TESTAMENT [1994], THRASH-DEATH METAL
Son passati due anni dall'uscita di The Ritual [1992], è il 1994 ed i Testament si ripresentano sul mercato con un nuovo platter, Low, oggetto di questa recensione. Rispetto al precedente lavoro, la line-up ha subito la dipartita di Louie Clemente, sostituito dall'ottimo John Tempesta dietro le pelli; una band che si conferma di livello tecnico sopra la media. Low è uscito in un periodo per la scena thrash metal non molto positivo, nel quale le band cominciavano a rallentare il proprio sound; anche i Testament sembravano aver assecondato questa tendenza, rendendo più morbida la propria musica con l'ultimo disco. Low invece è un album differente dalle precedenti fatiche della band, si presenta come un platter fresco, ricco di idee, pur non riuscendo a raggiungere i livelli stratosferici di The Legacy o di The New Order. La caratteristica più evidente è una potenza e un'aggressività disarmanti, assolutamente il contrario del thrash tecnico e melodico ascoltato negli ultimi album: qui domina la cattiveria, la furia, la velocità. L'opener e titletrack fa di per sè capire che binari seguirà l'intero album: traccia dal riff molto accattivante arricchito da un Chuck Billy che, come suo solito, utilizza in modo perfetto ed indistintamente il growl e la clean vocal, salendo a livelli di estremismo vocale precedentemente mai toccati con così evidente insistenza. Si prosegue con 'Legions', pezzo che inizia con un bellissimo passaggio di batteria ed un riffing ancora molto coinvolgente; Tempesta usa magistralmente la doppia cassa. Dopo la buona 'Hail Mary', si arriva a Trail of Tears: pur non essendo un pezzo dai ritmi serrati, colpisce per l'atmosfera che crea, e per un Chuck Billy dalla voce calda ed avvolgente. Il pezzo successivo è 'P.C'., traccia che si lascia sopraffare dalla successiva 'Dog Faced Gods': la band si avvale di un Tempesta in grandissima forma, trascinante all'inverosimile. E' una song dai ritmi frenetici, dai cambi di tempo disarmanti, con un Chuck Billy con un growl a dir poco perfetto intermezzato nel ritornello dalla clean; preludio ad un cambio di tempo al fulmicotone. 'All I Could Bleed' si conforma sulle coordinate determinate dai precedenti pezzi e, prendendoci per mano, ci porta direttamente a 'Urotsukidoji', incentrata sul riff di basso di Greg Christian. Una 'quasi' strumentale, poitremmo definirla. 'Chasing Fear' è un brano dalla venatura molto esotica, giocata sull'ottimo intrecciarsi tra chitarre e basso. 'Ride' è la penultima traccia, giocata ancora sull'ottimo cantato di Billy e sui frequenti cambi di tempo. A chiudere però l'album ci pensa 'Last Call,' un' outro totalmente strumentale, incentrata su un giro di trenta secondi, che andrà a ripetersi per tutta la sua durata.
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