SOUTH OF HEAVEN

SLAYER [1988], THRASH METAL
Dopo il successo planetario ottenuto con 'Reign in blood', gli Slayer tornano sul mercato discografico con 'South of heaven'. I fans attendevano con trepidazione l’uscita di un altro capolavoro, ma l’album in questione fa inizialmente storcere il naso. Alla velocità con cui ci avevano abituati con i loro precedenti album prende posto un sound meno rapido: ma bisogna dire che se da una parte si è perso in velocità ne ha guadagnato in pesantezza ed in potenza: in realtà 'South of Heaven' è l’ennesimo capolavoro degli Slayer. Qui i californiani dimostrano davvero tutta la devastante potenza maligna che rende la loro musica la più dura del metalrama mondiale, un pugno nello stomaco pesantissimo e privo di compromessi che dimostra che gli Slayer restano i sovrani dell'heavy metal estremo anche suonando a velocitàpiù contenuta: i loro brani sulfurei, ossessivi e compattissimi sono più tonanti e terrificanti degli assalti all'arma bianca che i colleghi thrashers continuano a perpetuare puntando tutto sulla ritmica forsennata, ma gli Slayer non hanno bisogno necessariamente di fare tutto di corsa per spaccare il culo. Certo c’è voluto un po’ di tempo per apprezzarne la grandezza, ma superato l’imbarazzo iniziale dei primi ascolti si comincia a capire che nell’album aleggia un’atmosfera sinistra mai sentita prima, che accompagna le dieci canzoni. Si parte con la title track. Gli Slayer dimostrano di essere unici nel genere e mentre tante band fanno di tutto per emulare le geste compiute in passato dal four-piece americano, loro voltano pagina e si creano un loro stile, personale, unico senza eguali. Il brano d’apertura ci porta nell’inquieto posto che è il purgatorio, descritto in maniera da essere inquietante quanto l’inferno. Un brano che inizia con un tempo blando per irromper nel riff, bello e trascinante e con un ritornello che si stampa nella mente e non si cancella più. Brani come 'Live Undead', 'Mandatory Suicide', 'Ghosts Of The War' e la prima citata title track rappresentano la massima espressione del metal estremo di fine anni ’80, un metal estremo al quale gli Slayer danno una nuova fisionomia, una nuova dimensione mai esplorata prima. C’è spazio per la cover 'Dissident aggressor' dei Judas Priest, loro idoli da sempre. E come al solito, il giusto epilogo di ogni loro album: Spill the blood. Inizia, e finisce, con un arpeggio glaciale, da brividi. Un brano insolito, che segue uno schema ripreso in molti brani dei loro successivi album. Se volete immaginare cosa accade a sud del paradiso, chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare da questo sound malvagio: Questo è un album da avere a tutti i costi, e sbaglia chi lo considera inferiore a Reign in Blood. Gli Slayer dimostrano ancora una volta di essere i maestri indiscussi del metal estremo, insegnando che si può essere malefici senza ricorrere ai tempi sparati e disperati di batteria e riff al fulmicotone.

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