DIVINE INTERVENTION

SLAYER [1994], THRASH METAL
Forti dell’ingaggio dell’ex Forbidden Paul Bostaph a sopperire lo split con Lombardo [avvenuto nel 1992]. il trio Araya- Hanneman- King sforna in pieno periodo 'untori del thrash' un disco che sopravvive alla peste di metà anni 90, che ha spolpato fino all’osso ogni minima produzione del genere. Successore di un indiscusso capolavoro come 'Seasons in the Abyss', il platter si presenta violento, ben curato, stilisticamente ineccepibile. Dopo due lavori potentissimi e più orientati a strutture ritmiche variabili [con passaggi più cadenzati ed una sensibile linea melodica di base], la temibile macchina da guerra americana rispolvera i fasti di Reign In Blood calcando violentemente il piede sull'acceleratore e violentando le ritmiche in scorribande serrate a briglia sciolta, così come i fans oltranzisti sognavano ormai da otto anni. Fasti che vengono rivissuti con estremo piacere in un sound comunque arricchito dalla miscellanea di riffing e ritmiche proprie degli ultimi tre album, a sottolineare che 'Divine Intervention' non è un banale ritorno ad una vecchia sonorità ma il frutto di un'evoluzione naturale e continua che non mette da parte nessuna delle esperienze assimilate dalla band nel corso del tempo. Il nuovo batterista non fa rimpiangere più di tanto la dipartita di Lombardo. Chitarre sempre ispirate, cadenze ricercate e riconoscibilissime, lyrics espressione della violenza che ha reso tanto famosa la band e i soliti marci assoli fanno da padroni all’organizzazione di ogni pezzo, nessuna esclusione. La produzione mette distintamente in risalto l’alone groovy che oscura qua e là l’album e il risultato non delude le aspettative degli ascoltatori. Dieci brani di profondo e tirato thrash metal. 'Killing Fields' e 'Fictional Reality' nascono da tachicardiche mitragliate di doppia cassa per poi riprendere quei rallentamenti così intimi già ampiamente sperimentati con successo in precedenza. 'Sex, Murder, Art' si attesta diretta e sparata in tutta la sua contenuta durata, in una sinergia di pesantezze e groove molto ricercati. 'Dittohead' apre con un riffing di grande gusto vintage e con tale si lascia trasportare fino all’esaurimento, sovrapponendo pattern di batteria potenti ad assoli ruvidi e graffianti che richiamano in tutto e per tutto i tempi d'oro della band. Divine Intervention trova il concentrato più denso della sua sostanza proprio nella title track, un fluido amasso di riff capaci di rievocare tutti gli stilemi fondamentali del songwriting assassino. Passando poi per la turbolenta 'Circle of Beliefs', segnata da ordinarie ritmiche alla King, ci si scontra contro quel muro massiccio altalenante tra gli estremi della velocità e del soffocante incedere alle pelli che è SS-3. Un passo ancora avanti nel songwriting di 'Serenity in Murder,' per l’ossessività dei suoni e delle idee concretizzate nella concezione degli assoli e degli stacchi ritmici a supportare i malati clean-chorus. Intro di finissimo Bay Area per '213': introspettività, ritmica contenuta e mid-rhythm per proseguire con l’uso determinato di un incedere degno rappresentante della scena americana di fine anni ‘80 primi ‘90. E come avrebbero potuto chiudere, se non con un classico come 'Mind Control', che incuriosisce al solo pensiero di non aver potuto avere un Lombardo a massacrare tutti quei pezzi così ben concepiti? Un disco senza incertezze di sorta: sono gli Slayer, assolutamente Slayer, ordinariamente Slayer. Un disco coerente, riassunto puntuale del loro background produttivo: è come se tre immortali creature infernali dai nomi di Reign in Blood, South of Heaven e Seasons in the Abyss si fossero unite sanguinosamente in un’orgia musicale, accompagnate dall’orchestra malata dei quattro di Huntington Park.

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