PADOVA, TEATRO TENDA, 4 aprile 2011
MEGADETH

Che piacere, per i vecchi fans dei Megadeth, nel rivedere nuovamente sul palco Dave Ellefson, storico bassista della band californiana, capitanata dalla mente geniale e artistica del rosso Dave Mustaine. Il perché è presto detto. Non è propriamente vero, come tutti affermano, che i Megadeth sono da sempre solo Dave Mustaine 'dipendenti'. Ahimè, cruda realtà, ma è così. Da sempre il braccio destro del caratteriale frontman è Ellefson e, sopratutto nel corso degli anni più difficili, quelli caratterizzati da droga, alcol e riabilitazioni, quest'ultimo s'è sempre prodigato per tenere a galla la barca, un po' come fece il tarantolato Lars nei suoi Metallica. Ebbene sì, i Megadeth sono anche un po' di Ellefson, molto più di quanto lo possano esser stati in passato per tutti i nomi di spicco che hanno contribuito alla creazione di veri capolavori del genere quali 'Rust in Peace' e 'Peace Sells but Who's Buying'. Questo concerto è stato speciale, magico e significativo anche per questo e il risultato ne dà ampia conferma. Tutti i brani passati in rassegna, dai classici come 'In My Darkest Hour', 'Hangar 18', 'Wake Up Dead', 'Sweating Bullets', 'Symphony of Destruction', 'Peace Sell's e 'Holy War' agli altri splendidi di scaletta, hanno reso idea di quanta anima e perseveranza caratterizzi l'attitudine di una band che, come per tante altre di questo immortale movimento, s'esprie sempre e ancora a livelli elevati. Se poi a corollario del tutto ci metti la brillante qualità del solista Chris Broderick, capace nell'interpretare egregiamente ogni pezzo del passato [anche i più complessi targati Marty Friedman], allora il gioco è fatto e gli onori on-stage assicurati. Scaletta fantastica, pubblico in delirio, acustica eccelente, il tutto raffinato dal già citato gusto old-school determinato dalla presenza del caro vecchio bassista. Non si sarebbe potuto chiede di più. Immensi!

SLAYER

Restare attoniti, stupefatti, senza parole sono tra le reazioni più comuni all’essere umano. Lo stupore, nella stragrande maggioranza dei casi, è una delle reazioni involontarie più difficili da controllare. Lo stupore ti spiazza, ti coglie impreparato anche se tu, oramai avvezzo a determinati tipi di cose, sei pronto a tutto. Lo show che gli Slayer hanno offerto al pubblico è quanto di più vicino si possa accostare alla sorpresa; la mancanza di parole di un bimbo mentre apre il suo regalo di compleanno e trova dentro la pista elettrice delle macchinine: questo è l’impatto che ha avuto la band statunitense. Il quartetto, orfano di Jeff Hanneman, ha dato vita ad uno spettacolo esplosivo, un delirio di sangue ed aggressività di potenza inaudita. Nessun fronzolo, nessuna smanceria verso i fan, un palco quasi totalmente privo di trovate scenografiche, fatta eccezione per due enormi aquile sovrastanti i due famosi muri di Marshall [simbologia occulta, o i tre livelli di amplificatori per un totale di sei ampli a fila sono un caso?], e tanta furia musicale. La ricetta Slayer sta tutta qui. Questi 'vecchietti' hanno mostrato all’eterogenea platea presente al Gran Teatro Geox di Padova cosa vuol dir suonare thrash. E lo hanno fatto con la naturalezza disarmante di chi vive e sguazza da più di trent’anni nel marasma della musica stradaiola per eccellenza. Dispiace non poter più assistere agli headbanding di Araya; vederlo andare mestamente verso la batteria durante gli assoli dell’inedita coppia King/Holt mette un po’ di tristezza, certo, ma laddove il cantante ha perso in ‘immagine’ lo ha riacquistato in voce. Una prova davvero incredibile quella del buon Tom, capace di far letteralmente rizzare tutti i peli del corpo negli acuti, ad esempio, di 'The Antichrist' o nelle prime battute di 'Angel Of Death'. Mostruoso. Davvero. Kerry King è la solita macchina da guerra macine riff. Carismatico, osannato, gira per il palco mandando in visibilio l’umidiccio ed infernale circe-pitt sottostante. Capitolo Lombardo: a detta di molti il miglior batterista thrash di sempre. Quello che è sotto gli occhi di tutti è l’immane onda d’urto sprigionata dal musicista cubano. Sbaglia un attacco e fa divertire Araya [forse un po’ meno KK], per il resto è semplicemente devastante; suona con estrema naturalezza e, nelle parti di mero accompagnamento, ondeggia sui tom some se stesse suonando un 'Danzón' sorseggiando un Cuba Libre ghiacciato. Uno spettacolo nello spettacolo. Nota di merito per Gary Holt. Sostituire Hanneman non è da tutti, non farlo rimpiangere è ad appannaggio di pochi. Bravo, a tratti entusiasmante, dimostra un carattere e una personalità invidiabile e non soffre per niente della sindrome dell’agnello sacrificale, pronto cioè a essere dato in pasto ai lupi (fan e critica) al primo minimo errore. Un professionista a 360 gradi, merce rara di questi tempi. Oramai non si trovano più aggettivi per descrivere il combo californiano. Invecchiando si impara, e si diventa più forti: intramontabili, innarivabili Slayer!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

un bel blog!
sta prendendo forma un buon lavoro sul nostro amato metal!!
complimenti x lo sforzo!!


ps: io ero alla data di roma e se è vero che gli slayer hanno fatto un concertone io non sono altrettanto entusiasta dei megadeth che mi sono apparsi assai bolliti...

continua così!

Rino Gissi ha detto...

grazie mille dei complimenti! :)