chitarra al fulmicotone, dalla melodia elettrizzante che sgorga dall'ascia folle del mitico Ross 'The Boss'. L'ora del Martello è venuta: ormai il platter è nel pieno del suo splendore ed è praticamente impossibile spegnere lo stereo: Columbus vi farà presto impazzire con un bombardamento tellurico, introduzione a The Oath, il giuramento, la dimostrazione di come gli Eroi del Valhalla sanno irrimediabilmente far breccia nel cuore dei fans con poderose cavalcate a briglia sciolta, inni possenti e testi deliranti oltre ogni limite di esaltazione! Quel marpione di Joey DeMaio, origini italiane e nessun pudore nel suo tributare con infantile entusiasmo l'Acciaio [e la buona musica in genere, anche quella Classica], è celebre per griffare quasi ogni album con l'immancabile assolo di basso, che qui prende il titolo di Thunderpick; superato questo episodio non trascendentale, giungiamo al capitolo conclusivo del full length, forse il più profondo e raggelante in quanto a epicità:desolantemente aperta da un'intro di malinconia sofferente, 'Gyuyana [Cult Of The Damned]' è un mosaico di arpeggi, cambi di atmosfera campali, urla di battaglia e cori omerici, tamburi coraggiosi e parti narrate ferventi che puntellano una marcia autoritaria e indimenticabile, da pelle d'oca. Individuare il miglior disco della produzione Manowar anni '80 è impresa assai tosta, perchè la qualità e la quantità di autentici masterpieces sfornata nella prima decade di vita di questo four pieces incommensurabile, amato e odiato senza compromesso alcuno -come senza alcun compromesso è la proposta musicale epica e fedele- è assolutamente copiosa. Certamente il prode Sign Of The Hammer contiene un numero così cospicuo di anthem e classicissimi ancora oggi validi e proposti on the road da poter essere considerato quasi un'antologia della formazione americana. Eric Adams; non a caso soprannominato come 'l'uomo dai polmoni più grandi dell'heavy metal', è un cantante immenso dotato di quella timbrica aspra, coraggiosa, eroica e terribilmente epica che in quegli anni tocca l'apice della sua forma: i suoi acuti e il pathos interpretativo con cui impreziosisce ogni singolo inno di battaglia lo tramanda ai posteri avvolto da un'area di grandezza inscalfibile. La sezione ritmica è terremotante e compatta pur non accostandosi agli standard ultraveloci tanto in voga nel periodo -del resto i Nostri si sono sempre distinti per la loro capacità di avere successo pur andando completamente contro alla 'moda' del momento, anche in ambito metal naturalmente- e trova in DeMaio un pilastro monumentale e spesso anche sottovalutato, a causa delle sue dichiarazioni pacchiane e delle sue trovate egocentriche, che hanno sì creato la sua figura di inguaribile esaltato, ma hanno anche spostato l'attenzione dei media dal suo reale potenziale tecnico. C'è infine la chitarra, robusta e battagliera come non mai, di quel Ross 'The Boss' pietra miliare dell'heavy metal epico, braccio armato capace di passare senza subire colpo alcuno dalla melodia più cristallina al riffone più muscoloso di tutto il Valhalla! Non smettiamo mai di ascoltarli, non smettiamo mai di esaltarli, i grandissimi Manowar: l'heavy metal, con le sue truppe di Immortali, passa inesorabilmente da qui. DEATH TO FALSE METAL! Metallized.it

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