METALLICA [1997], HARDROCK
Ad un anno dal controverso Load, i Metallica pubblicano del 1997 Reload sotto la supervisione del produttore Bob Rock. Giudicare questa release prescindendo dal precedente lavoro è totalmente fuorviante: infatti origina-riamente la band aveva pensato di immettere sul mercato un unico doppio album, idea che fu in seguito abbandonata preferendo pubblicarne due separati. La somiglianza delle due cover [curate entrambe dal fotografo Andres Serrano] ed il medesimo artwork sono una riprova di tutto ciò; inoltre il sound risulta praticamente identico, privo del le storiche sonorità presenti nei fortunati lavori precedenti e orientato a nuove direttrici musicali, improntate sull’hard rock ed il blues. I brani inclusi in Reload sono stati incisi nello stesso periodo di Load e ne incarnano la stessa filosofia; volendo trovare una significativa differenza possiamo affermare che Reload contiene un sound un po’ più aggressive rispetto a Load sebbene le tracks risultino di qualità inferiore. Questi due dischi fecero imbestialire la maggior parte dei fans. La delusione fu la reazione più spontanea dei fans, che dopo ‘Load’ si aspettavano un ritorno almeno parziale al vecchio heavy metal, peraltro in maniera fin troppo disincantata visto che le intenzioni della band erano già eloquentemente ascritte ad un titolo che rimandava senza mezzi termini al disco targato 1996. Reload è oggettivamente un album appena sufficiente, con poche idee, frutto di un progetto opinabile: non a caso, il gruppo nei concerti evita di eseguire quasi completamente brani tratti da questo disco e da Load. Il disco si apre con un pezzo energico e immediato come ‘Fuel’, l’unica traccia che ancora oggi resiste, di tanto in tanto, nelle performances live: un brano semplice e ruffiano, ma dal tiro discreto, improntato su un classico riff rock; si prosegue con la decadente ‘The Memory Remains’, un episodio più cupo nel cui refrain compare la collaborazione con la ‘dannata’ Marianne Faithfull, protagonista di una nenia da strega senza troppe fantasie. Seguono ‘Devil’s Dance’, rocciosa, cadenzata e dalle vocals discrete, l’accattivante e piacevole ‘Better Than You’ ed il secondo capitolo della saga Unforgiven, che riprende le melodie e le atmosfere struggenti della precedente: assieme a ‘Fuel’, l’apisodio migliore del lotto; ‘Slither’, ‘Bad Seed’, ‘Prinche Charming’ e ‘Attitude’ sono discrete ma poco altro, mentre leggermente più accattivante è ‘When The Wild Things Are’, basata su una cantilena dissonante ma paradossalmente efficace; discreta è pure ‘Carpe Diem Baby’, giocata su parti vocali vagamene piacevoli. Il brano più insolito è ‘Low Man’s Lyric’, una ballata tristissima sorretta da archi e fiachi, dunque ancor più atipica di quanto non fosse stato ‘Mama Said’ sul predecessore; la conclusiva ‘Fixxxer’ è una lunga calata nelle tenebre, ossesiva e straziata nel suo incedere cupo, un hard rock sofferente e desolante molto emozionante. Il giudizio finale, anche se all’epoca il disco fu stroncato, è sufficiente: Reload si fa ascoltare senza troppe pretese, talvolta suona stantìo o lascia pochi segni tangibili, ma non è così orrendo come vorrebbe far credere gran parte della critica; certo, di metal non c’è traccia: se riuscite a dedicarvi a quest’ascolto senza pretendere potenza, velocità ed energia potreste anhe apprezzarlo.
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