STRONG ARM OF THE LAW

SAXON [HEAVY METAL, 1980]
Fra i tanti pionieri della NWOBHM, pochi sono stati sottovalutati come i Saxon. Forse per il loro stile troppo diretto, forse perché non tecnicamente perfetti, ma in ogni caso il loro nome viene spesso snobbato fra quelli che hanno fatto grande l'heavy metal anni ‘80. Un peccato sul serio perché meritano di essere presi in considerazione, soprattutto per questo 'Strong Arm Of The Law' del 1980, considerato il loro capolavoro di sempre. Un heavy metal semplice ed essenziale, quello di questi bikers britannici, ma trasudante feeling e intriso della passione semplice e ancora embrionale di questo genere, vissuto agli albori degli anni ottanta ed ancora a stretto giro di gomito col vecchio hardrock. Forse risulta meno immediato rispetto all’album precedente, ma ascoltando un opener come 'Heavy Metal Thunder', con il gracchiare di Biff Bydford e le chitarre distorte che formano un muro di suono, non si può non rimanere impressionati. 'To Hell And Back Again' è una canzone movimentata e dotata di quella buona dose di speed che solo l'heavy metal possiede. E poi c'è il capolavoro, la title-track 'Strong Arm Of The Law', con un ritornello strepitoso in cui Byford dimostra che razza di polmoni possiede. Questa canzone la si adora già dal primo ascolto perché rimane proprio impressa dentro. In 'Taking Your Chances' va apprezzato soprattutto il grande lavoro delle due chitarre, suonate da Paul Quinn e Graham Oliver. Il piccolo intermezzo e poi gli assoli finali sono proprio belli, a dimostrazione che pur componendo riff piuttosto semplici, i Saxon sanno anche suonare come i grandi metallari. In '20,000 Feet', uno dei pezzi più trascinanti del lotto, la batteria di Peter Gill sembra non fermarsi mai e tutta la band è in grande spolvero. 'Hungry Years' è un bel blues-metal, mentre 'Sixth From Girls' ci presenta un riff ossessivo suonato per tutta la canzone. Un capolavoro chiude l'album: 'Dallas 1 PM', che narra la tragica morte del presidente John F. Kennedy avvenuta nel 1963. Il basso di Steve Dawson in questa canzone è formidabile, sopratutto nell'intro dove poi subentrano le chitarre. Belle anche le parole della canzone, con Byford impegnato in una splendida performance. Questo album non lascia respiro dall'inizio alla fine, non un pezzo lento, non una chitarra senza distorsione. Continuare a snobbare un album del genere sarebbe un grande errore, perché di dischi così al giorno d'oggi non se ne fanno più!

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