THE STORY OF HEAVY METAL

METALSTORY- Due dita amputate in una pressa e un’infanzia in una scuola che tremava per i colpi tozzi dei macchinari della vicina fonderia: le radici comuni di Black Sabbath e Judas Priest puzzano del fumo delle ciminiere di Birmingham, metà anni ’60, e affondano nelle storie di Tony Iommi e Robert Halford. Iommi suona la chitarra ma l’incidente alla mano non lo ferma, si costruisce protesi di fortuna e di fatto ‘inventa’ l’heavy metal, un po’ tra la leggenda dovuta a questo episodio e un po’ per la reale intuizione dell’abbassamento di accordatura che imprime al suo strumento. Con l’ex rivale di scuola Ozzy Osbourne, emblema del MadMan pazzo e irrequieto, mette in piedi i Black Sabbath, e presto abbandona le influenze blues per dedicarsi ad un sound nuovo, oppressivo e sulfureo, che si trascina inquietante in riff potenti e tematiche d’impatto, dalla difficoltà di vivere alla curiosità morbosa per il surreale, il demoniaco, il postmortem. Album come ‘Black Sabbath’, ‘Paranoid’, ‘Master Of Reality’, ‘Volume IV’ e ‘Sabbath Bloody Sabbath’ sono dei colossi seminali per l’evoluzione del genere. DOOM METAL, LA MARCIA SINISTRA

I JUDAS PRIEST.
Evoluzione che passa a essere guidata dalle rombanti motociclette dei Judas Priest, capitanati da quel Rob Halford cresciuto vicino al metallo: quello della fonderia che faveva tremare il suo banco di scuola, quello che diventa anima vibrante del sound della sua band. Gli esordi hippy e progressive rock di ‘Rocka Rolla’ vengono presto seppelliti sotto i riff marziali e agli assoli fulminanti di dischi basilari quali ‘Sad Wings Of Destiny’, ‘Sin After Sinner’, ‘Stained Class’, ‘Killing Machine’ e soprattutto ‘British Steel’: acciaio inglese allo stato puro, incandescente e sempre più marcato, veloce, debordante. Un ammodernamento incredibile al sound dei Sabbath: in pieno fenomeno punk, quando di moda andavano i Sex Pistols e l’anarchia strafottente, i Priest si fanno alfieri della New Wave Of British Heavy Metal, una corrente musicale che riporta in auge l’heavy metal. Il metal stravince, esaltato dalla sua forte componente qualitativa e di longevità, sotterrando il punk nella categoria ‘fenomeni di passaggio’. E intanto i Priest continuano la loro serie di colpi da Maestro, album leggendari e stratosferici come ‘Screaming For Vegeance’ e ‘Defenders Of The Faith’, fedeli al loro credo metallico, rinvigorito anche nell’aspetto fisico voluto da Halford: il ‘MetalGod’, come viene ormai chiamato da tutti l’uomo dagli acuti terrificanti, ha segnato una rotta fatta di pelle, borchie, chiodi. E tutti gli headbangers hanno seguito la sua strada. LE ORIGINI: DAI BLACK SABBATH AI JUDAS PRIEST

GLI IRON MAIDEN E LA NWOBHM.
Ormai sull’olimpo, negli anni ’80 i Priest lasciano spazio ad una band che emerge dal calderone delle tante ottime scuole della NWOBHM: tra Saxon e Anvil, Samson e Diamond Head spiccano gli Iron Maiden, coloro che si rifiutano di convertirsi al punk quando nessuno più voleva sentire suonare heavy metal. I Maiden, creatura fortissimamente voluta dal loro bassista (e calciofilo) Steve Harris, dicono no alla volontà della casa discografica e proseguono a testa bassa con il loro metal ancora più vivace e innovativo, molto stradaiolo ma fresco e cristallino grazie ad una melodia ricercatissima. Il debutto, l’omonimo ‘Iron Maiden’, desta scalpore e ci porta direttamente nell’epoca moderna, sulle note funamboliche di ‘Phantom Of the Opera’ o su quelle esplosive della titletrack. Basta un altro disco, ‘Killers’, a fare un passo da giganti: ma il cambio di singer, dall’irascibile e inaffidabile Paul DiAnno, troppo spesso schiavo di droga e alcool, al colto e travolgente Bruce Dickinson, fa fare alla band il definitivo salto di qualità internazionale. ‘The Number Of The Beast’ è un classico epocale ed è la chiara sintesi della nuova corrente della formazione inglese: non più stradaiola e aggressiva ma più epica, strutturata nella tecnica ed elaborata nelle liriche di stampo storico, letterario, cinematografico. La voce spettacolare di Dickinson sposa alla perfezione la carica epica delle cavalcate metal suonate da Harris, Dave Murray, Adrian Smith e dal batterista Nicko Mc Brain: il concept ‘Powerslave’ (1984) è un apice tecnico di chiaro valore per gli Iron Maiden che, ormai conosciuti ovunque grazie anche alla loro mascotte –lo zombie Eddie- si mantengono su alti livelli fino a fine decennio. GLI IRON MAIDEN GUIDANO LA RIVOLUZIONE DI METALLO

I MANOWAR E L'EPIC.
Intanto, oltreoceano, il metal prende piede in America e lo fa curiosamente riscoprendo il gusto dell’epica e della leggenda: i Manowar portano al limite del pacchiano il concetto di appartenenza, esibendo un repertorio vastissimo tutto ancorato a parole come war, fight, brother, metal, king, warriors, steel, power e via dicendo. Eppure la loro proposta musicale è incredibilmente esaltante: un suono solenne ed epico che da ‘Battle hymns’ a ‘Into Glory Ride’, proseguendo con ‘Hail To England’ e ‘Sign Of The Hammer’, inaugura un sottogenere che gronda orgoglio e gloria come l’epic metal. I Manowar degli esaltatissimi Eric Adams e Joy DeMaio puntano agli effetti speciali: ritmi ora lenti e ora veloci, sonorità robustissime, ideologie e valori di fratellanza e lotta continua al mondo esterno, ampia glorificazione del proprio ego e del proprio Verbo. Il risultato è travolgente: o li ami o li odi. EPIC METAL, I DEFENDER DELL'HEAVY METAL

IL FENOMENO DEL GLAM.
Eppure gli anni ’80 vedono il metal affrontare un nuovo priodo di sbandamento. Iniziato dall’hardrock dei Van Halen, prende piede il glam metal dei Motley Crue, dei Twisted Sisters, degli Skid Row; un genere più dolce e ballabile, lontano dagli standard di machismo imposti dai Priest pochi anni prima. La forte impronta visiva, rimarcata da look sgargianti, capelli cotonati e abiti da sexy shop, lascia intendere come il glam metal sia stato soprattutto un fenomeno di costume, centrato sulle sregolatezze e dul divertimento a tutti i costi: donne, auto, alcool, soldi, droga. Con il suo suono ammiccante e il suo aspetto curioso, il glam diventa presto la caricatura di se stesso: piace a molti e inizia a finire sulle copertine e nelle hit parade, grazie alla ballad e a band capaci di vendersi al successo senza compromessi: Quiet Riot, Cinderella, Poison. GLAM METAL, SPETTACOLO E SPASSO

I METALLICA E L'AVVENTO DEL THRASH.
Ma l’heavy metal non era nato per essere piacevole, non era nato per essere lustrini e capelli cotonati: qualcuno, in California, si stava decisamente incazzando. Los Angeles, la capitale del glam: qui cresce la desolazione di James Alan Hetfield, frustrato dalle imposizioni dei bigotti genitori e lacerato da una sete di libertà e verità che troppo bene si sposava col suono di una chitarra elettrica, da imbracciare furioso durante un sano headbanging. La rivoluzione parte da qui, dalla stessa Los Angeles: Hetfield cerca un batterista e lo trova in Lars Ulrich, danesino che porta in dote un posto garantito sulla compilation ‘Metal Massacre: Vol.1’. Senza ancora una band, i due registrano ‘Hit The Lights’, e la reazione degli ascoltatori è un tumulto. Troppo veloce, troppo grosso, troppo furioso l’heavy metal che sgorga dagli epilettici riff di Hetfield, per essere accostato al sound classico. E’ una svolta epocale: la band di Hetfield, i Metallica, dopo vari cambi di formazione si sposta a San Francisco –lontano dal furoreggiare del glam, delle spiagge e del lusso scintillante- su richiesta del nuovo eccezionale bassista, Cliff Lee Burton, e qui fanno tremare la prima scossa di un terremoto chiamato thrash metal: ‘Kill’Em All’ (1983) è il loro album seminale, in cui la velocità è accentuata dagli stacchi e cambi di tempo, oltre che da una voce urlata e dai tipici riff spezzettati e sparati a grande rapidità, su un tappeto martellante di batteria. Una sonorità tutta nuova, che apre il sentiero dell’estremizzazione dell’heavy metal. I METALLICA E L'IRRUZIONE DEL THRASH METAL

IL THRASH METAL.
La zona geografica da cui i Metallica mettono al muro il metal innocuo dei glamster, la Bay Area di San Francisco, è particolarmente proficua, e i suoi Figli vanno a completare l’evoluzione e la maturazione completa del nuovo filone. Una corrente per lo più oscura, incentrata sulla rabbia e l’insoddisfazione verso la politica, la guerra, la religione, la società chiusa e dogmatica, ogni forma di imposizione e chiusura verso la libertà spensierata. Gli Slayer sono i più infuriati ed estremi: il colpo grosso arriva nel 1986, al terzo album, l’epocale ‘Reign In Blood’, ritenuto uno dei capolavori massimi del metal nel suo complesso. I Megadeth, fondati dallo schizofrenico Dave Mustaine –chitarrista cacciato dai Metallica per la sua isteria e la passione per gli stupefacenti- accentuano con melodie intricatissime il lato tecnico e strutturale del thrash: ‘Peace Sells’ e ‘Rust In Peace’ restano i lavori più pregiati della casa. Generalmente si tende a parlare di ‘quattro pilastri del thrash’, anche se in realtà gli Anthrax arrivavano da New York e non dalla California: ‘Among The Living’ e ‘Spreading The Disease’ li consegnano ai posteri con il loro fare scanzonato e guascone, il contrario del cupo pessimismo dei loro colleghi thrashers. La Bay Area intanto continuava a produrre talenti. I Testament, che però arrivano cronologicamente appena dopo i gruppi citati, uniscono la melodia e la carica emotiva dei Metallica alla furia degli Slayer: ‘The Legacy’ e ‘The New Order’ fanno il botto. Dalla Bay Area provenivano anche Overkill, Laaz Rockit, i terribili Exodus con il loro immortale ‘Bonded By Blood’ e i Possessed. THRASH, NON SOLO METALLICA- I SOTTOGENERI: DAL THRASH AI GIORNI NOSTRI

IL RUGGITO DEL BLACK.
Il thrash fu una risposta pesante al glam, ma bisogna dire che in Europa il metal era rimasto abbastanza serio per incutere rispetto e timore. Dall’Inghilterra, gli storici rocker Motorhead influenzarono non poche band che, come i Venom, diedero origine al movimento del Black Metal, scarno quasi come il punk e tremendamente lugubre, perfido, satanico. Dischi come ‘Welcome To Hell’ e ‘Black Metal’ ispirarono proprio le band della Bay Area: gli stessi Metallica sono cresciuti con la musica di Cronos e compagni, e il thrash nasce proprio dalle accelerazioni intuite dai blackster. Il filone black proseguì la sua evoluzione inasprendo la musica e le tematiche, supportato via via da alfieri come Bathory, Mercyful Fate, Marduk e Mahyem. BLACK METAL, SANGUE E BLASFEMIA- VIKING METAL, BLACKSTER ALLA NORVEGESE

DAL THRASH AL DEATH.
Il thrash nel frattempo faceva passi da gigante. I Metallica, le stelle più brillanti, mettevano a segno colpi clamorosi con dischi immortali come ‘Ride the Lightning’ e ‘Master Of Puppets’, ritenuto da molti il platter definitivo per eccellenza del thrash e dell’heavy in generale. La band di Hetfield era praticamente sovrana della scena, ora con un repertorio più vario ed elaborato in cui potevano passare indifferentemente dalla velocità spaccaossa degli esordi a macigni ossessivi e potenti, da pezzi aggressivi e duri come rocce ad altri più dolci e melodici, analizzando tutti gli stati d’animo riscontrabili nella personalità umana. Purtroppo nel 1986 la perdita, in un incidente del tourbus, della mente e braccio Cliff Burton, segnerà un’escalation prepotente che già così, mozzata, resterà irripetibile. Mentre i canadesi Annihilator portavano alla massima esaltazione il discorso tecnico aperto dai Megadeth (‘Alice In Hell’, 1989), andava nascendo il figlio diretto del thrash, il death metal: ancora più furioso e caratterizzato da varietà e tecnica maggiori. I Death, i Morbid Angel, gli Obituary: sono i nomi e i programmi di band con i piedi immerse nella sofferenza e nella rabbia, da urlare al mondo (spesso e volentiri con un cantato growl) su uno spartito drammatico di morte e distruzione messe in musica. DEATH METAL, MORTE IN MUSICA

LA CRISI DEI NINETIES.
Sul finire degli Eighties, dopo essere sopravvisuto al punk e al glam, l’heavy metal stava andando incontro al decennio più difficile: gli anni ’90, aperti sotto il segno del grunge e del crossover, avrebbero segnato un lungo periodo di agonia. E pensare il modo stellare in cui si erano aperti: ‘Painkiller’ è il testamento dei padri fondatori Judas priest, tornati a troneggiare sull’olimpo del metallo con un album tellurico che è, da solo, la perfetta sintesi di un genere musicale, di un’ideologia di vita, la dimostrazione più elettrizzante di come si suonano le chitarre e di come una batteria può fare tremare il culo. L’ultimo sussulto dei Priest non bastò a evitare il peggio. I Metallica, proprio loro che il metal duro lo avevano fatto uscire dalla nicchia, lo affossarono con un successo commerciale di proporzioni enormi come il Black Album, un boom radiofonico che portò l’heavy metal nelle case di tutti. Identico il sentiero seguito dagli Iron Maiden (‘Fear Of The Dark’), che andarono anche incontro all’addio del vocalist Dickinson e ad un periodo di crisi nerissima. Quasi tutti i gruppi thrash sparirono dalla scena o iniziarono a produrre album patinati e radiofonici. Solo gli Slayer e i Testament sembrarono resistere, ma senza produrre lavori alla loro altezza. Death e Black erano ormai due blocchi inscalfibili e proseguirono sulla loro strada senza tentennamenti: grandi dischi e grandi band, ma la storia del metal sembrava non passare di lì. Qualcuno credette addirittura che potesse tornare in auge il fenomeno glam metal, grazie alla gloria fulminea ma travolgente di un gruppo grande e dannato come i Guns’n’Roses, che visse un periodo di massacrante splendore prima di affondare nei suoi stessi eccessi.

IL CICLONE POWER METAL.
La strada ora più luminosa sembrava quella nata in Germania negli ultimi anni degli Eighties. Se c’era stato chi aveva preso l’heavy dei Judas Priest e degli Iron Maiden portandolo all’estremizzazone urbana più grezza, c’era ora chi ne ereditava la melodia e la enfatizzava con galoppate fantasiose e piene di pathos, velocissime e tutt’altro che cupe, scandito da una doppia cassa mozzafiato. Gli Helloween e il power metal: storie e leggende, castelli e dragoni, magie e guardiani. Il power che si evolve tra ‘Walls Of Jericho’ e i due ‘Keeper of The Seven Keys’ getta le basi del filone che terrà il metal flebilmente in vita negli anni ’90. Il testimone passa dagli Helloween ai connazionali Blind Guardian, terribilmente più possenti e travolgenti con il loro epico muro del suono che giungeva direttamente dal medioevo. Tre album tellurici e poi una svolta ancor più melodica e di ambientazione fantastica, accentuata dall’introduzione di suoni e strumentazioni particolari che fanno dei Bardi tedeschi uno dei maggiori esponenti di un genere che annovera tra le sue fila anche i Gamma Ray e gli italiani Rhapsody Of Fire, col loro power barocco e rinascimentale davvero innovativo. I Guardian entrano nella leggenda col trittico ‘Somewhere far Behyond’- ‘Immaginations From The Other Sides’- ‘Nightfall On Middle Earth’. Nel frattempo erano rimasti solidamente sulla scena i True Defenders per eccellenza, i Manowar, che non sono power ma che con altri dischi eccellenti come ‘Kings Of Metal’ e ‘The Triumph Of Steel’ diedero fiato agli entusiasmi di chi ancora troppa sete di metallo puro aveva negli anni dell’avvicendamento tra gli ennesimi fenomeni di passaggio: prima il crossover, ora il nu-metal, l’impura contaminazione del Verbo con l’hip-hop e con sonorità di accordatura diversa e molto più fredda di quella tradizionale. POWER METAL, POTENZA E FANTASIA IN MUSICA

LA RINASCITA.
Per fortuna gli anni ’90 sono anche stati gli anni in cui i Dream Theater, musicisti di qualità sproporzionata, hanno definito ed evoluto il progressive metal: un genere tecnicissimo fatto di canzoni lunghissime e intricate, ricche di parti completamente diverse tra loro e capaci di andare oltre la semplice ripetitività di strofe e ritornelli. Un nome per tutti. ‘Images And Words’, capolavoro della band del super drummer Portnoy, dell’infinito singer LaBrie e del portentoso john Petrucci alla chitarra. Il prog metal ha sempre affidato a loro, e ai Queensryche, le proprie sorti. Una boccata d’ossigeno arrivò dal post-thrash moderno dei Pantera di Phil Anselmo e del grande chitarrista Dimbag Darrel, una band furiosa che nei Nineties ha tenuto in piedi il castello del metal incazzato ma non estremizzato (in pratica, del thrash). Grazie a ‘Cowboys From Hell’ , ‘Vulgar Display Of Power’ e ad altri dischi con le contropalle, i Pantera hanno goduto di pochi anni di frenesia che li hanno lanciati nelle enciclopedie del rock duro. Ma ancora una volta, soffocato dal nu metal di band come Slipknot e Linkin Park, o dalla nuova moda metalcore (figlio illegittimo del thrash, diviso tra voce growl e voce melodica emo), che impazzavano a fine anni ’90, il classic metal doveva rinascere. Ci hanno provato i Maiden, riabbracciando Dickinson e tornando a buoni livelli di dischi in studio; sembrano esserci riusciti i metalcorer Trivium, rispolverando in ‘Ascendacy’ e ‘The Crusade’ il thrash dei Metallica: improvvisamente iniziaronono a riunirsi tutte le grandi band, a fioccare i ritorni alle sonorità originarie, a riscoprire il gusto del passato: Megadeth, Testament, Metallica e compagnia organizzano un come back coi fiocchi e si riprendono la scena che è sempre stata loro di diritto. Oltre ai colossi di sempre, l’heavy metal oggi sembra il regno dei nove mascherati indiavolati Slipknot, che dopo i musi lunghi iniziali hanno iniziato a riscuotere i frutti di una carriera ormai decennale che sembra consacrarli ai posteri come unica band di fine millennio che sarà ricordata, tra vent’anni, al fianco dei mostri sacri tradizionali. La loro musica, da caotica e scarna., si è fatta sempre più ‘metal’ e sempre meno ‘nu’, arricchita da assoli e passaggi ragionati: non più solo lo spettacolo di una decina di indemoniati scavezzacolo che distruggono un palco, ma concerti veri e musica vera. L’heavy metal è ancora qui, prepotentemente. Tutto il resto è passato: il metal non morirà MAI. PROGRESSIVE METAL, TECNICA DA MAESTRI- ALTERNATIVE E NU METAL, I NUOVI ORIZZONTI

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