DEATH METAL

Non è mai semplice, in poche parole, compendiare l’andamento di un genere, soprattutto se questo è risultato particolarmente ricco di spunti e pubblicazioni degne di nota. Inizierei con il dire che complessivamente il Death si è dimostrato anche nel 2008 la miglior frangia metal. Non a caso parlo di conferma, poiché sono alcuni anni che il metallo della morte ci delizia con una serie di prodotti incredibili, senza ombra di dubbio riuscendo ad esprimere il bisogno d’evoluzione di un intero filone musicale. In controtendenza inizierei con quei front che in un certo qual modo non hanno corrisposto le attese. Riservato ai Cryptopsy il gradino più alto di questo scomodo podio, i quali con il controverso The Unspoken King hanno fatto storcere più di un naso. Sicuramente in valore assoluto il disco dei brutallers è conseguito migliore di tanti altri in circolazione, ma a fronte di un passato così glorioso e un’inimmaginabile sterza stilistica (ndr: core), i canadesi sono riusciti a tramutare una delle potenziali uscite dell’anno nel fiasco più cocente. Accumunati non solo dai natali, si collocano sulla sfortunata scia anche i Kataklysm grazie a Prevail, ennesima prova tutt’altro che significativa. Discorso del tutto analogo per i Six Feet Under, ed il loro scadente Death Rituals, evidentemente sempre più incapaci di dare alle stampe un prodotto degno di nota. Sbalordiscono in negativo addirittura gli Aborted, realizzando il peggior episodio di tutta la loro discografia (alias Strychnine.213). Registriamo un altro passo falso, questa volta nostrano, ovvero quella dei Disarmonia Mundi: non era semplice bissare l’ottimo Fragments Of D-generation, eppure anche Mind Tricks lascia perplessi per alcune scelte lontane dai canoni ai quali i nostri ci avevano abituato. Non bocciati ma senz’altro soggetti ad una piccola tirata di orecchie gli Psycroptic; chiaramente il passaggio alla Nuclear Blast non deve aver particolarmente giovato ai “diavoli della Tasmania", i quali, dopo due pietre miliari, con il pur valido Ob(servant) si accontentano di svolgere bene il compitino. Gli australiani sono in buona compagnia: convincono senza entusiasmare tanto i bravi Textures, grazie all’oramai inquadrato Silhouettes, quanto i Neuraxis, Esquirial, Beneath the Massacre e Into Eternal, tutti forti del loro funambolico prog/techo-death purtroppo oggi privo di notevoli e auspicabili illuminazioni. Acuti che sono mancati perfino ai Bloodbath e agli Hate Eternal, nei loro solo discreti The Fathomless Mastery e Fury & Flames. A mio avviso, la lista delle band che senza sfigurare avrebbe potuto fare qualcosa in più non si esaurisce qui: il melodic-core di Overcome targato All that Remains non entrerà negli annali, così come lo sludge carico di groove dei Birds of Prey nell’atteso Sulfur And Semen. La contaminazione industrial degli Hate non è più una novità, quindi se vogliamo Morphosis manca del così detto effetto sorpresa; dal death/thrash dei Darkane non mi sarei certo aspettato rivoluzioni, malgrado ciò Demonic Art non brilla per originalità. Anche i Die Apokalyptischen Reiter con Licht non siglano il miglior episodio della loro carriera, ma per lo meno si confermano una delle band più eccentriche in circolazione. Parentesi doverosa per i Children of Bodom: tralasciando qualsiasi diatriba relativa la loro collocazione musicale, se ben anch’essi lontani dai fasti delle origini, con Blooddrunk sembrano finalmente aver ritrovato la verve di un tempo. Passiamo alle promozioni prive di alcuna riserva. Menzione d’onore per gli Opeth, i quali senza estasiare con Watershed piazzano l’ennesima prova positiva della loro straordinaria storia. Lezione di stile che Mikael Åkerfeldt e soci hanno evidentemente impartito anche agli In Mourning, capaci di esordire splendidamente con Shrouded Divine. Sempre in chiave progressiva, ottime le performance degli Arsis, Ansur, Burst, Oceans of Sadness e Becoming the Archetype capaci di dar vita ad opere complesse e personali. Una parola in più per Ihsahn, straordinario musicista nuovamente protagonista nello splendido e raffinato angL. Singolari ma al tempo stesso eccezionali i semi-sconosciuti Eternal Deformity, alla ribalta grazie a Frozen Circus. Originalità che non difetta tanto nei Gojira quanto nei Phazm e Misanthrope, tra il meglio che la scena francese ha saputo offrirci. La vecchia scuola non poteva essere da meno e ritorno in pompa magna per Benediction, Grave e Sinister; Altresì non male Till Death Do Us dei Deicide, anche se decisamente inferiore al precedente e ottimo The Stench Of Redemption. Navigano a vele spiegate e con il vento in poppa tanto gli Amon Amarth, grazie a Twilight of the Thunder God, quanto i The Haunted con Versus, altre due band assolutamente immuni ai segni del tempo. Se parliamo di storia, allora non possiamo che soffermarci su due come-back illustri, che senz’altro contribuiranno a consegnare il 2008 nella storia. Mi riferisco ai greci Septicflesh, che con l’evocativo Communion hanno dimostrato di avere ancora molto da dire, ma soprattutto agli incommensurabili Cynic. Da qualsiasi direzioni la si veda, Traced in Air era considerata l’uscita più attesa con gli americani chiamati al più difficile dei compiti, ovvero dare un seguito al leggendario Focus. Senza raggiungere i livelli del capostipite, possiamo asserire che l’ardua missione è stata brillantemente superata. Gli amanti della frangia più estrema possono gioire, perché anche in questo contesto non mancano platter favolosi; Inevitable Collapse in the Presence of Conviction dei Soilent Green affascina per la sua varietà, mentre Cycles dei Rotten Sound è il classico pugno nello stomaco ben assestato. Però sono i Misery Index a sfornare il miglior massacro sonoro in chiave grind, con lo spettacolare Traitors. Mentre i The Amenta con n0n ribadiscono la loro posizione di assoluto rilievo nel panorama industrial, i The Monolith Deathcult con Trivmvirate continuano ad accarezzare in maniera costruttiva devastanti sonorità elettroniche. Proseguendo, si può essere esordienti assoluti e contestualmente dare vita ad una delle pubblicazioni più sostenute? Certo che sì, se l’oggetto risponde al nome di Brain Drill! Con Apocalyptic Feasting i ragazzi prodigio confermano e rafforzano lo status di nuove stelle nel firmamento. Ma gli americani sono solo la cima di un vero e proprio iceberg. In ambito techno/brutal le realtà emergenti di grande interesse sono innumerevoli: Irate Architect, Carnophage, The Faceless, Incinerate, Hectic Patterns e Arhont sono gli esempi più significativi di questa straordinaria ondata. L’Italia non poteva essere da meno, anzi grazie agli Hour of Penance assesta la migliore rivelazione di questa fantastica annata. Pur non trattandosi di esordienti con The Vile Conception il combo capitolino è riuscito ad imporsi prepotentemente sulla scena internazionale. Debuttanti solo di nome, ma non di fatto, gli Hail of Bullets che con il belligerante …Of Frost and War hanno fatto la gioia di tutti i proseliti dei Bolth Thrower. E se è vero che gli Aborted hanno deluso, ci hanno pensato gli Emeth (nati appunto da una costola dei belgi) con Telesis a colmare positivamente il vuoto. A proposito di band satellite, finalmente i Norther sono riusciti a scrollarsi di dosso l’etichetta di clone band dei CoB, grazie all’interessante N. Mentre l’attesa per il nuovo capitolo targato Orphaned Land si fa sempre più fervida, gli Arkan con Hail si propongono come una seria ed intrigante alternativa di death/folk mediorientale. Si intravede il traguardo, e volontariamente ho lasciato per ultime le uscite di maggiore interesse. Grazie al superbo Antithesis, gli Origin rivedono la loro formula, guadagnandosi un posto tra la crème de la crème. Si potrebbe dire lo stesso per i Deeds of Flesh e il sontuoso Of What's to Come; anche gli statunitensi affinano la proposta, rinunciando ad un pizzico di brutalità in favore di azzeccate venature melodiche ed un songwriting di altissimo livello. Ma in assoluto la palma di miglior album spetta a Diminishing Between Worlds dei fenomenali Decrepit Birth. Grazie ad una svolta stilistica, il quintetto di Santa Cruz confeziona un disco incredibile, ispirato all’inverosimile, destinato ad entrare nella storia quale ideale successore dell’indimenticato The Sound Of Perseverance.

Nessun commento: