06/07/2011, MILANO, ARENA CONCERTI
BIG FOUR OF THRASH 2011

MILANO.
La storia chiama, gli headbangers accorrono. Finalmente giunge in Italia il tour che vede sullo stesso palco le leggende del thrash metal americano, Metallica, Slayer, Megadeth ed Anthrax, dopo che intere generazioni hanno accarezzato per quattro lustri il sogno di vederli tutti assieme. Era il 1990 quando sorse l'idea, ma i Metallica si tirarono indietro, così gli altri tre si imbarcarono accompagnati dai Testament nel Clash Of The Titans Tour; vent'anni dopo, anno domini 2010, il tour dei Big Four è tornato un sogno fattibile, e poco per volta si è fatto realtà, trasmesso nei cinema di tutto il mondo ma inizialmente lontano dagli italici palcoscenici. Quando non ci si sperava più, però, ecco la notizia: i Big Four calano in Italia e la semsazione di partecipare ad un evento storico è tangibile. Lo spettacolo è meraviglioso, nonostante il caldo torrido che incendia la colata di cemento dell'Arena Fiera, nonostante la consueta organizzazione [scarsa] all'italiana -pazzeschi il divieto di entrare con bottigliette d'acqua munite di tappo, cosa che ha costretto molti dei presenti a file chilometriche, spese esorbitanti e sofferenze indicibili, anche considerato che ad una certa ora le scorte d'acqua degli stand si erano esaurrite, una scena purtroppo già vista in passato- e nonostante qualche problema tecnico relativo ai suoni [Metallica esclusi] o a qualche acciacco di questi colossi dell'heavy internazionale [il buon Dave Mustaine non era proprio al massimo delle sue forze]. In ogni caso, come si diceva, lo spettacolo è stato sontuoso: gli Anthrax sono stati la sorpresa, divertentie e 'in palla' più di quanto ci si aspettava, i Megadeth hanno purtroppo riservato una scaletta non sufficientemente potente per la situazione, gli Slayer sono stati i soliti assassini mentre i Metallica, beh, loro sono gli assoluti dominatori della serata, con una performance mostruosa ed una scaletta da infarto, incentrata sul repertorio più datato e thrash-oriented, alla faccia di quei denigratori che parlano a vanvera e li considerano degli 'ex' thrashers.
ANTHRAX
Il sole è ancora alto, ma per fortuna gli Anthrax si presentano sul palco -introdotti dalla sirena d'allarme di un attacco aereo- in perfetto orario ed attaccano con 'Caught In A Mosh', brano che nonostante gli anni continua a mantenere la sua carica. Purtroppo i suoni non sono perfettamente calibrati e la doppia cassa tende a coprire il resto, però la band di New York ha energia da vendere on stage. Fa molto strano non vedere Scott Ian, ma come era già stato annunciato al suo posto c'è un pezzo da novanta della musica metal, Andreas Kisser dei Sepultura. Uno dopo l'altro vengono snocciolati brani dalla sicura presa come 'Got The Time', 'Madhouse' e l'anthemica cover di 'Antisocial'. Joey Belladonna si dimostra un frontman loquace ed in occasione di 'Indians' annuncia una sorpresa, che essendo tale ci viene svelata solo all'ultimo. Poco prima dell'urlo wardance, una figura conosciuta fa la sua comparsa sul palco: è Scott Ian, colui che doveva essere il grande assente e che invece è venuto a presenziare allo show milanese. Ovviamente il chitarrista statunitense aggiunge la sua grande carica live allo spettacolo, che ora vede sei musicisti sul proscenio. Come era prevedibile gli Anthrax ci propongono anche 'Fight'em'til You Can´t', il nuovo pezzo recentemente messo a disposizione che farà parte dell'agognato 'Worship Music' in uscita a settembre. Dal vivo il brano rende sicuramente di più, anche se il ritornello continua a non convincermi e dopo un po' il tutto risulta alquanto ripetitivo. Il tempo a disposizione è quasi terminato ed i newyorkesi pescano dal loro repertorio 'Medusa', 'Only' e 'Metal Thrashing Mad', quest'ultima accolta con entusiamo dal pubblico voglioso di thrash metal. Al Giudice Dredd viene affidato il compito di chiudere lo show, non prima però di aver omaggiato l'ospite Andreas Kisser con un piccolo frammento di 'Refuse/Resist'. E non contenti gli Anthrax omaggiano anche i Metallica al termine di I Am The Law, eseguendo un pezzettino dell'immortale 'Whiplash'. Così dopo un'ora termina lo spettacolo della band, inficiato inizialmente da alcuni problemi sonori successivamente sistematisi almeno in parte, probabilmente grazie alla presenza della terza chitarra, anche se il bassista Frank Bello è stato parecchio penalizzato. La scaletta proposta è stata quasi uguale a quella dello scorso tour, ma l'energia che sprigionano gli Anthrax fa passare in secondo piano questo appunto. Diego Trubia, Metallized.it
MEGADETH

Mezzora per fare il cambio di palco e per testare i suoni ed ecco salire on stage i Megadeth, che iniziano il loro spettacolo con 'Trust', brano di apertura di 'Cryptic Writings'. I problemi con i volumi della cassa che già in precedenza avevano afflitto gli Anthrax si ripresentano nuovamente. Purtroppo questo, assieme alla mancanza di voce di Mustaine -che si è presentato sul palco con una chitarra doppio manico- sono le cause della pessima resa di 'In My Darkest Hour', brano che dovrebbe racchiudere al suo interno diversi momenti emozionali e che invece viene così rovinato, un vero peccato. La situazione migliora leggermente con 'Wake Up Dead', brano al fulmicotone a cui viene fatto seguire 'Hangar 18' con la sua coda solistica. Finora la scaletta ha sciorinato un classico dopo l'altro ed è forse per questo che vengono piazzati due estratti da 'Endgame' ed un brano a sorpresa come 'Poison Was The Cure', vetrina ideale per Dave Ellefson, anche se sinceramente molti dei presenti ne avrebbero fatto a meno in favore dell'immortale 'Tornado Of Souls'. Come era già successo un paio di giorni prima ad Amburgo, Dave Mustaine decide che è il momento di dare in pasto al pubblico un assaggio del prossimo disco ed annuncia 'Public Enemy No. 1'. La reazione degli spettatori non è sembrata calorosa, molto probabilmente a causa della quasi assoluta mancanza di conoscenza del pezzo. Dopo una parte centrale non proprio entusiasmante [eccezion fatta per Sweating Bullets], lo spettacolo dei Megadeth si rialza di livello con i classici più melodici come 'A Tout Le Monde' e 'Symphony Of Destruction', cantati dal pubblico, segno dell'inalterato affetto per i brani storici della band. Il frontman rossocrinito inizia poi un lungo discorso indicando la costruzione alla sua destra che serve per annunciare 'She-Wolf', brano tirato che lancia gli ultimi due classici del gruppo: 'Peace Sells', cantata a squarciagola da tutti e durante la quale fa la sua apparizione sul palco Vic Rattlehead, ed 'Holy Wars', posta in chiusura a sugellare lo show. Ottima performance da parte di tutti i musicisti, danneggiati almeno inizialmente dai suoni non eccelsi. Purtroppo bisogna registrare anche l'insufficente prova vocale di Dave Mustaine. La setlist è stata più lunga rispetto ai due precedenti show, ma paradossalmente questo tempo in più non è stato sfruttato a dovere, dato che nella fase centrale del concerto c'è stata una flessione abbastanza evidente. Prestazione comunque di buon livello per i Megadeth, che almeno strumentalmente si candidano come migliori del lotto. Diego Trubia, Metallized.it
SLAYER

Ammirare una band oscura e truce come gli Slayer con il sole ancora alto nel cielo ed un’acustica non ancora ottimale [per quanto riguarda le due chitarre] non è il massimo, ma i Signori delle Tenebre hanno comunque reso parecchio anche a ora di cena. L’attesa decollava mentre veniva montata la scenografia con l’immenso logo della band, che si presente all’Italia sulle farneticanti note di 'World Painted Blood', titletrack dell’ultimo full length che è già stata elevata al rango di classicissimo; il pogo si scatena abbastanza rapidamente, e la folla ha ben da sgomitare perché incalza immediatamente un binomio letale costituito dalle furiose 'War Ensamble' e 'Postmortem': l’impatto scenico è semplice ma efficace, catalizzata dal musone torvo di Kerry King, con i suoi tattoo e le pesanti catene ad ornare dei pantaloni di pelle nera che facevano sudare soltanto guardandoli; se King si incaponisce nel suo ruolo di cattivone, Araya è di tutt’altro tenore e continua a guardare i propri fans con un sorriso bonario che lascia trasparire in maniera evidente la mitezza del proprio carattere. Pur senza parlare molto tra un brano e l’altro, anzi pigiando pesantemente il pedale sull’acceleratore, il singer cileno regala sorrisi a destra e a manca e sembra quasi un vecchio zio che guarda compiaciuto i propri nipotini accorsi per salutarlo, e il bello è che non si limita a farlo nei [pochi] break concessi ma anche nei ritornelli più malsani di pezzi da torcicollo! Ai grossi calibri tratti dall’epopea aurea come l’energica 'Mandatory Suicide', la più melodica 'Season In The Abyss', e l’immancabile 'South Of Heaven', la band non rinuncia ad affiancare qualche brano risalente ad album meno amati come 'Diabolus In Musica' -l’hardcoreggiante 'Stain Of Mind'- o 'God Hates Us All' [il ritornello di 'Disciple' viene cantatO a gran voce da tutti i presenti], ma anche mitragliate recenti come 'Hate Worldwide' e 'Snuff' vengono accolte calorosamente, e le serrate 'Temptation' e 'Dittohead' altro non fanno che gettare ulteriore benzina sul fuoco con le loro sane bordate di thrash; impressionante è il solito Dave Lombardo, che da dietro il suo drumkit gronda talento, potenza ed un’aria intimidatoria quasi più tenebrosa di quella di King, e senza il bisogno di aggeggi, orpelli o smorfie varie! Anche Gary Holt, in prestito dagli Exodus per sostituire l’infortunato Hanneman, si muove sul palco in maniera adeguata, complice di una validissima prestazione. Forse ci si attendeva un massacro più incisivo e memorabile, da parte del combo di Los Angeles, ma alla fine è andata così, vuoi per il caldo asfissiante e la sete -che iniziavano a farsi sentire in maniera insopportabile- e vuoi per la setlist un po’ così –i succitati brani tratti da dischi di dubbia importanza hanno tolto spazio a capisaldi del thrash quali 'The Antichrist', 'Jesus Saves' o 'Hell Awaits', quest’ultima titletrack di un secondo disco dal quale non è state eseguita nessuna canzone, a conferma di una tendenza che sta ultimamente prendendo troppo piede in casa Slayer. E’ stato piacevole quando Araya ha iniziato a recitare il ritornello di 'Dead Skin Mask' con tono ‘parlato’, lasciando immaginare ai presenti il brano che sarebbe seguito, ed è stato rifocillante sentire una 'Chemical Warfare' suonata con gli attributi, prima di un finale da cardiopalma, affidata all’ecatombe di 'Raining Blood', all’attitudine oltraggiosa di 'Black Magic' [unico estratto dal debut] e dalla brutale 'Angel Of Death', olocausto sonoro che ha messo in evidenza una volta di più il potenziale devastante garantito dalla macchina di sterminio che risponde al nome di Dave Lombardo. Alla fine gli Slayer se ne vanno così, dopo aver messo a ferro e fuoco il pubblico con quindici pezzi al fulmicotone ammorbiditi dal sorriso amichevole dello zio Tom: abbiamo visto delle leggende, abbiamo visto i Signori del thrash, eppure loro, senza perdere un briciolo di umiltà, continuano sempre a comportarsi come gente comune, senza bisogno di montarsi la testa e, ancora meno, senza bisogno di squartare capre o inculare suore per apparire più ‘estremi’. Lunga vita agli Slayer! Rino Gissi, Metallized.it

METALLICA

Il sole è al tramonto, un’impercettibile brezza serale lascia finalmente un po’ di tregua ai presenti, morsi dalla canicola, mentre le note di 'The Ecsatsy Of Gold' iniziano immediatamente a far drizzare i peli sulle braccia ai presenti: diciamocelo chiaramente, l’esibizione dei Metallica è sempre la più attesa ed emozionante, accompagnata da un’irrefrenabile ‘ansia da prima volta’ che continua a pulsare anche quando si gode della fortuna di aver già visto all’opera i Four Horsemen. Nel trentennale dalla fondazione, i quattro di Frisco irrompono sul palco con una tiratissima 'Hit The Lights', che scatena pulsioni represse e adrenalina a fiotti fin dalle prime battute. E’ emozionante guardare quell’omone, James Alan Hetfield, col suo sorriso amichevole e lo sguardo fiero, e pensare che proprio con questa canzone adrenalinica aveva iniziato, tre decadi or sono, la storia del thrash metal. La doppietta iniziale, completata da una superba 'Master of Puppets', è qualcosa di inspiegabile a parole, al di là dell’esecuzione perfetta dei singoli pezzi, perché si percepisce nettamente la sensazione di rivivere la storia, narrata direttamente dai suoi protagonisti. L’oceanica folla canta a squarciagola, con le corna issate al cielo, scossa dentro alle pance dall’inconfondibile riff portante e accarezzata da quel solo melodico ammaliante, prima di venir trascinata nella scatenata escalation finale: la gente già intona i primi cori da stadio e viene premiata con una chicca insolita come la mazzata 'Shortest Straw', al termine della quale prosegue implacabile il massacro; il riff colossale di 'Seek & Destroy', brano tradizionalmente piazzato a chiusura del live-shows della band e clamorosamente anticipato alla quinta piazza –come del resto era emerso già belle setlist delle date precedenti di questo Big 4- rischia veramente di mettere in crisi le coronarie dei presenti, scatenati in headbanging e chorus che quasi coprono lo voce di Hetfield, in gran spolvero. L’intera formazione è parsa assai in forma, anche il tanto bistrattato Lars Ulrich che, pur semplificando certe parti di alcune canzoni in cui l’utilizzo del doppio pedale andava a complicare parecchio le cose, è sembrato sempre sul pezzo: il carisma del singer, assolutamente magnetico, ha letteralmente rubato la scena e i siparietti con la gente hanno portato la band ‘in mezzo’ alla folla, azzerando tutte le barriere tra questi semidei del thrash e i comuni mortali adoranti. Divertentissimo è stato il dialogo di James con un fans della prima fila che gli chiedeva di regalargli la chitarra, per non parlare poi della scenetta di fine gig, in cui il chitarrista finge di dare la buona notte, deponendo e riabbracciando più volte la chitarra per farsi pregare dai propri adepti, in totale brodo di giuggiole! In pochi sanno gasare la gente come Hetfield, poco da dire, e in aggiunta di ciò va elogiata una prova esaltante anche dal punto di vista musicale e scenico, con le sue posture e i sorrisi istrionici a sintetizzare come questo eterno ragazzo sappia tenere il palco con una tranquillità ed un feeling disarmante. La gente era letteralmente catturata dai suoi cenni, sarebbe bastato un battito di ciglia per scatenare l’ennesimo boato: in questo contesto la band americana ha sciorinato una scaletta da spellarsi le mani, infarcita di classici rarissimi e da pelle d’oca ['The Call Of Ktulu', e chi non c’era non potrà mai capire], tratti soprattutto dal leggendario 'Ride The Lightning', per omaggiare degnamente un Evento teso proprio a celebrare un glorioso passato costruito negli anni ottanta: già storica di per sé, la serata andrà ricordata come più unica che rara per l’assenza della ballatona 'Nothing Else Matters', alla quale viene invece preferita la triade di pezzi melodici che hanno fatto la storia del metal: 'Sanitarium', 'Fade to Black' e la pirotecnica 'One', quest’ultima arricchita da un sontuoso spettacolo di fuochi d’artificio, hanno riempito il cielo estivo di una notte indimenticabile, scatenando le emozioni più forti che solo questa musica sa regalare. Altra nota positiva, l’assenza completa di canzoni post-Black Album [almeno un pezzo veniva estratto sempre, solitamente], se si esclude la recente ed acclamatissima 'All Nightmare Long', uno degli episodi in cui il drumwork di Ulrich è stato semplicizzato rispetto alla versione su disco. Le immancabili 'Enter Sandman' e 'Sad But True' hanno rapito l’audience meno old school della platea, mentre i restanti ‘defender’ sono impazziti al cospetto di calibri grossi come 'Ride The Lightning' -c’era gente con le mani nei capelli- 'For Whom The Bell Tolls' e 'Blackened', un’altra sfuriata dal riff ipnotico che ha garantito l’headbanging disinibito ai colli già provati dei più implacabili metallers. La stessa ' Trough The Never', forse unico pezzo thrash dell’album che nel 1991 mandò la band nella stratosfera del music-biz, è stata cantata con clamore e coinvolgimento dalla sterminata massa di seguaci, ammaliata anche da un commovente assolo di Kirk Hammett [oltre che dalla trottola circense di Trujillo vista su 'Seek']. Poco da dire sui volumi e sulla scenografia: acustica assolutamente perfetta, palco spettacolare, con Hetfield ancora una volta sugli scudi quando doveva salire sulle rampe per farsi vedere anche dai più distanti. Quando sono saliti sul palco tutti i componenti dei Big Four, per l’esecuzione collettiva di 'Die Die My Darling', si sono viste scene che difficilmente dimenticheremo: Mustaine ed Hetfield fianco a fianco, Ulrich che lascia sedere Lombardo sul proprio seggiolino e lo fotografa, Hammett che abbraccia Scott ian e, per quanto possa sembrare infantile, a noi piace pensare che davvero i sentimenti che trasparivano fossero reali, perché i dissapori giovanili e le antiche dispute sono ormai state sotterrate da un successo che ha premiato tutte queste band leggendarie, alla quali non resta che celebrare insieme l’odissea da loro stesse composta, calcando lo stesso palco, dinnanzi ad un muro di fans inneggianti. E dire che lo show non era ancora finito: tra lo stupore collettivo, i Four Horsemen tornano a pestare durissimo col loro pezzo più violento, 'Damage Inc', con James impunemente capace di domandare alla gente se preferisse un pezzo lento od uno veloce! La ritmica martellante, la potenza folgorante, un boato oceanico nel mezzo dell’orgasmico stop’n’go, la galoppata finale, sono tanti flash di una serata della quale ci è rimasto impresso ogni singolo istante, ogni sillaba pronunciata, ogni stilla di sudore versata, fino al monumentale finale, affidato all’ex opener 'Creeping Death' [persino la scelta di sfalsare i punti cardine della setlist, invertendoli o spostandoli, si è rivelata azzeccatissima], che ha sollevato l’ultima ondata di tripudio. Quando le luci si sono spente, ce ne siamo resi conto: abbiamo assistito ad un concerto magnifico dei Four Horsemen, quasi due ore di musica con una scaletta forse ancor migliore di quella di cui avevamo goduto a Bologna tre anni fa, infarcita di classici da leggenda. Fa ridere sentir dire in giro che questa sera i Metallica hanno fatto una scaletta convincente, perchè, in realtà, chi segue le varie setlist dell’act californiano sa bene che di spazio per i brani del deludente periodo 1996-2003 ce n’è sempre ben poco, non solo stasera! Però, purtroppo, gli ignoranti amano parlare a priori, senza conoscere la realtà delle cose e senza poggiare le proprie motivazioni su dati di fatto provati, peraltro anche semplici da verificare. Bistrattateli quanto volete, dateli per finiti, sparlate a vanvera dichiarando la frase tanto stupida quanto effimera i Metallica non sono thrash, perché a chi c’era, a chi ha visto, a chi ha provato sulla propria pelle cosa significa assistere a un concerto di questi signori –che saranno ricchi sì, quanto ci pare, ma spaccano ancora il culo come pochi altri- non importerà nulla. L’invidia, l’astio gratutio, la polemica fatta soltanto per far prendere aria alla gola, verranno regolarmente sotterrate dalle prestazioni monstre di questa band. Sono i numeri uno, lo sono sempre stati. E sempre lo saranno. PS. Un grazie particolare agli amici che erano con me: Andrea che ci ha condotto sul luogo affrontando il traffico e l’afa, Francesca che ha sopportato i nostri poghi e il nostro puzzo di sudore, e soprattutto Giacomo Ferrandi con cui ho condiviso ogni headbanging, la sete sfiancante e il caldo torrido, ogni pogo e ogni emozione regalataci da queste band che adoriamo. Serata indimenticabile! Rino Gissi, Metallized.it

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