TH1RT3EN
MEGADETH [2011], HEAVY METAL
Realizzereste un gran disco per una casa discografica con la quale i rapporti sono ormai crollati sotto il livello di guardia? Attimo di riflessione. Dave Mustaine, probabilmente, no. La citazione di cui sopra risale al dicembre 2010 e lasciava avanzare oscuri presagi sul nuovo album dei Megadeth, poco originale fin dal titolo. Non é dato sapere se le relazioni bizzose tra il rosso di La Mesa e la potente etichetta siano migliorati col passare dei mesi, ma di certo i fans dello storico combo americano non possono che augurarsi che questo Th1rt3en sia solo uno scherzo, una bufala dovuta proprio alla voglia di chiudere un capitolo più per dovere che per altro. Forse Mustaine ha tenuto da parte le cartucce vere per il disco successivo, quello dell'orgoglio, quello del distacco dai colletti bianchi della Roadrunner; ma le ipotesi sul futuro sono fuori luogo, ora, perché ciò che siamo tenuti a fare, in questo momento, é concentrarci su quello che rischia di passare alla storia come il peggior album dell'intera discografia dei Megadeth. A conferma di questa tesi, c'é l'imbarazzante dato che vede inserite in tracklist ben cinque canzoni ricilate dal passato: Sudden Death eNever Dead erano state pensate per dei videogiochi [e quindi non erano certo inedite], mentre -ancora peggio- New World Order e Millennium Of The Blind risalgono addirittura ai tempi di Youthanasia [erano comparse anche nella versione remasterd dell'opera in questione]; Black Swan, infine, aveva figurato come bonus track di United Abominations. Saranno anche stati ritoccati, questi pezzi, ma é accettabile che un disco di inediti contenga ben cinque pezzi già scartati in passato? Quello che ci troviamo per le mani é un ceppo di canzoni prive di nerbo e di ogni qual minima ispirazione, che danno l'idea di esser state create quasi svogliatamente al fine di adempiere agli obblighi contrattualistici, in fretta e senza alcuna vena creativa adeguata. Il signor Mustaine ci sbatte in faccia una serie irritante di ritornelli scialbi e noiosi ed una manciata di pezzi in cui di thrash c'è veramente poco, soltanto qualche sparuta accelerazione. Vagamente, lo stile musicale intrapreso assomiglia ai pezzi peggiori dei primi tre dischi pubblicati negli anni 2000: in quelle releases, almeno, vi erano composizioni davvero belle e capaci di lasciare una traccia, mentre di Th1rt3en non resta assolutamente nulla. Banalissime, diluite allo spasimo, le canzonette qui proposte sono di un livello veramente basso, e salvarne qualcuna é impresa improba: se proprio bisogna fare due nomi, si citerebbe Never Dead e New World Order, i passaggi in qui il thrash fa capolino in maniera leggermente più sensibile. Ma non illudetevi che siano episodi convincenti. Decisamente meno potente e brillante di Endgame e nemmeno abbastanza orecchiabile come avrebbe potuto essere un Risk qualunque, l'album tende ad apparire come un taglia-e-cuci di sezioni strumentali e assoli naviganti tra lo scarso e l'appena sufficiente, parlando di feeling ed appeal melodico: un heavy morbido e intriso di piattume, appesantito da un vocalism mai nemmeno gradevole, vuotato di un'anima e dell'energia minima che un disco metal deve possedere. Proprio i celebri assoli di chitarra, che tanto hanno contribuito a creare il successo e la leggenda di questo moniker, hanno un sapore artefatto, lasciato al caso, mai trascinanti e lontani dall'incastro perfetto tra le diverse architetture, marchio di fabbrica dei Megadeth che furono. Per quanto criticati, i dischi mainstream pubblicati dagli anni novanta in poi possedevano almeno canzoni graziose, dotate di un senso compiuto, canticchiabili sotto la doccia: Th1rt3en riesce a rivalutare persino gli album peggiori della band californiana. L'opener Sudden Death si apre sostenuta da riff secchi, che dovrebbero creare adrenalina: la traccia pecca di troppi rallentamenti improvvisi, linee vocali insipide e pochissimi spunti interessanti, incarnando ad hoc l'accozzaglia di [non]idee assemblate senza costrutto, di cui si diceva anche sopra; parlano da sé anche i prolungati guitar solos, mestamente fini a sè stessi e scollegati dal contesto, e l'abuso scriteriato di doppia cassa. A forza di ascoltarlo e risentirlo, il singolone Public Enemy No. 1 sta diventando quasi gradevole, come quei tormentoni usa e getta che d'estate impazzano tra i fruitori musicali più superficiali: il suo refrain, stucchevole e banalotto, ne riassume perfettamente l'intera essenza. Con Whose Life [Is It Anyways?] si tenta di imbastire una base ritmica più martellante, ma il risultato ancora non riesce ad entuasiasmare: più avvincente, invece, la sezione solista [probabilmente la migliore del platter]. L'incedere caracollante, privo di logica e mordente, che caratterizza We the People é quasi irritante [nel pezzo si salva, in parte, solo un assolo sinistreggiante], ed ancora peggio sono passaggi come Black Swan, Wrecker e Guns, Drugs & Money, così semplice, piatta e molla da non sembrare vera: essa punta tutto sul ritornello vocale [peraltro neanche ammiccante o piacevole], come potrebbe fare una qualunque band di pischelli alle prime armi. Avesse un pelo in più di energia, di tiro, freschezza e melodia, potrebbe quasi somigliare a qualcosa degli sleaze-heavy rocker Hardcore Superstar [e sarebbe soltanto un complimento], ma ricordiamoci che si parla dei Megadeth, e di thrash continua a non vedersi nemmeno l'ombra. Ok, se vogliamo, la base ritmica di Never Dead possiede qualche elemento tipico del genere, ma sfocia poi nell'ennesima prova vocale deludente, trita e ritrita. New World Order si apre circospetta e spara presto un buon solo melodico, si lancia in un refrain leggermente più apprezzabile ma rimane gran poca cosa per una band di tale stazza. L'imprevedibile finale a briglia sciolta, in pratica costituito dall'unica vera serrata thrashy dell'opera e da un assolo tagliente, mette un pò di sale sulla portata, ma la noia torna ad abbondare con Fast Lane, compatta ma uggiosa quanto le sue sorelle, nonostante la performance tonica di Shawn Drover alle pelli [e di una buona accelerazione dopo i tre minuti e mezzo]. Si sprecano i tentativi di coniare brani-riempitivo: del resto, per onorare il titolo era quasi obbligatorio mettere appunto proprio tredici pezzi, giusto? In realtà non ce n'é uno che si salva, ma, si sa, ormai l'estetica e la forma comandano anche nel metal. Il record di obrobrio maximo spetta a Millenium of the Blind, lenta ed appiccicosa; man mano che scorrono brani soporiferi [Deadly Nightshade, l'amorfa 13] ci si chiede che senso abbia comporre canzoni tanto seccanti, come si possa toccare tali livelli di songwritng, senza nemmeno uno straccio di ritornello od un riff definibile bello. La risposta sembra scontata: abbinate la carenza di idee che affligge i decani del metal giunti oltre i trentacinque all'obbligo contrattuale ed avrete, purtroppo, i Megadeth del 2011. Nota a margine: se ascoltato immediatamente dopo Lulu potrebbe assumere alle vostre orecchie un valore molto più elevato di quanto non ne possegga realmente, tanto per capire il grado di masochismo con cui due dei leggendari Big Four hanno deciso di triturarsi gli attributi [ed il credito residuo] in questo nefasto finale d'anno. Metallized.it
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