SOMEWHERE IN TIME

IRON MAIDEN [1986], HEAVY METAL
Gli Iron Maiden sfornano un altro gioiello di heavy metal classico, anche se l'introduzione di qualche sintetizzatore di troppo fece storcere il naso a qualche fan della prima ora. Il lavoro effettuato nei vari studi dove il disco è stato prodotto puntava a rendere un suono completamente nuovo per il settore, ma senza togliere potenza ed impatto, e la missione riuscì. Del resto Somewhere In Time dovrebbe essere forse più 'facile' oggi di quanto non lo fosse allora, in periodo in cui la presenza di tastiere nel mondo heavy metal era gradita come una rettoscopia senza anestesia, mentre oggi i vari sviluppi ed evoluzioni hanno creato -complici i miglioramenti delle tecniche di incisione- settori in cui non solo sono tollerate, ma necessarie. A questo proposito è da aggiungersi che non si tratta, come si legge di tanto in tanto ancora oggi, di tastiere, ma di guitar e bass synth, che non erano null'altro che i tradizionali strumenti, ma recanti le tecnologia necessaria per suonare all'occorrenza come tastiere, conservando nella sostanza il modo di suonare classico, il tutto accompagnato dall'uso di pick-up esafonici ed altri ritrovati tecnici di avanguardia. Va segnalata una più massiccia presenza di Smith come autore il quale firma anche il singolo. In ogni modo, le melodie e le trame fluide di pezzi da sogno come 'Wasted Years', 'Caught Somewhere In Time', unitamente ai repentini cambi di tempo di 'Deja Vu' restano emozionanti e capaci di rinnovare il momento aureo della band britannica. Riff imponenti, fraseggi di chitarra avvolgenti e assoli stupendi nella loro nitida melodia vanno a confermare un nuovo alloro per Steve Harris e soci, che non perdono nulla delle loro tipicità: le armonizzazioni di chitarra, le galoppate di basso, il vocalism epico e da brividi garantito dal mostruoso Bruce Dickinson, i testi di matrice storica, letteraria e cinematografica; immancabile è anche la consueta suite finale, Alexander the Great, articolata e prolungata in una sorta di sontuosa concentrazione di riff, intersezioni e ariose aperture struementali; la storia di Alessandro Magno viene narrata e sintetizzata con flavour imponente, attraverso una successione spettacolare di atmosfere cavalleresche e riff stupendi, sfumature melodiche, fatturato tecnico elevatissimo e pathos crescente, perpetuato attraverso quindici minuti di pulizia tecnica, nitidezza sonora e maestria compositiva. Ricorda Murray: 'Abbiamo avuto parecchio tempo per preparare questo disco e non vedevamo l'ora di entrare in studio e lavorare sui pezzi, mentre di solito quando si entra in studio alla fine di un tour non si é molto motivati. Abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e siamo fieri di questo disco tanto quanto lo siamo dei precedenti. In passato ci sono stati alcuni brani di cui non eravamo entusiasti, ma su Somewhere In Time tutto é perfetto e non ho rimpianti'. La conferma arrivava da Steve Harris, molto fiero di questo full length: 'I brani di quest'album sono molto più elaborati delle nostre composizioni passate, abbiamo avuto più tempo per dedicarci alla stesura e all'arrangiamento dei pezzi, e questo si sente. La tecnologia usata per incidere l'album é di tutta avanguardia, e coloro che hanno la fortuna di possedere un lettore cd potranno apprezzare appieno la qualità del lavoro. La mia composizione più ambiziosa è stata Alexander the Great, una storia basata su dei fatti reali. Sono molto orgoglioso di questo brano'. Le esibizioni del gruppo erano come al solito stellari, dense di luci ed effetti pirotecnici incredibili, che accatturavano folle impressionanti. L'album diventò subito un altro superclassico del gruppo, anche se non mancarono fans che storsero il naso di fronte ad un'innovazione come quella dei synth, accettata con qualche remora. Un altro tassello prestigioso, in ogni caso, al loro invidiabile pedigree.

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