DOOM METAL

Chiaccherare di Funeral, di Classic o Ambient Doom, di tutto ciò, insomma, che vi è di più oscuro, lento e svilente in ambito Metal non è mai stato tanto facile e naturale quanto lo è oggi: una crescita di popolarità è ormai in atto da almeno un lustro, ma la rinnovata sete da parte del pubblico si è trasformata, d’un tratto, in un lavoro di “spinta” delle label ed in un’ondata di uscite, celebri e non, che si sono concentrate lungo questo fantastico 2008. Molti grandi nomi sono usciti allo scoperto: alcuni hanno approfittato del momento per un rientro in grande stile - Skepticism, Memory Garden, altri hanno semplicemente programmato con astuzia le proprie annunciate release - Mourning Beloveth, Nortt, Doom:Vs. Ed ecco allora che dallo Stoner al Drone avremmo di che parlare. Tuttavia in questa sede devo mettere sul trono qualcuno a discapito di altri; lo faccio subito e senza remore, citando in ex-equo i due grandi nomi del Funeral Doom moderno: gli Skepticism ed i Pantheist. Le due release sono profondamente differenti sia in termini tecnici, sia in termini emozionali, e difatti rappresentano le mode estreme di un genere di per se stesso già di confine. Alloy è un album poco vario e statico nel suo progredire: i brani si discostano poco l’uno dall’altro e la complessità interpretativa da parte dell’ascoltatore è in realtà dovuta all’ortodossia del songwriting e di gran lunga superata dalla difficoltà di resistere alla tragicità che sgorga continua nei lamenti di un’interminabile marcia di commiato, quale vuole essere; semplice (anche tecnicamente), concreto e diretto: schiettamente fantastico! Journey Throught Land Unknown è, al contrario, un jukebox di soluzioni nobilitanti con la summa di 20 anni di Doom d’autore per 62 minuti di sofferenza: ricco di variazioni, complesso nelle scritture, ostenta in ogni attimo la bravura degli interpreti senza mai dare l’impressione di mirare al solo compiacimento personale. Ora struggente, ora impenetrabile, è un lungo viaggio verso l’oblio che cercate. Ad un gradino inferiore pongo The Maniacal Vale degli Esoteric, lavoro che soffre della tipica prolissità ed intelligibilità dei prodotti targati Chandler. Complicatissimo, lungo (troppo), colmo di linee melodiche, di arrangiamenti, di strumenti, di impianti vocali, alla fine appare identico in tutta la sua durata. È talmente ricco verticalmente da sembrare un’orchestra impegnata in una performance operistica, tuttavia è faticoso da ricordare; dal punto di vista tecnico non si può discutere, ma dal lato feeling perde in termini di genuinità. Straziante ma non esageratamente sconsolato, lo ritengo indicato soprattutto a chi ama vivisezionare ogni minimo passaggio. Per intenditori, insomma. Ottimo anche Galgenfrist di Nortt, che spicca quale rappresentante di quella corrente depressiva equidistante al Black ed al Drone/Ambient, che nel 2008 ha avuto molte uscite note (Elysian Blaze, Ars Diavoli, Leviathan, Brown Jenkins, ecc...), ma davvero poche vette (Blood Geometry degli Elysian Blaze è forse l’unica release abbondantemente sufficiente): Galgenfrist è angosciante e di una lentezza esasperante, anche se denota uno spiraglio di inaspettata luce - più arpeggi, minore saturazione delle chitarre, un sound simil-Goth delle keyboards - che lo rende meno ermetico dei predecessori; per il resto solito sound apocalittico con accompagnamento vocale “soffuso” e disallineato. Un acquisto obbligato per i doomster più “glaciali”. Via via allontanandosi dall’olimpo troviamo prestazioni degne di nota nei prodotti più recenti di Funeral, Ataraxie, Doom:Vs, Forest Of Shadows - di una tristezza “encomiabile”, Memory Garden (che grande ritorno) e Fall Of The Idols, tra i miei CD preferiti extra-Funeral. Le grandi delusioni si chiamano My Shameful, con un Descent che non ha soddisfatto in alcuna direzione; Mar The Grises, che proprio non raggiungono il blasonato esordio ed anzi lasciano, con Draining The Waterheart, un bel po’ di amaro in bocca; Mourning Beloveth che, pur senza “steccare” in toto, fanno di A Disease For The Ages l’episodio più discutibile della loro lunga e brillante carriera. I “rookie” più gettonati dalla critica universale sono stati certamente i Jex Thoth (S/T), gli Abyssmal Sorrow (Lament) ed i Serpentcult (Weight Of Light): i primi hanno registrato risultati di vendita davvero esaltanti giustificati più da un tam tam mediatico possente che non dalla reale efficacia di un CD insolito, atmosferico e rituale, tuttavia piuttosto insipido; di contro gli Abyssmal Sorrow, con un platter da vere primedonne, hanno faticato - e faticano tutt’ora - ad emergere, costretti in un genere molto scarno e dunque davvero limitante in termini di coinvolgimento del pubblico; personalmente ritengo Lament il migliore debutto stagionale, nonostante una produzione che ne rende a tratti difficoltoso l’ascolto, ma che pure ne esalta lo spirito tetro e quasi “amatoriale”; infine i Serpentcult, formazione che vede la luce discografica ad ottobre: Weight Of Light mischia stilemi propriamente Doom, quali le chitarre, ad elementi maggiormente Groove, quali basso e batteria, e sceglie, come i Jex Thoth, una singer femmina; una proposta ai limiti del Crossover che dovreste procurarvi senza troppe resistenze. Un paragrafo a parte vorrei dedicarlo, prima di chiudere, a due realtà che prescindono dall’inquadramento settoriale qui trattato: i Darkspace ed i Virgin Black. Con uno sforzo di astrazione assolutamente lecito, chiedo ad ogni doomster di dare una chance ad entrambe le band, che personalmente amo alla follia. Con Dark Space III il trio elvetico sfodera un’altra opera di carattere e personalità: i tempi sono solo apparentemente veloci ed accostabili al Black più oltranzista, mentre ad un ascolto attento galleggia, quale movente principe, la natura atmosferico/delirante della proposta; rispetto ai precedenti Dark Space I e Dark Space II, questo terzo episodio della saga risulta maggiormente costruito e chitarristico e dunque più concreto e metallico; certo non possiamo paragonarlo a nessuna delle uscite di cui vi ho appena parlato: è una gemma unica e preziosa nella sua particolarità. Prendere o lasciare! Infine i Virgin Black; nel 2008 ha visto la luce il seguito (anche concettuale) dello splendido Requiem – Mezzoforte materializzatosi in un Fortissimo che è davvero un lavoro più “vigoroso” e meno “classico” del predecessore: il coro ed i solisti lirici sono passati in secondo piano a beneficio di cantati growl possenti ed aggressivi che si muovono su di un tappeto sonoro anch’esso rinvigorito con la porzione metallica della band. A volerci dare un’etichetta Requiem – Fortissimo può tranquillamente affiliarsi al Death/Doom, fatto salvo un pizzico di sperimentazione che lo rende singolare nel panorama di riferimento. Come per i Darkspace: prendere o lasciare! Insomma un bel 2008 davvero: bilancio chiuso in (sovr)abbondante positivo.

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