SCOTT IAN

SCOTT IAN ROSENFELD.
'Ricordo la prima volta che suonammo a Frisco, era il 1984, c’erano gli Exodus, i Raven e, appunto, gli Anthrax. Facemmo quel concerto davanti a 3000 fans scatenati! All’epoca conoscevo gli Exodus di fama, ma non li avevo mai visti suonare dal vivo, men che meno a San Francisco; ricordo che salimmo sul palco e che nelle prime file si scatenò l’inferno, con tutti quei ragazzi dai capelli lunghissimi a sbattersi come dei dannati. Guardavo il concerto da un lato del palco e non credevo ai miei occhi! E allora mi venne in mente quello che mi avevano detto i ragazzi dei Metallica riguardo certi gruppi che stavano uscendo nella Bay Area… In poche parole, alla fine del loro show mi sentii letteralmente massacrato! In tre quarti d’ora gli Exodus avevano distrutto tutte quelle che erano le mie convinzioni, e come componente degli Anthrax mi sentii perso'! Stupefatto, ma con una carica ed un’energia ancora maggiore per dare un tocco di personalità definitivo e tangibile alla propria creatura: è così che Scott Ian Rosenfeld, chitarrista nativo di New York [classe 1963] a poco più di vent’anni capisce verso che direzione guidare la corazzata Anthrax, una band che aveva già contribuito all’alba del thrash metal col frenetico e grezzo Fistful of Metal, un album seminale e ancora contaminato dai venti della NWOBHM, che si pose alle origini di un genere in una località geograficamente distante dalla baia di San Francisco, dove il thrash stesso stava esalando i primi vagiti, crescendo a vista d’occhio. Non che Ian volesse portare il sound della propria band -formata col bassista Dan Lillker nel 1981- alle conseguenze estreme scandite dalle bordate dei temibili Exodus, anzi: semplicemente, aveva capito che per differenziarsi dall’enorme numero di thrashers in attesa bisognava trovare una via del tutto innovativa, e questa arriverà con l’ingresso in line up del singer Joy Belladonna. Egli portò non solo una ventata d’aria fresca dal punto di vista vocale, con i suoi toni acuti e la voce pulita e melodica anziché torva e aggressiva, ma permise al combo americano di approcciarsi in maniera più ariosa al proprio sound, che si fece decisamente più melodico, allegro e scanzonato, senza perdere un briciolo in potenza, velocità, compattezza. Capolavori assoluti come Spreading the Disease e Among the Living lanciarono il five pieces capitanato da Scott Ian tra i titanici Big Four. Gli Anthrax erano la frangia più guascona del lotto, con il loro look casual [skateboard, cappellini da baseball, magliette larghissime] e le loro liriche intelligenti, ironiche ma non stupide, musicalmente allegri e agli antipodi rispetto ai colleghi più tetri e pessimisti. Imbevuto di riferimenti hardcore, il mosh-thrash della band sprizzava un’energia incredibile ad ogni pezzo, e con l’incedere del tempo abbraccerà sempre più sperimentazioni, fino a giungere ad una collaborazione con i rapper Public Enemy dalla quale nascerà la voglia di crossover. Era proprio Ian il più open minded del gruppo, anche grazie ad un background variopinto che lo aveva portato ad amare artisti dallo stile disparato, come Henry Rollins, Public Enemy, Ministry, Kiss, Beastie Boys, U2, Discharge, Black Sabbath, Slayer e persino Madonna. Dal 1985 al 2003 Scott Ian ha anche suonato negli Stormtroopers Of Death, un gruppo sperimentale di hardcore metal che inglobava sonorità estranee al thrash classico: suoi compagni d’avventura erano il vocalist Billy Milano, ancora Lillker e un altro membro degli Anthrax: il drummer Charlie Benante. E’ proprio il chitarrista di origine ebraica, cresciuto nel Queens, a spiegare le proprie radici: 'Io sono cresciuto allo stesso tempo con il metal, il punk hardcore e con il rap. Non ci vedo alcuna differenza. Questi stili hanno sempre fatto parte della musica degli Anthrax. Oggi molta gente chiama questa musica crossover, ma noi la stiamo facendo già dal 1986. Se ancora oggi dovessi fare delle cose rap o hardcore con gli SOD non significherebbe snaturarmi, perché quei suoni sono dentro di me da molto tempo'. Eppure le sperimentazioni e le fusioni col rap, dalle quali trarrà origine il tanto contraddittorio nu metal, portano la band verso il declino: Belladonna, anche a causa dell’evoluzione poco gradita, lascia il microfono e gli anni novanta si rivelano assai magri per l’act newyorkese, alle prese con dischi di dubbio valore effettivo. Serviranno le reunion degli anni 2000 e il tour dei leggendari Big Four a risollevare la carriera e le sorti degli Anthrax, anche se mai Scott Ian contraddirrà il proprio credo: il chitarrista ha sempre dichiarato che non è nei suoi obiettivi registrare un nuovo Among the Living e che preferisce suonare ciò che più sente dentro; inoltre, ha sempre ritenuto inconcepibili i cliché tipici -per alcuni- di questo mondo, come l’utilizzo di corpse paint, spille, borchie. Per quanto discutibile e opinabile, questo punto di vista è in ogni caso rispettabile, oltre che indice di una mentalità aperta e mai schiava delle mode, di un uomo che ha sempre utilizzato l’umorismo ed amato chi è capace di prendersi in giro. Non è un caso che gli Anthrax suonassero in bermuda, e non è un caso che il rock è sempre stato visto, da questa band, come una musica da suonare ad alta energia, discostandosi dichiaratamente dall’immaginario fatto di asce insanguinate e suore decapitate che in molti metallers "estremi" hanno costruito nel tempo. Chi scrive ama e condivide lo stile costituito da borchie, denim and leather, ma non può che stimare la rettezza morale di questo musicista, forse non dotato di una tecnica virtuosa –caratterizzata, anzi, da un riffing martellante e da assoli abrasivi ed immediati- ma certamente ammirevole nei valori. Nel novembre 1995 Scott Ian dichiarava: 'Sono molto orgoglioso di tutto quello che abbiamo fatto. Nel 1984 non ci cagava nessuno ed ora siamo ancora qui a fare dischi, a fare musica. Sinceramente non so se posso dire di sentirmi importante, ma sono molto orgoglioso che questa nostra musica sia sopravvissuta così a lungo: spero che anche in futuro quando qualcuno dirà “heavy metal” penserà spontaneamente a band come Metallica, Anthrax e Slayer, perché per me questo è l’heavy metal! Anche l’epoca dei Judas Priest era buona, ma se qualcuno pensa alla musica metal mi piacerebbe che pensasse a noi, perché se pensasse ai Priest o ai Maiden quella non sarebbe l’immagine contemporanea del metal. Ci sono band attuali che fanno ottimi dischi e non è giusto pensare solo al passato'. La memoria e l’importanza del passato sono invece sacri, soprattutto nell’universo dell’heavy metal; in ogni caso, gli Anthrax sono finiti nella cerchia ristretta di bands identificabili esse stesse con l’intero genere, anche se in quel 1995, probabilmente, lo erano già; tutto quello che è seguito, a livello di studio album, non ha aggiunto nulla all’importanza straordinaria che questa band riveste nella storia del thrash e del metal in generale, anche per merito del buon Scott, bravo a non perdere entusiasmo e a non demordere anche nei momenti più bui. Dal palco del Big Four, la band sembra essere colpita da una nuova giovinezza e da una ritrovata voglia di suonare, a velocità esorbitanti, per coprire i fans della consueta adrenalina che ha sempre contraddistinto i momenti d’oro di questo act. Ian si è dichiarato, in passato, amante di sport come lo skateboarding e lo snowboarding, praticando discese ogni qualvolta che il tempo glielo concedeva, magari in compagnia dei suoi amici Biohazard [da lui ritenuti quasi dei campioni in questa disciplina] e stando sempre attento a non fratturarsi un polso. I suoi interessi musicali lo hanno anche portato a produrre, nel 1994, un disco degli HFL, una punk band di suoi amici che, però, si sciolse quasi subito. Sposato con la cantante Pearl Aday, figlia di Marvin, meglio conosciuto come Meat Loaf [cantante hard rock e pop rock non estraneo a diverse disavventure nel corso della carriera, come ad esempio la bancarotta], Scott Ian è oggi uno dei più stimati tra i pionieri del thrash: l’attesa per l’uscita di Worship Music, nuovo disco della band di New York, è tanto elevata proprio perché gli Anthrax meritano di tornare ai fasti gloriosi dell’epoca che li ha consacrati.

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